Processi partecipativi ibridi per le persone vulnerabili nelle comunità liminali. Metodologie di analisi e di intervento
Andrea Volterrani
Università di Roma Tor Vergata, Italia
L’idea centrale del paper è quella di presentare e discutere le metodologie utilizzate per facilitare la partecipazione ibrida (on site e on line) della popolazione vulnerabile nelle comunità liminali in alcune regioni del Sud Italia e in alcuni paesi europei (Croazia, Polonia, Grecia).
Nel paper adottiamo il concetto di vulnerabilità universale ovverosia l’idea che tutti gli esseri umani sono vulnerabili almeno una volta nella loro vita rispetto ad alcune sfere della vita (Karwacki, Volterrani 2024). La vulnerabilità ha due assi portanti: le varie sfere della vita (reddito, lavoro, abitazione, relazioni sociali, relazioni familiari, salute, capacità e competenze digitali, capacità e competenze culturali, livello di istruzione, relazioni con le istituzioni) e il ciclo di vita. Per ogni persona l’analisi dell’incrocio fra queste due dimensioni consente di valutare lo stato della vulnerabilità individuale. A questi aspetti vanno aggiunte altre dimensioni che intervengono sullo stato di vulnerabilità individuale quali le risorse (personali, di contesto, finanziarie), gli entanglements, le competenze e le disponibilità digitali e i possibili processi di partecipazione disponibili. Il lavoro di ricerca che presentiamo si concentra sugli "spazi liminali", definiti come spazi caratterizzati sia da (1) processi di rifigurazione (Knoublach & Low, 2017) e, in particolare connessi con i processi di mediatizzazione profonda (Hepp, 2020; 2022) sia da (2) processi di marginalizzazione e vulnerabilizzazione (Castel, 1995; Brown, Ecclestone, Emmel, 2017), a loro volta connessi anche a fenomeni come la gentrificazione (Sennet, 2018) e defamiliarizzazione (Blokland, 2017; Blokland, Kruger, Vief e Schultze, 2022). Uno "spazio liminale", trovandosi "al confine di due spazi dominanti, che non fa pienamente parte di nessuno dei due" (Dale e Burrell, 2008), non apparefacilmente definibile in termini di utilizzo. Sono spazi in transizione (Turner 1974) dove le identità individuali e collettive rimangono fluide (Melucci 1996) oppure ancorate alle specificità anche devianti dei territori di appartenenza tanto da renderle familiari e scontate nel panorama della vita quotidiana (Blockland 2017, pp. 54-60). Partiamo dal presupposto che quando le comunità abitano gli spazi liminali e li considerano vitali e significativi per la loro vita quotidiana, questi cessano di essere spazi ambigui e diventano invece luoghi di abitazione transitori, che danno senso alle attività, ai linguaggi e alle istanze che vi si sviluppano (Casey, 1993). Il lavoro di ricerca fa riferimento sia alle comunità luminali del Sud Italia incontrate tramite il percorso di formazione e di ricerca/azione attivo da 15 anni di FQTS (Formazione Quadri Dirigenti del Terzo Settore nel Sud) delle quali abbiamo selezionato quelle più significative per la riflessione che proponiamo (Gela, San Severo, Pellaro) sia quelle incontrate attraverso il progetto europeo CERV in Polonia (Elblag), Croazia (Rjieka) e Grecia (Karditsa). In ciascuna di queste comunità liminali sono presenti persone con molteplici e articolate vulnerabilità nelle varie sfere della vita (con particolare densità di quelle sociali, culturali ed economiche) e rispetto al corso di vita con le quali sono stati co-costruiti i percorsi di ricerca-azione, di partecipazione ibrida (on site e on Line) e di co-design.
All’interno della ricerca-azione per rendere protagoniste e dare voce e spazi di partecipazione alle persone vulnerabili abbiamo usato un approccio per lo sviluppo sociale delle comunità che prevede un percorso di ascolto / osservazione partecipante / ricerca-azione / partecipazione ibrida / co-design progettuale, metodologie per facilitare il protagonismo e la partecipazione ibrida della popolazione vulnerabile attraverso l’uso di piattaforme di prossimità digitale (Ragnedda 2020; Antonucci, Sorice, Volterrani 2022), metodologie per facilitare il reale protagonismo nei processi decisionali inerenti le comunità liminali attraverso strumenti ibridi di democrazia deliberativa.
Tra sospensione e ri-appropriazione: iniziative per la riparazione nel post-terremoto dell’Appennino centrale
Enrico Mariani
Università di Urbino, Italia
Il terremoto che ha colpito l'Appennino centrale italiano tra il 2016 e il 2017 è uno dei disastri socio-economici più significativi accaduti in Italia negli ultimi anni. Il cratere comprende un’area estesa in quattro Regioni (Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria) e frammentata in 140 Comuni, interessata nel suo insieme dai fenomeni di marginalizzazione politico-economica e spopolamento che caratterizzano le aree interne italiane (Barca et al. 2014). Nel quadro di un’emergenza mai davvero conclusa (a cui nel 2020 si aggiunge l’emergenza pandemica), il paesaggio quotidiano nel cratere dell’Appennino centrale è composto da Zone Rosse ancora inaccessibili, strutture emergenziali che ospitano negozi e servizi, e dalle aree SAE (Soluzioni Abitative di Emergenza), le abitazioni unifamiliari predisposte dalla Protezione Civile. La patologizzazione degli sfollati durante l’emergenza e la successiva burocratizzazione dei terremotati, si erano già dimostrate tendenze in grado di agire come spinte alienanti e individualizzanti, sfibrando i legami sociali e mettendo in crisi l’attività dei comitati (Emidio di Treviri 2018, 2021). Le mappature di ascolto della comunità evidenziano, infatti, una forte richiesta di maggiore trasparenza e condivisione dei processi decisionali, nel quadro di una tensione tra attaccamento al territorio, sfiducia e rassegnazione antisistema che richiede di essere presa in carico oltre la logica emergenziale (Boccia Artieri et al. 2018). Questo intervento prende le mosse da una ricerca etnografica prolungata sull’abitare nel post-disastro, intendendo questo focus come punto di vista peculiare sull’Appennino centrale contemporaneo: da un lato le pratiche abitative sono la manifestazione di un adattamento processuale e discontinuo all’urbanistica dell’emergenza, dall’altro l’abitare emerge come chiave di lettura dallo stesso campo discorsivo del post-disastro, sovraccarico di problemi e questioni intrecciate che riguardano il presente e il futuro della relazione tra abitanti e territori. Il crinale spaziale della riconfigurazione urbanistica post-disastro si intreccia con le temporalità dilatate e differenziali di una ricostruzione che si muove a macchia di leopardo. Ad emergere nella ricerca etnografica sono le differenti risorse e capacità del posizionamento individuale e collettivo in uno scenario futuro profondamento incerto, caratterizzato dall’ossimoro della “temporaneità permanente” (Mariani 2023). Il presente intervento si propone di analizzare esempi di iniziative situate in zone diverse del cratere, con diversi obiettivi e tempistiche, e tuttavia accomunate dal tentativo di coinvolgere abitanti e territori in percorsi di partecipazione orientati al futuro della ricostruzione (Polci 2023). Il primo riguarda la scrittura corale di una guida di Ussita, intitolata “Guida di Comunità”, la quale si confronta con le potenzialità del turismo per la ripresa nel post-terremoto, ma anche con i rischi connessi alla valorizzazione e alla “tipizzazione” (Semi 2022). Il secondo riguarda i progetti di autoricostruzione, che tra auto-organizzazione e normative stringenti propongono una concezione di ricostruzione che travalica la dimensione materiale e si specifica come “riconoscimento” pubblico e successiva “riparazione” del danno (Centemeri 2006).
Il paesaggio come processo culturale. L’evoluzione del rapporto uomo-natura e la continua (ri)definizione partecipata dell’identità dei luoghii
Valentina Polci
Università di Camerino, Italia
La Convenzione Europea del Paesaggio considera il paesaggio come «bene», indipendentemente dal valore concretamente attribuitogli, ma come parte importante del patrimonio di una comunità. Esso è, infatti, un elemento di identità culturale, in quanto nutre il senso di appartenenza al luogo di individui e gruppi sociali, ed è al contempo un processo culturale, un intreccio storico e relazionale pressoché indissolubile di “ambiente” e “uomo”, che si esprime nella forma e nelle possibilità del “territorio”. Il paesaggio è lo spazio simbolico della comunità insediata: sono gli abitanti e gli appartenenti alla comunità locale i principali e normali produttori e conservatori della territorialità, e proprio la permanenza e la durevolezza dei caratteri identitari costituiscono l’indicatore principale della sostenibilità e il valore del luogo. Non si dà paesaggio senza trasmissione di saperi, modi e stili specifici di rapporto con il territorio, senza tradizione: si tratta di un processo dinamico di selezione, valorizzazione, adattamento del patrimonio, nel mantenimento della riconoscibilità del genius loci in maniera coerente ma sempre rinnovata. Paesaggio e memoria intrattengono dunque rapporti reciprocamente costitutivi. Nella CEP, l’introduzione del «fattore percettivo» rimanda a una dimensione sociale e partecipata del paesaggio. Solo la percezione della comunità può legittimare il riconoscimento del paesaggio in quanto tale, introducendo così nuove scale di valori e valutazione.
A partire da questo quadro teorico di riferimento, il presente studio si è sviluppato attorno a due domande di ricerca: quale può essere la funzione della sociologia e della ricerca sociale nel riconoscimento del senso dei luoghi e nella gestione del cambiamento continuo della relazione uomo-natura e del paesaggio, verso una continua ri(definizione) dell’identità? Quale contributo possono dare le conoscenze sociologiche e comunicative nella condivisione di responsabilità per la conservazione, la valorizzazione ma anche per la strutturazione di una narrazione storica del paesaggio, in un sistema multidimensionale e multisettoriale?
I risultati di alcune ricerche e progetti a diversa scala, recenti e in corso, – Horizon Europe, Interreg, PRIN, locali[1] – sembrano ravvisare, in questo ambito, le caratteristiche di una sociologia che “si fa pubblica”, attivando sfere pubbliche dialogiche e competenti, capaci di rendersi protagoniste del processo di cambiamento-riconoscimento-identificazione-comunicazione del paesaggio. Diversi approcci sociologici, d’altra parte, risultano determinanti in diverse fasi: nelle pratiche di sensibilizzazione delle popolazioni al bene paesaggio, nel riconoscimento delle caratteristiche identitarie del genius loci, nell’innescare momenti di autoformazione degli abitanti verso uno specifico senso di appartenere a una comunità e a un luogo, che li renda più sensibili agli equilibri dell’ambiente in cui vivono, che rafforzi in loro la capacità di organizzarsi, di affermare la propria volontà di partecipare alle decisioni pubbliche sul paesaggio e di accedere alle basi del potere sociale. Anche gli strumenti comunicativi seguono sentieri multidisciplinari, dalle metodologie visuali e di design thinking alle nuove tecnologie, dai social media all’AI, ed evidenziano l’imprescindibile necessità di avvalersi delle collaborazioni e competenze multisettoriali del design, della pianificazione, dell’ecologia, della filosofia, dell’estetica, dell’etica, della storia, dell’informatica, del diritto, verso la co-creazione di paesaggi culturali.
Siamo allora in presenza di una vera e propria rivoluzione concettuale con la quale viene superato l’approccio settoriale del paesaggio, in funzione di una visione integrata e trasversale, che si riflette in alcuni ambiti cruciali della contemporaneità, quali, ad esempio, quello della pianificazione territoriale, anche post-disastro e/o in territori fragili, o quello del turismo sostenibile, con mete non cristallizzate e continuamente rinegoziate, e conseguenti nuovi modi di fruizione, comunicazione e valorizzazione territoriale.
[1] BETTER Life _ Bringing Excellence to Transformative Socially Engaged Research in Life Sciences through Integrated Digital Centers - Horizon Europe; BOOST5 Leveraging results of 5 IT-HR projects to boost touristic valorisation of cultural, off-road, industrial and natural heritage - Interreg Italia Croazia
Migrazione e politiche di rigenerazione territoriale: un approccio win-win? Esperienze nell'Appennino italiano
Chiara Davino1, Camilla Ioli2
1Università di Bologna, Italia; 2Università di Bologna, Italia
Le aree di contrazione europee, regioni in declino demografico ed economico (ESPON, 2017), hanno rivestito nell'ultimo decennio un ruolo significativo nell'accoglienza di migranti volontari e forzati (Membretti et al., 2017; Anci e Ministero dell'Interno, 2022). Nonostante le statistiche descrivano questo fenomeno come strutturale, con effetti eterogenei tanto sui territori quanto sulle comunità abitanti (Kordel et al., 2018), nelle narrazioni mediatiche e nei discorsi politici prevale solitamente una cornice emergenziale (Musarò e Parmiggiani, 2022), alterizzante verso i migranti e improntata a inquadrare come "scarto" (cf. Lynch, 1992) le aree in contrazione (Membretti et al., 2022; Moralli et al., 2023).
Contrastando sia la marginalizzazione pubblica delle pratiche che non si allineano alla narrazione dominante in tema di migrazione, sia l'assenza di sinergie tra le politiche di rigenerazione territoriale e quelle di accoglienza – aspetti che limitano fortemente sia la conoscenza reciproca e lo scambio di buone pratiche tra contesti territoriali sia la possibilità di sviluppare approcci sostenibili dell'- e all'accoglienza nei territori interni su scala nazionale – la ricerca mira a indagare da una prospettiva bottom-up il ruolo degli enti locali e delle cooperative del terzo settore nell'attivazione di progetti di accoglienza in un contesto di governance multilivello. Inoltre, indaga quali siano le codizioni attraverso cui i progetti locali contribuiscono all'accessibilità sociale, alla promozione di strategie win-win (tanto per gli abitanti di lunga data quanto per quelli di nuova e vecchia migrazione) e di empowerment individuale e collettivo. Avvalendosi degli strumenti dell’analisi qualitativa (interviste in profondità semi-strutturate rivolte a testimoni privilegiati selezionati tra i membri delle comunità abitanti e delle istituzioni locali dei comuni scelti come casi di studio), la ricerca mette a sistema i risultati di tre diversi progetti di ricerca, ricostruendo il ruolo dell'accoglienza in tre province dell'Appennino: la provincia di Lucca (nell'ambito del progetto PRISMA - Università di Sant'Anna), di Potenza (nell'ambito di una ricerca di dottorato PON - Università di Bologna) e di Reggio Calabria (nell'ambito del progetto europeo Horizon 2020 Welcoming Spaces - Università di Bologna). In controtendenza rispetto al filone di studi dominante, concentrato sull'arco alpino, la scelta di tali contesti risponde alla necessità di approfondire aree ulteriormente marginalizzate dagli studi in ambito sociologico. L'analisi dei dati rivela un inquadramento spesso utilitaristico del fenomeno migratorio nel contesto della rigenerazione territoriale e mette luce sul fatto che il successo o il fallimento di progetti combinati di accoglienza e rigenerazione è spesso legato tanto ai diversi gradi di intenzionalità alla progettazione dell'accoglienza da parte degli enti locali, quanto ai diversi gradi di radicamento sociale e territoriale delle organizzazioni del terzo settore coinvolte nella gestione operativa dei centri. Inoltre, incide sull'esito di un'effettiva strategia win-win, la scelta degli enti locali sulle categorie di migranti da accogliere. Superando la comune percezione di ciò che si tiene simbolicamente e materialmente "vicino" o "lontano", la ricerca mostra come l'attenzione alla micro-scala risulti maggiormente efficace nel fare da cassa di risonanza per i limiti e le opportunità dei processi locali in corso, tanto decostruendo immaginari territoriali e sociali superficiali e stereotipati quanto approfondendo un dibattito altrimenti polarizzato e poco attento alle specificità locali.
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