Programma della conferenza

VI Convegno Nazionale SISCC “Possiamo ancora capire la società. Comprensione, previsione, critica.” / Roma, 20/21 giugno 2024

Il convegno 2024 della SISCC, in continuità con quelli degli scorsi anni, intende esplorare le complesse relazioni fra potere e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità che provengono da esperienze diffuse ma non necessariamente connesse. La SISCC ritiene che l’immaginazione sociologica debba essere supportata da una capacità di analisi scientifica e da una comprensione critica della società. Quale può essere allora il nostro ruolo di scienziati e scienziate sociali? E, in particolare, quale contributo possiamo dare alla comprensione della società proprio a partire dallo studio dei processi culturali e comunicativi che attraversano il nostro tempo?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 2 - Panel 9: Anticipatory Governance. Governare, prevedere e anticipare in contesti sociali sempre più incerti, complessi e diversi
Ora:
Giovedì, 20.06.2024:
15:30 - 17:00

Chair di sessione: Riccardo Prandini
Luogo, sala: Aula T02


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Presentazioni

Anticipatory Governance. Governare, prevedere e anticipare in contesti sociali sempre più incerti, complessi e diversi

Riccardo Prandini1, Gianluca Maestri2, Martina Visentin3, Sara Chinaglia1, Giulia Ganugi1

1Università di Bologna, Italia; 2Università di Parma, Italia; 3Università di Padova

Chairperson: Riccardo Prandini, Università di Bologna

Le sfide odierne - come l’automazione, il cambiamento climatico, l’invecchiamento della popolazione, le pandemie e la diffusione dell’intelligenza artificiale, etc. - hanno conseguenze imprevedibili e incerte a livello globale. I sistemi complessi sono diventati la norma piuttosto che l’eccezione. Per esempio la crisi sindemica, dovuta alla diffusione del COVID19, ha mostrato ancora di più la necessità di investire nella prevenzione. In questo contesto, approcci standardizzati e solo “reattivi” alla definizione delle politiche si sono rivelati sempre più inefficaci. Prepararsi anticipatamente a rispondere a crisi sempre più probabili, sebbene non prevedibili, è diventata una necessità. L’esigenza di policy “anticipatorie” è legata ad almeno tre dimensioni strettamente interconnesse: 1) la diversità, intesa come il pluralismo degli attori coinvolti, dei loro punti di vista e delle salienze portate nel campo d’azione; 2) la complessità, riferita più specificamente alle interdipendenze tra le aree di policy e i sottosistemi coinvolti; 3) l’incertezza, definita come la mancanza di conoscenza di un sistema o la presenza di gap conoscitivi. Di fronte a queste problematiche, sia i policymaker che i sistemi esperti hanno la tendenza a semplificare e a considerare come loro orizzonte d’aspettativa un “futuro del presente” simile al presente attuale, creando così un falso senso d’adeguatezza, piuttosto che riconoscere l'imprevedibilità di un “presente nel futuro” non deducibile dall’hic et nunc. Questa tendenza è fortemente legittimata da un sistema scientifico dominato da approcci razionalistici, positivistici e quantitativi. La disponibilità di Big Data e del loro trattamento algoritmico, si lega strettamente ai cosiddetti approcci “evidence-based” creando un “senso comune” che valorizza la cosiddetta “previsionalità”. Il risultato è l’emersione di risposte istituzionali codificate incapaci di attivare dinamiche di lettura dei bisogni e di decision-making realmente innovative.

A scompigliare questo punto focale contemporaneo, praticamente non messo in discussione se non mediante critiche “tecnocratiche” a lora volta molto ideologiche, è invece una crescente ricerca sull’anticipazione. Anticipazione che non significa previsione, in quanto consapevole che il “novum”, se davvero è tale, non è semplicemente deducibile dalla presentificazione del futuro. Gli attori territoriali - pubblici, privati e di terzo settore, coinvolti nella governance di servizi pubblici sembrano, dunque, aver bisogno di un nuovo approccio di definizione e governance delle politiche che consenta loro di affrontare in modo efficace problemi complessi e incertezze costanti con nuovi strumenti. Questo approccio si orienta al futuro, “potenzializzandolo” mediante l’apertura di immaginari possibili e realizzabili ma non ancora sperimentati. Nonostante la necessità di integrare sempre di più gli strumenti di previsione nella definizione delle politiche, ogni stakeholder (dal livello locale a quello nazionale) non sembra mostrare una sufficiente propensione all’incertezza del futuro e di conseguenza neanche possedere le competenze pratiche per agire nel presente, rimanendo aperti al futuro. Infatti, spesso si evita di mettere in discussione gli esiti raggiunti, non attivando processi di revisione condivisa o non riflettendo sui potenziali fallimenti.

Il panel intende introdurre il concetto di “governance anticipatoria e trasformativa” (OECD 2023), presentando riflessioni teoriche e di ricerca capaci di stimolare applicazioni territoriali. Lo fa introducendo riflessioni ed esempi che evidenziano alcuni elementi di questa nuova governance, sia a livello di decision-making e design delle politiche sia a livello d’implementazione ed erogazione delle politiche/servizi. Tali elementi riguardano processi iterativi di riflessione condivisa su problemi e obiettivi; ampia discrezionalità e autonomia degli stakeholder coinvolti nella governance; processi di apprendimento fra pari; revisione e monitoraggio del lavoro avviato. Il panel rappresenta anche un esempio di come ragionare nei termini della “cultural sociology”, cioè d’osservare ed analizzare i processi e le strutture sociali mediante lenti culturali.

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Foresight and Anticipatory. Ricomprendere le culture temporali della governance tra pre-visioni, big data e algoritmi

Gianluca Maestri, Università di Parma

L’Anticipatory Governance costituisce una delle quattro aree in cui la previsione può fornire un contributo importante al lavoro delle burocrazie pubbliche nell’ambito dell’attuazione degli UN’s Sustainable Development Goals. Come tale, essa si presenta nelle vesti di un approccio innovativo nel processo decisionale, focalizzato sulla previsione e sulla gestione proattiva dei “futuri possibili”. Come indicato dall’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), tale metodologia ambisce a integrare la strategic foresight nelle strutture di governance al fine di rispondere con efficacia alle sfide emergenti. A partire da questa prospettiva, il contributo intende considerare criticamente l’azione anticipatoria – prevedere, prefigurare o predire eventi futuri – che ha acquisito un valore sempre maggiore come modalità per affrontare problemi complessi di vasta portata, tra cui emergono, nella loro interconnessione, Climate Change, Environmental Sustainability, Social Inequalities, Human Rights e Global Health. Generalmente, l’anticipazione comporta l’immaginazione di un evento o di uno stato futuro nel presente e può rappresentare sia un’attività organizzativa, sia un’aspirazione fondamentale del sistema politico. Stati, imprese e organizzazioni della società civile ritengono che la “conoscenza” del futuro sia indispensabile per una serie di finalità, tra cui la mobilitazione del sostegno alle proposte politiche, l’empowerment del processo strategico e decisionale – in termini di “facticity” e prevedibilità – e l’acquisizione di credibilità, competenza e capacitazione in un orizzonte di contingenze. Tuttavia, se l’aumento e l’istituzionalizzazione della strategic foresight nelle amministrazioni pubbliche dipendono da una serie di equilibri, occorrerà comprendere come mantenere un’indipendenza sufficiente a produrre risultati che sfidino il pensiero dei decision-maker. Infatti, la riuscita dell’istituzionalizzazione di successo dovrebbe basarsi sul fatto che i policy-makers e i professionisti della previsione trovino il giusto equilibrio per il loro contesto e per molti altri nodi critici. Sebbene gli ecosistemi specifici di previsione (specific foresight ecosystems) siano plasmati dal contesto storico, culturale e socio-politico dei loro Paesi e delle loro istituzioni, è possibile riflettere su elementi comuni, nei casi di istituzionalizzazione di successo della strategic foresight, che possono servire da guida per i governi che cercano di raggiungere policy capacitanti. In questo quadro, il contributo si soffermerà su alcune best practices di anticipatory governance che stanno attualmente emergendo. Inoltre, in contesti sociali rapidamente mutevoli, specialmente nell’affrontare le “future challenges” in termini di governance, l’approccio evidence-based policy (EBP) sembra evidenziare diverse limitazioni connesse all’incertezza e alla complessità, alla rapidità dei mutamenti, ai valori e alle preferenze, all’accesso e alla qualità delle evidenze e alla polarità “Long-term policies” vs. “political cycles”. Per cercare di comprendere tali limitazioni, il contributo intende esplorare cosa offre in termini innovativi la distinzione tra strategic foresight e anticipatory governance, valutandone potenzialità e limiti rispetto ai modelli di governance attuali. Attraverso l’analisi di pratiche consolidate in contesti governativi e organizzativi plurali, si discuterà di come l’approccio “foresight” possa favorire o meno una visione più complessa e multidimensionale dei possibili futuri, promuovendo politiche più flessibili. L’anticipatory governance, utilizzando questa prospettiva per informare e guidare il processo decisionale, potrebbe rivelarsi essenziale per lo sviluppo di strategie di governance adattabili e floride nell’incertezza. Contestualizzando i limiti delle evidence-based policy, il contributo si concluderà con alcune riflessioni sulla necessità di ripensare la cultura della governance nell’ambito del policy-making. Per fare ciò, l’analisi intende avvalersi degli strumenti concettuali forniti da Niklas Luhmann e da Reinhart Koselleck, sia per una piena comprensione della distinzione tra foresight e anticipatory
governance, sia per esplorare le semantiche della pre-visione e della pre-dizione circa i fenomeni sociali.

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Tecniche per pro-gettare la governance anticipatoria di ecosistemi di innovazione sociale. Spunti per professionisti territoriali e ricercatori sociali

Giulia Ganugi, Università di Bologna

A fronte di maggiore diversità, complessità e incertezza nella società contemporanea, la generazione di giustizia sociale, intesa come inclusione delle diversità ed effettiva partecipazione (Verschuere et al. 2018), necessita di processi di co-creazione dei servizi, capaci di coinvolgere sia i beneficiari nella fase di co-produzione sia le organizzazioni pubbliche, di terzo settore e private nelle fasi di co-design e co-management. A livello operativo, anche il Codice del Terzo Settore del 2017 (art. 55) si è espresso in tal senso, sostenendo un maggiore utilizzo di strumenti di collaborazione e fornendo, in particolare, chiare indicazioni per l’implementazione di co-programmazioni e co-progettazioni. In questo contesto, ciò che si prospetta agli attori che si occupano di servizi sociali, culturali e sanitari è duplice. Da un lato, la necessità di governare e/o collaborare all’interno di ecosistemi territoriali, ovvero ambienti organizzativi, istituzionali e culturali (Christoph et al. 2017) in cui l’innovazione sociale è co-creata da una pletora di attori e condizioni (Pel et al. 2020). Dall’altro lato, la necessità di implementare la capacità – da parte di ogni organizzazione partecipante all’ecosistema – di auto-governarsi per raggiungere i propri obiettivi, ma anche gli obiettivi dell’intero ecosistema. Più nel dettaglio, la partecipazione all’ecosistema e alla sua organizzazione, richiede lo sviluppo di una governance sperimentalista, composta da: a) condivisione di problemi, bisogni e conseguenti obiettivi comuni; b) autonomia e discrezionalità di ogni attore nelle modalità di realizzazione degli obiettivi; c) apprendimento in ottica paritaria e non gerarchica; d) continua revisione del processo (Sabel 2013).
Questo approccio ecosistemico obbliga a spostare l’attenzione dai servizi e progetti sviluppati territorialmente, intesi come prodotto dell’innovazione sociale, ai processi di cambiamento delle culture professionali e delle relazioni sociopolitiche tra attori territoriali, considerando anche gli strumenti e le tecniche di lavoro potenzialmente utili per creare e gestire l’innovazione. Strumenti e tecniche che appartengono ad approcci di design thinking (Seitz 2020) o design civico (Clancio e Alberola 2018) e all’approccio “anticipativo” e sono caratterizzati dal coinvolgimento e dalla collaborazione di molteplici stakeholder. Ogni tecnica può essere utilizzata in fasi diverse della creazione di un progetto o di un servizio e con obiettivi diversi, ma sono accomunate da due elementi: includono fasi di divergenza, in cui si creano opzioni, e fasi di convergenza, in cui si fanno delle scelte; sono human centered, centrate sulle persone, in modo da focalizzarsi, prima di tutto, sulla capacità delle soluzioni ideate di rispondere realmente al bisogno degli stakeholder coinvolti e, solo in un secondo momento, su quali risorse e tecnologie servono per realizzare tali soluzioni.
Il presente contributo vuole analizzare le tecniche di lavoro utilizzate in un processo avviato nel 2022 dal Comune di Bologna per revisionare il precedente Regolamento per la gestione dei beni comuni urbani e tutto il sistema di amministrazione condivisa della città. L’obiettivo è ragionare sulla capacità di queste tecniche di includere la diversità degli attori territoriali e di coinvolgerli effettivamente, ponendo le basi per la creazione di un ecosistema. Quali operazioni (non) permettono queste tecniche? Quali dinamiche di potere e di voice implicano? Quali ostacoli sono stati incontrati nel loro utilizzo dall’attore pubblico trainante? Come vengono accolte dagli attori partecipanti? Attraverso le considerazioni emerse dal caso bolognese, si vogliono lanciare spunti di riflessione più generale da approfondire con ulteriori ricerche sui processi di co-creazione e sulle tecniche di lavoro utilizzate dagli stakeholder coinvolti negli ecosistemi. Interessante sarebbe anche approfondire il ruolo dei ricercatori sociali stessi nell’utilizzare questo tipo di tecniche per fare ricerca partecipativa e ricerca-azione.

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Governance sperimentalista e Alternative Food Network: riflessioni critiche su framework teorico e applicazione a due casi studio sul territorio bolognese

Sara Chinaglia, Università di Bologna

La crescente incertezza, complessità e volatilità delle attuali sfide globali ha fatto emergere i limiti della governance top down stimolando la nascita di forme di governance definite post-hierarchical. Tra di queste emerge una forma di governance denominata “sperimentalista” (Sabel & Zeitlin, 2012).
Questa forma di governance si caratterizza per il carattere iterativo e circolare delle relazioni tra gli attori coinvolti in questo meccanismo. Questi, infatti, sono chiamati a definire un obiettivo generale (ad esempio “acqua pulita” o “cibo sano”) e a cooperare congiuntamente verso il raggiungimento dello stesso. In seguito viene lasciata totale autonomia ad una serie di autorità locali affinché si impegnino al raggiungimento del suddetto obiettivo. Condizione necessaria per il mantenimento dell’autonomia è la costante cooperazione e lo scambio di conoscenze da effettuarsi attraverso attività di reporting. L’attività di reporting è, a sua volta, funzionale ad un’attività di revisione durante la quale si analizzano e si discutono gli obiettivi raggiunti e si monitora l’operato degli attori partecipanti. Il funzionamento di questo processo circolare e cooperativo è garantita da un meccanismo definito penalty default, che funge da incentivo per gli attori a collaborare e a non adottare comportamenti da free rider (De Búrca et al., 2014).
Nell’ambito di una più ampia ricerca dottorale, si è unito il concetto di governance sperimentalista con l’operato degli Alternative Food Networks (AFNs). La ratio alla base di questa ricerca si fonda sulle complessità e sfide che il sistema agroalimentare è chiamato ad affrontare al fine di avviare una trasformazione verso una maggiore sostenibilità ambientale, sociale ed economica del sistema stesso (Renting et al., 2003). Gli AFNs si propongono come alternativa al sistema agroalimentare corrente, proponendo un modello agroalimentare locale, una riscoperta del contatto tra produttore e consumatore, la promozione di prodotti stagionali e tradizionali, e l’utilizzo di pratiche agricole ecologicamente sostenibili (Feenstra, 1997; Goodman, 2004). Tuttavia nonostante gli obiettivi degli AFNs risultino allineati con le recenti raccomandazioni di istituzioni e governi (European Commission. Joint Research Centre. Institute for Prospective Technological Studies., 2013; Galli & Brunori, 2013) permane una complessità nel ritrovare questi valori nelle food policy cittadine.
Tramite l’analisi di due AFNs nella città di Bologna, questo contributo si pone come obiettivo quello di riflettere sul ruolo che una governance sperimentalista potrebbe avere nell’implementazione di un processo trasformativo del sistema agroalimentare che parta da innovazioni bottom-up. Quanto è emerso evidenzia la propensione da parte degli AFNs verso l’adozione di pratiche di governance innovative e la creazione di relazioni e regole nuove rispetto al sistema prevalente. Al contempo si evidenzia l’assenza di un recepimento da parte della municipalità e delle istituzioni regionali che, nonostante alcuni tentativi di adozione di pratiche innovative di governance, ancora faticano ad abbracciare una governance sperimentalista e che si attestano piuttosto su un orientamento di tipo “reattivo” e short-termed.

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“Ricettività futura” e discrezionalità. Il caso dell’Ambito padovano nel contrasto alla povertà

Martina Visentin, Università di Padova

Il sistema di governance della Regione del Veneto è stato coinvolto, negli ultimi anni, in un processo di rinnovamento che ha interessato le modalità di intervento degli attori nella gestione ed erogazione dei servizi sociali. Il profilo delle politiche sociali territoriali si è ridefinito attraverso l’affidamento agli Ambiti Territoriali (ATS) in cui i Comuni hanno il compito di gestire i servizi sociali in rete. Gli ATS appaiono come lo strumento primario di ricognizione dei bisogni dei cittadini con l’obiettivo di ottimizzare le risorse provenienti dalle reti istituzionali e non istituzionali, formali e informali e di favorire un maggior benessere per tutti i cittadini (Gui 2020).
La Regione del Veneto si è così strutturata in 21 ATS per favorire l’implementazione delle politiche sociali e anche nella lotta alla povertà con l’idea di rafforzare i servizi in funzione prima del
REI (Reddito di Inclusione), del Reddito di cittadinanza (RdC) e ora dell’ADI. In particolare, la gestione del passaggio da RdC all’ADI sembra aver portato più difficoltà che vantaggi tanto che le prime analisi mostrano come il sistema stesso non abbia preparato un terreno adeguato all’implementazione di questa nuova misura.
L’oggetto di questo contributo si focalizza sulla capacità di risposta preventiva dell’équipe dell’ambito padovano, che, da febbraio a ottobre 2023, ha attivato una serie di strategie per contenere lo scivolamento degli utenti RdC nel grave disagio economico nel passaggio all’ADI. Nello specifico: i) sono stati realizzati numerosi laboratori di gruppo finalizzati all’orientamento e al supporto per la ricerca attiva del lavoro; ii) sono stati organizzati costanti colloqui individuali con i futuri ex-beneficiari di RdC; iii) si è rafforzato il rapporto con i Centri per l’Impiego (CpI) nei Patti di Utilità Collettiva (PUC) attraverso il potenziamento del ruolo del case manager di riferimento di ogni CpI con funzione di monitoraggio continuo e condiviso sui casi; iv) la condivisione di queste strategie con gli altri ambiti territoriali come forma di strategia “paracadute” nell’attesa della riforma dell’RdC. Questa tipologia di azioni è stata analizzata secondo lo sguardo dell’in-depth case-study research (Flyvbjerg 2006) e interpretata attraverso l’approccio della governance anticipatoria e il concetto di future receptivity (“ricettività futura”).
La governance anticipatoria si riferisce ai processi di governance nel presente che cercano di utilizzare l’anticipazione per impegnarsi con futuri incerti al fine di guidare l’azione nel presente. Un’agenda di ricerca sulla governance anticipatoria è emersa da tutte le tradizioni di ricerca delle scienze sociali critiche, tra cui gli studi sulla scienza e la tecnologia, la ricerca e l’innovazione responsabile, la politica e la governance ambientale (Boyd et al. 2015; Muiderman et al. 2020).Viene poi utilizzato il concetto di future receptivity, una capacità umana di accettare e comprendere il valore della previsione per realizzare il futuro desiderato (Heo e Seo 2021). In questo caso: la minor perdita possibile di beneficiari; il rafforzamento delle reti esistenti con partner privilegiati come CpI e Terzo Settore; la maggiore diffusione possibile di informazioni sull’ADI richiedibile ufficialmente dal 1/1/24.
Ci si chiede, dunque, se le azioni realizzate dall’équipe capofila possano rappresentare una forma di apprendimento riflessivo e anticipato e abbiano la capacità di diventare strumento di discrezionalità in grado di contrastare localmente gli effetti di una misura il cui impatto pare già davvero problematico (Pedersen e Pors 2023; Nesti et al. 2023). Com’è noto, infatti, i territori scontano profonde differenze nel loro grado di infrastrutturazione sociale di una policy (Ganugi e Prandini 2021). Infine, si riflette sulla necessità di incanalare in modo anticipatorio il processo di attuazione di una misura, al fine di garantire percorsi omogenei e capillari di inclusione su tutto il territorio e ridurre il rischio che una policy sia discriminatoria e incerta.



 
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