La mia vita violenta. La violenza negli immaginari giovanili contemporanei tra naturalizzazione e spettacolarizzazione.
Mariella Popolla1, Sebastiano Benasso2
1Università di Cagliari, Italia; 2Università degli Studi di Genova, Italia
Il tema della violenza ha assunto nuova centralità negli immaginari delle giovani generazioni. La partecipazione al dibattito mainstream sulla violenza mediato dalle tecnologie digitali produce una nebulosa discorsiva attraversata da polarizzazioni, continuità e apparenti contraddizioni. Le nuove tecnologie e le nuove forme di comunicazione offrono spazi e modi per la circolazione di discorsi che da un lato promuovono consapevolezza e istanze di mutamento, in particolare per quanto riguarda la violenza di genere (Popolla, 2023) e, dall’altro si allineano alle logiche di un’economia dell’attenzione che individua proprio nella spettacolarizzazione della violenza un potenziale estrattivo fondamentale nella costruzione della reputazione delle (micro)celebrità (Saitta, 2023). Rispetto alla dimensione di genere, soprattutto le giovani donne sembrano condividere in questi contesti una crescente sensibilità per le condotte e gli agiti violenti, ma dal punto di vista delle narrazioni e degli immaginari veicolati online questo non si traduce necessariamente in una comprensione degli aspetti di riproduzione culturale e strutturale che informano le dinamiche di genere sottese alla violenza. A questo proposito, in questo intervento si prenderà in esame l'emersione su TikTok e Instagram di interpretazioni patologizzanti (#narcista) o gender blind (#malessere) della violenza, allo scopo di indagare come le nuove generazioni rappresentino e costruiscano il discorso sulla violenza di genere, quali parole e concetti mobilitino per nominarlo, quali cambiamenti abbiano investito i modelli relazionali più diffusi. A complemento di questa analisi, e in ragione delle dinamiche riflessive che si generano tra gli immaginari della Generazione Z e la narrazione prodotta nei confini sfumati della musica trap (Cuzzocrea e Benasso, 2020; Benasso e Benvenga, 2024), si esploreranno i processi di costruzione e diffusione di un ethos violento interpretabile a partire dalla risposta alla violenza istituzionale (Grassi, 2022) impressa su molte delle biografie degli/le trapper, ma anche in termini di strategia di self-branding (Chicchi e Simone, 2017) e monetizzazione della visibilità.
In senso più ampio, attraverso queste contestualizzazioni intendiamo osservare come la retorica neoliberale che inquadra gli individui come agenti onnipotenti che creano le proprie circostanze produca conseguenze solo parzialmente contraddittorie. Da un lato, infatti, per quanto riguarda la violenza di genere le persone sono spesso raccontate come vittime a causa della loro limitata capacità di evitare o superare le avversità (Lewis & Anitha, 2019). Dall'altro, nel caso della cultura trap, nonostante la violenza venga interpretata come istituzionale, le strategie di risposta si configurano come necessariamente individualizzate e dipendenti da capacità, motivazioni e risorse personali. Questo sospende, o addirittura annulla desideri di cambiamento proiettati sulla dimensione sistemica. Nella traduzione biografica di istanze che sono in realtà sociali, si creano dunque configurazioni specifiche, di lettura o di risposta, che sembrerebbero depotenziare il portato collettivo e politico del discorso sulla violenza, quantomeno nelle sue accezioni classiche, trovando talvolta una propria collocazione nell’ambito delle cosiddette economie reputazionali (Langlois & Slane, 2017).
Una regina negli scacchi? Dinamiche sociali e identitarie nella comunità scacchistica italiana
Oscar Ricci
Università Milano-Bicocca, Italia
La pratica degli scacchi si configura come un universo sociale intriso di rapporti culturali, dinamiche di potere e sfumature identitarie (Fine, 2013; Fine, 2015). Negli ultimi anni, si è assistito a un rinato interesse per gli scacchi, un fenomeno alimentato principalmente da due fattori fondamentali. Prima di tutto, il successo ottenuto dalla serie televisiva "La regina degli scacchi" ha svolto un ruolo catalizzatore, portando l'attenzione del pubblico verso questo gioco. In aggiunta, l'accessibilità crescente delle piattaforme online ha in parte democratizzato la pratica degli scacchi, permettendo a un vasto spettro di persone di partecipare attivamente all'interno di un ambiente digitale interattivo. L'obiettivo di questa ricerca è analizzare la comunità degli scacchi in Italia, con lo scopo di esplorare le interconnessioni tra genere, identità e inclusività all'interno di questo contesto specifico. Numerose ricerche hanno già indagato le molteplici sfaccettature della disparità di genere nel mondo degli scacchi, esaminando le ipotesi che vanno dalla biologia alle influenze sociali e culturali sulla partecipazione e sulle prestazioni delle giocatrici (Drebera, Gerdesb, Gränsmarkb, 2013; Arnold et al., 2023; Shahade, 2005; Brancaccio, Gobet, 2023; Napp, Breda, 2023; Blache, 2016; Stoet, Geary, 2018). In particolare, ci concentriamo su un evento di rilevanza pubblica avvenuto l'anno scorso: il controverso divieto imposto a una persona transessuale di partecipare ai campionati femminili. Ad agosto del 2023, infatti, la Fide (la federazione internazionale di scacchi) ha rilasciato una nuova policy riguardante la partecipazione delle persone transgender agli eventi scacchistici. Secondo le disposizioni di questa policy, denominata "“FIDE regulations on transgender chess players’ registration on FIDE directory ", le persone che transitano da maschio a femmina sono temporaneamente escluse dalla partecipazione agli eventi femminili ufficiali, in attesa che la FIDE conduca ulteriori analisi e giunga a una decisione finale. Per indagare come la comunità delle scacchiste e degli scacchisti italiani abbia reagito a questa disposizione, abbiamo adottato una metodologia qualitativa che comprende interviste semi strutturate e focus group condotti durante tornei e raduni scacchistici, oltre a un'etnografia digitale di spazi online dedicati alla discussione delle pratiche scacchistiche. Questo approccio ci ha consentito di cogliere una vasta gamma di prospettive e opinioni all'interno della comunità scacchista italiana, permettendoci di esplorare le complesse dinamiche sociali, culturali e identitarie che caratterizzano questo contesto. Questa ricerca si propone di contribuire al dibattito in corso sulla relazione tra genere e pratica degli scacchi, fornendo nuove prospettive e approfondimenti sulle dinamiche sociali e identitarie all'interno di questa comunità. I risultati della ricerca possono avere implicazioni non solo per la comunità scacchista, ma anche per il dibattito più ampio sulla diversità, l'inclusività e l'equità di genere nella società contemporanea.
Pratiche digitali, genere e sessualità nelle vite quotidiane delle/degli adolescenti italiane/i
Cosimo Marco Scarcelli1, Lorenza Parisi2, Vittoria Bernardini1
1Università di Padova, Italia; 2Link Campus University
Il contributo intende approfondire il rapporto tra pratiche digitali, genere e intimità nella vita quotidiana delle/degli adolescenti. I media digitali sono stati analizzati come ambienti che offrono ai giovani agency e spazi in cui costruire ed esprimere la propria identità (boyd 2014), attraverso pratiche di bricolage (Willett 2008) e di sperimentazione, anche per quanto riguarda genere e intimità (Livingstone & Mason 2015; Scarcelli 2015; De Ridder 2017; Metcalfe & Llewellyn 2020; Ferreira 2021). Gli studi esistenti si sono concentrati principalmente sulle interazioni comunicative (ad esempio il “sexting”) in connessione alla costruzione del genere e della sessualità (Ringrose et al. 2013; Scarcelli 2020); alle dimensioni di genere delle rappresentazioni e autorappresentazioni della maschilità e della femminilità (Marshall et al. 2020; Caldeira 2021); e all’uso di piattaforme per l’espressione personale e il supporto sociale, in particolare per le donne e le persone LGBTQ+ (Tortajada et al. 2021). Lo scopo del nostro contributo è analizzare come le/gli adolescenti italiani (15-18 anni) (ri)definiscono la loro comprensione di genere e intimità attraverso l’uso dei media digitali nella loro vita quotidiana. Il nostro approccio adotta il paradigma delle media practice (Couldry 2012) per comprendere cosa fanno le/i giovani con e attraverso i media digitali nelle situazioni specifiche di vita quotidiana in cui agiscono, esaminando in che modo le/gli adolescenti (ri)negoziano le loro identità di genere e la vita intima. Il nostro progetto mette le/i giovani e le loro esperienze al centro del processo di ricerca, adottando un approccio di progettazione partecipativa che prevede l’uso di attività pratiche e artefatti materiali per stimolare la creazione di conoscenze e l'apprendimento reciproco tra i partecipanti. Nello specifico, le tracce di intervista e le attività per i focus group sono co-costruite attraverso workshop preliminari con un gruppo di 10 adolescenti (Young Researchers Group), che agiscono come "partner epistemici" (Holmes & Marcus 2012) nell'ideazione del contenuto e della struttura del focus group adatti all'uso in focus group con altri partecipanti adolescenti. Utilizzando queste attività, sono in corso sei focus group con studenti di età compresa tra 15 e 18 anni delle scuole secondarie di sei città in tre diverse regioni italiane (Nord/Centro/Sud). Per consentire ai partecipanti di esprimersi e riflettere su argomenti delicati come la sessualità, l'intimità e l’identità di genere focus group utilizzano i moodboard come metodi di elicitazione visiva per stimolare la discussione dei partecipanti (Spawforth-Jones 2021). Il materiale empirico raccolto dai focus group è analizzato attraverso l'analisi critica del discorso e l'analisi del contenuto visivo delle moodboard. I risultati dei focus group saranno successivamente discussi con il gruppo delle/dei Young Researchers per interpretarne il contenuto. I risultati coprono un'ampia gamma di pratiche digitali, comprese le autorappresentazioni di genere degli adolescenti sui social media, il ruolo dei media digitali nelle relazioni intime e affettive, l'uso e le attitudini verso le dating app, la fruizione e lo scambio di contenuti intimi tramite smartphone e/o Internet, comprese le funzioni di geolocalizzazione, le pratiche di ricerca e condivisione di informazioni riguardanti questioni di genere o sessuali con specifici pubblici in rete.
La comunicazione pubblica contro la violenza sulle donne. Un’analisi comparata sulle campagne di sei paesi europei
Raffaele Lombardi1, Tamara Kunić2, Gaia Peruzzi3
1Lumsa Università Roma, Italia; 2Sveučilišta u Zagrebu, Croazia; 3Sapienza Università di Roma, Italia
Il fenomeno della violenza maschile contro le donne ha acquisito negli ultimi due decenni una notevole visibilità nel discorso pubblico e nell’agenda dei media, fino ad entrare a pieno titolo nel mainstream. La definizione stessa di violenza di genere è stata oggetto negli ultimi anni di profonde trasformazioni, caratterizzate da una centralità del contesto sociale che ridefinisce nella modernità i ruoli e le relazioni di genere.
Il fatto che, nonostante tale accresciuta visibilità del problema, il numero dei femminicidi e delle violenze di genere rimanga drasticamente stabile e trasversale a classi e generazioni, pone seri dubbi agli studiosi, compresi i sociologi, sulle loro capacità di proporre chiavi di lettura adeguate e soluzioni ai problemi sociali.
Sul piano culturale la prevenzione attraverso i media e la formazione sono le strategie di lungo periodo più accreditate. La pervasività dei media e la capacità di orientare l’opinione pubblica costituiscono il presupposto per la ricerca sulle narrazioni ricorrenti, i formati, i linguaggi e gli immaginari evocati dai media in tema di gender-based-violence. In questo contesto la comunicazione pubblica acquisisce una responsabilità particolare nei confronti dei cittadini
Tra il 2008 e il 2009, infatti, gli enti governativi di molti Paesi europei iniziano un percorso costante di sensibilizzazione e denuncia del problema attraverso gli strumenti della comunicazione istituzionale con l’obiettivo di contrastare e prevenire la violenza di genere. Nonostante gli enti pubblici siano stati i principali promotori delle campagne di comunicazione per contrastare la violenza di genere, questo aspetto è stato poco approfondito dalla ricerca, che invece ha fornito numerose indagini sulla comunicazione promossa dalle imprese private, in particolare ai fenomeni di femvertising, pink & gender washing.
Il contributo qui proposto si propone di affrontare lo studio delle campagne di prevenzione della violenza contro le donne promosse dalla istituzioni pubbliche di diversi paesi europei.
Quali sono i contenuti e i linguaggi utilizzati dalla comunicazione pubblica per sensibilizzare i cittadini? Quali forme di violenza intendono contrastare le narrazioni proposte? Quali azioni e forme di prevenzione e contrasto propongono? A quali attori sociali si rivolgono? Quali immagini/ideologie della maschilità e della femminilità promuovono? Considerando i dibattiti ricorrenti sui ruoli e le responsabilità delle istituzioni, si rintracciano nelle campagne pubbliche forme di deresponsabilizzazione o delegittimazione delle azioni di violenza?
Trattandosi di uno studio longitudinale e comparato, per tutte le dimensioni sopra citate si cercherà di rintracciare se esistono differenze e peculiarità tra i paesi europei coinvolti nell’indagine?
Il materiale empirico è costituito da quasi un centinaio di campagne audiovisive prodotte dal 2009 al 2024 dalle istituzioni pubbliche di 6 Paesi Europei: Belgio, Croazia, Francia, Italia, Polonia, Spagna. Il corpus è stato raccolto da un team di ricercatori residenti nei diversi paesi, consentendo un’analisi dei prodotti nelle diverse lingue nazionali. L’analisi dei prodotti audiovisivi è stata effettuata secondo l’approccio tripartito dell’analisi del contenuto comprendente: analisi descrittiva, analisi interpretativa, analisi critica.
I risultati dell’indagine forniscono una serie importante di evidenze in risposta a tutte le domande di ricerca sopra-elencate. La prospettiva temporale consente di ricostruire una prima fotografia dei cambiamenti avvenuti nelle mentalità e nei linguaggi nell’ultimo decennio; la comparazione internazionale suggerisce considerazioni sugli investimenti e le strategie di paesi diversi di fronte a un problema comune.
Il mio corpo in shadowban. Performance drag, pratiche di moda e corpo rivestito queer offline e online
Gabriele Forte, Patrizia Calefato
Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Italia
Questo lavoro di ricerca si colloca in un percorso di riflessione che attraversa politiche dell’identità, narrazioni di moda e pratiche mediali e creative concentrandosi sulla connessione tra performance drag e moda, e rivolgendo un interesse particolare alla presentazione del corpo queer negli spazi offline e online. Il corpo rivestito rappresenta lo spazio performativo delle identità (Calefato 2004, 2021), il luogo dove la moda esprime il suo carattere ambivalente: espressione di relazioni di potere (Wissinger 2016), riproduce e sovverte codici culturali. Ciò è particolarmente evidente per quanto riguarda la definizione di soggettività e comunità queer (Gegzy, Karaminas 2013; Karaminas, Taylor 2022; Steele 2013), all’interno delle quali la cultura drag è identificata come performance che ribalta le credenze del senso comune (Santamaria 2021) attraverso scelte e codici stilistici che producono una distinzione tra il naturale e l'artificiale (Butler 1993, 1999). Per questo studio ci siamo concentrati sull’analisi della comunità queer della città di Lecce, dove la scena drag, i suoi eventi e le forme di presentazione offline e online, costituiscono l’avamposto più evidente dell’emersione delle istanze collettive e lo spazio dove la sovrapposizione tra dimensioni ludiche e attivismo dal basso creano un ponte tra spazi urbani e online, producendo contropubblici queer ibridi e connessi (Warner 2002). La metodologia utilizzata è di tipo qualitativo, ovvero una etnografia degli show drag e interviste a performer, attraverso le quali sono emerse una serie di pratiche legate alla moda che contribuiscono alla costruzione della comunità e alla definizione della propria performance. Attraverso l’esplorazione dei profili Instagram delle performer, ci focalizziamo altresì sul ruolo degli spazi online e sull’utilizzo dei social media come pratiche di costruzione identitaria per soggettività queer (O'Riordan, Phillips 2007; Siebler 2018; Duguay 2022). Se gli studi sulla mediatizzazione della moda (Rocamora 2017; D'Aloia e Pedroni 2022) suggeriscono di analizzare il fenomeno anche attraverso l’analisi dell’appropriazione dei dispositivi e dei linguaggi mediali, soprattutto per quanto riguarda i social media è necessario confrontarsi con la moderazione dei contenuti, le discriminazioni algoritmiche e le affordances legate al genere (Schwartz, Neff 2019). Da un lato quindi, abbiamo la necessità di comprendere possibilità e limiti delle pratiche e dei codici della moda nella definizione di soggettività queer; dall’altro, posizionandosi negli spazi online, abbiamo ancora la necessità di analizzare quanto le linee guida di una piattaforma e i meccanismi algoritmici possano incidere sulla presentazione del corpo rivestito queer, sulla diffusione di una performance, su una carriera artistica e sulla necessità di creare spazi safe (Hartal 2018, Lohman 2022) per riconoscimento e (in)visibilità.
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