Chair: Emiliana Mangone - Università degli Studi di Salerno
Co-Chair:
Alfonso Amendola: Università degli Studi di Salerno
Se una cosa ci ha insegnato la pandemia da SARS-CoV-2 è che le ferite collettive richiedono strategie collettive per uscire dalla condizione di crisi o di emergenza. Ma per ferite collettive non si possono considerare sono quelle dovute a pandemie o disastri (emergenze) ma anche tutte quelle che si registrano con l’ampliamento del divario delle disuguaglianze che porta sempre più parti di popolazioni, in gran parte del mondo, al di sotto della cosiddetta soglia di povertà. Assegnare un ruolo centrale alla partecipazione, alla mobilitazione e all’empowerment della comunità (con tutte le sue componenti), fare ricorso a risorse “compatibili” culturalmente reperite nei luoghi in cui questi fenomeni si verificano significa agire a livello individuale, familiare, e sociale.
Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da democrazie ‘minime’ e procedimentali dominate da un modello socioeconomico capitalista e da una cultura neo materialista, indifferenti ai principi di redistribuzione della ricchezza e di equilibrio tra le relazioni sociali, i modelli di sviluppo, la giustizia ambientale e alimentare. Questo modello ha ridotto alcune problematiche sociali (per esempio, giustizia sociale, sostenibilità, disuguaglianze, etc.) a una questione puramente teorica o a una dimensione semplicemente istituzionale, evidenziando l’incapacità dei sistemi politici di fornire risposte efficaci alle pressanti rivendicazioni sociali, di servire il bene comune e di rivestire di una dimensione etica l’attività democratica. Il risultato ottenuto, è stato la produzione di effetti strutturali sempre meno governabili. Una necessaria e sempre più pressante urgenza di riprogettazione della governance non è possibile senza un radicale cambiamento culturale e collettivo della percezione dei problemi e, a tal fine, è necessaria una rilettura dei principi della teoria sociale critica per l’elaborazione di quadri analitici utili per sensibilizzare e guidare decisioni e politiche di sviluppo.
La sfida che i sociologi e scienziati sociali sono quindi chiamati ad affrontare sarà quello di ridisegnare un nuovo sistema dei bisogni tale che non si debba più scegliere tra rilanciare l’economia e salvare vite umane (si vedano gli effetti della pandemia). Ciò richiede un cambio di paradigma della lettura dei mutamenti della società che deve essere attuato, e in questo la chiave di lettura dell’educazione e in particolare dell’educazione critica è appropriata in quanto spinge verso il riconoscimento dell’altro e dei suoi bisogni in una logica di tutela del bene comune. Probabilmente non è un caso che alcuni movimenti e associazioni si siano mobilitate per cercare di costruire una “società della cura” dove il riferimento alla cura non è solo legato alle condizioni di salute ma al benessere generalizzato dell’individuo come membro di una comunità.
La presente proposta di panel ha, dunque, come obiettivo quello di sottolineare la necessità di un rinnovamento e/o di una attualizzazione di modelli educativi, in quanto l’educazione è lo strumento principe attraverso cui costruire proposte per rielaborare teorie e pratiche al fine di ricostruire componenti strutturali della società contemporanea e di governance per ridurre le disuguaglianze e orientarsi verso la giustizia sociale che costituisce anche la base per un mondo pacificato.
Questi elementi rappresentano il filo conduttore di questo panel si ritrovano − in maniera più o meno esplicita – negli interventi che si fondano su un approccio intersettoriale (tra le varie aree della sociologia) e interdisciplinare e seguono una logica a “imbuto”, dal più generale ai casi specifici così come si evidenzia dagli abstract che seguono.
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Verso un nuovo modello di educazione critica: la social justice education tra Europa e America Latina
Francesca Cubeddu, IRPPS-CNR di Roma
Lucia Picarella, Universidad Católica de Colombia
L’educazione ha un ruolo importante nella formazione delle persone e nella costituzione della società. Attraverso i processi educativi, infatti, ogni persona esprime sé stessa e mette a frutto le sue capacità, e allo stesso tempo le costruisce e le raffina permettendo così sia la trasmissione della cultura sia la riproduzione sociale. L’educazione non ha niente di neutrale poiché essa si trasforma in azione e, quindi, in azione politica che mira alla riduzione dell’oppressione. Per Freire l’educazione è politica. L’intento di quest’ultimo nella seconda metà del secolo scorso era quello di costruire una pratica educativa (praxis) che permettesse alle popolazioni oppresse dell’America Latina di raggiungere la libertà superando ciò che rendeva stagnante uno status quo di forte diseguaglianza tra le classi.
L’educazione è, dunque, un bene che deve essere anch’esso sottoposto alla redistribuzione come tutte le altre risorse e allo stesso tempo è un processo che rende il soggetto libero di potersi esprimere con le capacità sviluppate. Un processo che avviene attraverso il riconoscimento delle capacità di ogni soggetto abbattendo così all’interno delle istituzioni educative ogni forma di diseguaglianza. Generando benessere per l’individuo attraverso la concessione delle stesse opportunità a chi non avrebbe la possibilità di poter accedere a determinati beni e servizi (pari opportunità per tutti gli individui). Dinamiche insite nei processi di giustizia sociale e che contraddistinguono anche il cosiddetto social justice education approach.
Il riconoscimento dell’identità dei soggetti e l’espressione di manifestazione delle proprie capabilities sono per i processi educativi la raffigurazione delle dinamiche di giustizia sociale. Si può anche affermare che la social justice education sia contemporaneamente un approccio sociale, pedagogico e politico di una nazione. L’educazione può essere, quindi, osservata come manifestazione politica di un paese basata sul riconoscimento dei diritti.
Le istituzioni educative possono essere un grande motore per lo sviluppo sociale poiché possono comportare una giusta equità, tesa non solo a una distribuzione sociale della conoscenza ma anche alla crescita di quest’ultima come non unica (la conoscenza è multipla) e, soprattutto, come crescita del capitale culturale e sociale di una comunità.
Partendo dall’analisi di alcuni aspetti della pedagogia critica di Paulo Freire, che può essere considerato il precursore della social justice education, si andrà ad osservare se sia possibile affermare che la social justice education sia contemporaneamente un approccio sociale, educativo e politico di un paese e se le dinamiche insite nei processi di giustizia sociale contraddistinguono anche il cosiddetto social justice education approach.
Questo lavoro si propone, dunque, di esaminare l’importanza dell’applicazione dell’approccio della social justice education nella società contemporanea e per raggiungere questo obiettivo il punto di partenza sarà l’inquadramento teorico del rapporto tra giustizia sociale e pratica educativa (praxis), evidenziando la necessità di porre al centro dei processi educativi l’essere umano e la sua dimensione culturale, per andare poi a esaminare alcuni casi di applicazione dell’approccio di social justice education – sul modello educativo proposto da Freire – all’interno del sistema educativo in Europa e in America Latina.
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Il ruolo della digital literacy tra sostenibilità e disuguaglianze
Elvira Martini, Università “G. Fortunato”
La catena di crisi degli ultimi decenni ha dimostrato che la vulnerabilità è in aumento a causa delle trasformazioni sia socioculturali sia naturali, non ultima la pandemia dovuta alla diffusione del virus SARS-CoV-2 vissuta a livello planetario. Questo accade non solo per quelle fasce di popolazione che tradizionalmente erano considerate vulnerabili (poveri, disabili, immigrati, bambini, anziani e giovani) ma anche per altre fasce di popolazione che non rientrano in nessuna di queste categorie. Ciò rende necessario fornire azioni di risposta alle condizioni di crisi a livello locale, nazionale e internazionale che promuovano la resilienza delle comunità proprio delle fasce di popolazione che, a causa di fenomeni di differente natura (economica, politica, sanitaria, etc.), risultano più vulnerabili di altre. Gli effetti delle crisi, infatti, non sono identici per tutti gli individui e i gruppi, e ciò non solo per il livello di coinvolgimento (diretto o indiretto) ma anche per la capacità dell’individuo e della società di resistere ai loro effetti negativi (vulnerabilità sociale).
In queste sfide, la tecnologia digitale assume un posto di assoluta centralità sotto un duplice aspetto: alleata preziosa e motore di cambiamento, ma anche creatrice di nuovi divari di disuguaglianza. La pervasività delle tecnologie, la loro capacità di farsi addomesticare e integrare, l’ottimizzazione e la semplificazione rispetto all’accesso a informazioni, conoscenza e servizi, rappresentano lo snodo più rilevante attraverso cui le sfide dello sviluppo sostenibile possono transitare e trasformarsi in prassi comportamentali. Si intuisce, quindi, che il percorso per ridurre la vulnerabilità e i conseguenti aspetti di disuguaglianza sociale, nonché favorire uno sviluppo sostenibile non può prescindere dal ruolo svolto dalla trasformazione digitale riducendo al minimo i gap e valorizzando l’innovazione. Gli strumenti digitali, infatti, offrono molte possibilità per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030 in quanto posseggono un grande potenziale trasformativo. Ma l’attuazione di un vero cambiamento di paradigma pone necessariamente una priorità: l’inclusione digitale. È assolutamente necessario non trascurare le implicazioni socioculturali determinate dall’integrazione del digitale nel tessuto sociale contemporaneo come, per esempio, le disuguaglianze generate dalla capacità di accesso ai suoi strumenti. Chiunque è escluso dai benefici delle innovazioni subisce un danno che attiene tanto alla dimensione macro quanto a quella micro sociale.
Sulla base di queste premesse, il presente lavoro intende indagare il rapporto tra sostenibilità digitale e forme di diseguaglianza, considerando che i repentini cambiamenti ambientali, culturali ed economici obbligano il mondo della ricerca e della tecnologia a rispondere in modo proattivo per la gestione della complessità e delle disuguaglianze sociali, non solo attraverso l’utilizzo delle tecnologie (nuove e già esistenti) ma anche tramite approcci di previsione sociale - come il technology foresight - al fine di abilitare la digitalizzazione in un’ottica di maggiore inclusione e scongiurare che il divario digitale possa diventare un altro aspetto (pericoloso) del progresso tecnologico.
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L’educazione critica come strumento di emancipazione degli studenti transgender
Marianna Coppola, Università del Molise
L’educazione critica del modello della liberazione, dunque, potrebbe rappresentare una possibile cornice teorica e pratica di riferimento per creare un clima di consapevolezza attiva e di democratizzazione di una categoria particolarmente oppressa come gli studenti con problematiche legate all’identità di genere. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a un incremento del numero di adolescenti e giovani adulti che si definiscono transgender o non binary e che sperimentano una condizione di incongruenza tra sesso biologico e identità di genere esperita, condizione che espone gli stessi a diverse problematiche di natura psicologica e di integrazione sociale, ivi compresi difficoltà nelle performance scolastiche e universitarie, e in generale per la loro condizione di benessere.
È possibile considerare il modello dell’educazione critica in quanto il suo principale obiettivo è quello di costruire una società democratica, giusta e inclusiva per i membri che la compongono attraverso la consapevolezza della propria condizione e in questa processualità il ruolo dell’educatore (anche nella sua qualità di insegnante) si pone in una logica “circolare” (abbandonando l’idea di un’“asimmetria di sapere”) in cui è possibile incoraggiare e stimolare i discenti a individuare, argomentare ed esplicitare le problematiche e le disuguaglianze sociali esistenti nella società, sviluppando, in tal modo, un modello educativo per la “liberazione” dalle condizioni di oppressione e di disuguaglianza attraverso il processo di “conscientização” [conscientizzzazione].
Su queste basi si fonda l’esperienza che si presenta di un percorso di consapevolezza e di formazione/informazione attuata in un Istituto Comprensivo della città di Roma e finalizzato all’educazione e alla socializzazione alle tematiche di genere di tutti gli attori coinvolti direttamente o indirettamente nel processo educativo (dagli alunni al personale docente, dai genitori al personale ATA, ecc.), rappresentando una best practices di democratizzazione sociale e nell’affrontare le problematiche legate all’identità di genere all’interno del contesto scolastico nazionale.
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L’educazione videoludica come strumento di sensibilizzazione verso problematiche sociali
Annachiara Guerra, Martina Masullo, Università degli Studi di Salerno
Durante e dopo la pandemia da covid-19, la Generazione Z, che comprende i nati dopo il 1995 – chiamati anche post Millennials – si è trovata ad affrontare un momento delicato della propria vita. Processi come quelli della costruzione identitaria, della conoscenza di sé in relazione con gli altri, della scoperta dei propri obiettivi di vita e delle prime esperienze fondamentali per la crescita individuale sono stati esperiti in una condizione sociale fortemente complessa e sconosciuta. In questo contesto i social network e i videogiochi hanno assunto un ruolo fondamentale per la crescita dei giovani e giovanissimi e le ricadute sul sistema educativo sono state notevoli. Negli ultimi anni, si è dato molto più spazio al ruolo dell’edutainment, della Media Education e dell’e-learning. I videogiochi hanno aperto vasti scenari e offerto nuove opportunità per un "apprendimento divertente". Ciò è dovuto alle caratteristiche intrinseche del medium videoludico: interattività, multimedialità, plurisensorialità e problem solving. Inoltre, da tempo, il videogioco si fa carico di ospitare e veicolare tematiche sociali importanti. Giovanni Boccia Artieri, infatti, parla di videogiochi come videomondi, ovvero luoghi in cui poter osservare la società e la trasformazione delle relazioni sociali e della comunicazione. Pertanto, l’obiettivo di questo contributo è analizzare, attraverso alcuni casi di studio, il videogioco tramite un approccio critico che lo ponga in una posizione centrale all’interno di quella che si potrebbe definire una comunicazione educativa che può abbracciare contenuti e contesti diversi. “Fammi vedere la luna”, realizzato a partire da un progetto teatrale all’interno delle carceri di Airola (BN) e Sant’Angelo dei Lombardi (AV), si inserisce all’interno del contesto di rieducazione e sensibilizzazione sulla tematica della criminalità giovanile; “Bluethroot”, progetto vincitore del Bando Europeo 2020, promosso dall' Associazione S. Benedetto di Foggia, nato per contrastare la povertà educativa nelle regioni del Mezzogiorno, pone l’attenzione sulle fragilità della Generazione Z; “Green Home”, “Il Puliziotto e “Alba: a Wildlife Adventure” trattano la tematica della sostenibilità ambientale e ne esplorano specifiche sfaccettature. Rispettivamente, il primo è promosso da P&G in collaborazione con WWF Italia, il secondo è realizzato dalla Fondazione Franchi, impegnata in attività e progetti di formazione digitale a supporto del mondo scolastico, il terzo narra le avventure di una bambina e il suo impegno per salvaguardare una riserva naturale e bloccare la costruzione di un mega hotel. Attraverso questi videogiochi, è possibile dimostrare come il medium videoludico sia oggi tra i principali mezzi utilizzati per la trasmissione di messaggi e contenuti relativi alle tematiche sociali, in grado di rivolgersi soprattutto alle nuove generazioni.