Programma della conferenza

VI Convegno Nazionale SISCC “Possiamo ancora capire la società. Comprensione, previsione, critica.” / Roma, 20/21 giugno 2024

Il convegno 2024 della SISCC, in continuità con quelli degli scorsi anni, intende esplorare le complesse relazioni fra potere e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità che provengono da esperienze diffuse ma non necessariamente connesse. La SISCC ritiene che l’immaginazione sociologica debba essere supportata da una capacità di analisi scientifica e da una comprensione critica della società. Quale può essere allora il nostro ruolo di scienziati e scienziate sociali? E, in particolare, quale contributo possiamo dare alla comprensione della società proprio a partire dallo studio dei processi culturali e comunicativi che attraversano il nostro tempo?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 1 - Panel 3: Teorie e pratiche del dialogo interreligioso in Italia: una prospettiva sociologica
Ora:
Giovedì, 20.06.2024:
14:00 - 15:30

Chair di sessione: Giuseppe Giordan
Luogo, sala: Aula T01


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Presentazioni

Teorie e pratiche del dialogo interreligioso in Italia: una prospettiva sociologica

Giuseppe Giordan1, Olga Breskaya1, Stefania Palmisano2, Matteo Di Placido2, Maddalena Colombo3, Barbara Pizzetti3, Marco Bontempi4

1Università di Padova, Italia; 2Università di Torino, Italia; 3Università Cattolica del sacro Cuore; 4Università di Firenze

Come molti altri contesti a livello internazionale (Becci et al. 2013), anche la società italiana è caratterizzata da un veloce processo di cambiamento culturale che tocca anche l’ambito della religione. Tanto a causa dei flussi migratori come a seguito delle profonde trasformazioni che stanno avvenendo all’interno della religione di maggioranza, il campo religioso in Italia si sta differenziando in maniera crescente: non esiste provincia del territorio nazionale che, accanto a quelle cattoliche, non registri la presenza di comunità musulmane, ortodosse, protestanti, e in maniera meno marcata, di gruppi induisti, sikh e buddhisti (Pace 2013).

In questo contesto di crescente diversità e complessificazione, gli amministratori locali e nazionali, come anche i leader delle comunità religiose e i rappresentanti di altre istituzioni sociali che sono coinvolti a gradi differenti da tali cambiamenti, sono impegnati nel garantire la coesione sociale anche attraverso la pratica del dialogo interreligioso.

Il governo della diversità religiosa, in questa prospettiva, non è più comprensibile esclusivamente all’interno dello schema delle relazioni “chiesa-stato” (Martinez-Arino 2019 e 2021, Griera e Nagel 2018, Giorgi e Annicchino 2017), e quindi da un punto di vista esclusivamente giuridico o politologico (Ferrari et al. 2020, Ozzano e Giorgi 2016), ma richiede un approccio specificamente sociologico, capace non solo di mappare gli strumenti e le pratiche di governo della diversità religiosa, ma di evidenziarne anche le caratteristiche specifiche e le dinamiche di cambiamento a seconda dei contesti locali e regionali.

Oltre a contribuire al rafforzamento dei processi democratici attraverso il coinvolgimento nelle dinamiche partecipative (Finke 2013), il dialogo interreligioso studiato da una prospettiva sociologica può essere compreso come un continuo processo di confronto, negoziazione e collaborazione tra gli amministratori pubblici, gli attori religiosi e non religiosi, e gli altri attori sociali e culturali (Martikainen 2013).

Il dialogo interreligioso, da questo punto di vista, rappresenta un elemento molto importante per comprendere come sia a livello locale, sia a livello regionale e nazionale, una molteplicità di attori sociali, provenienti dalla società civile come anche dal mondo politico, religiosi e non religiosi, interagisce sia in maniera formale che informale, per promuovere la conoscenza reciproca e la mutua legittimazione dei diversi gruppi religiosi.

L’obiettivo del panel è quello di introdurre il tema del dialogo interreligioso all’interno di una analisi sociologica più ampia sui processi comunicativi, da un lato, e sui processi partecipativi e gli spazi democratici, dall’altro, mettendone in evidenza il contributo che esso può offrire per la comprensione e la previsione dei cambiamenti che stanno avvenendo in Italia, non solo in relazione al multiculturalismo crescente, ma anche alla sempre più difficile governance dello spazio pubblico, soprattutto in ambito urbano. L’ambizione è quella di offrire sia un inquadramento teorico delle dinamiche sociali e culturali inerenti al dialogo interreligioso, come anche l’esempio di alcune pratiche che ne sostanziano concretamente l’esercizio.

Nella prima presentazione si mette in evidenza come il principio della libertà di/dalla religione offra la cornice per comprendere la possibilità e la rilevanza del dialogo interreligioso come pratica sociale (Richardson 2006). Le iniziative e gli attori del dialogo interreligioso a Torino sono al centro della seconda presentazione, mentre la terza illustra l’utilizzo dei linguaggi artistico-performativi come medium del dialogo interreligioso a Brescia. Discutendo i presupposti di due paradigmi di definizione del dialogo interreligioso, il paradigma normativo e il paradigma della pragmatica del dialogo interreligioso, la quarta presentazione analizza il “Progetto AMIR”, il quale impegna alcuni dei più importanti musei di Firenze e di Fiesole nel coinvolgimento di migranti come guide transculturali e transreligiose.

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Praticare la libertà di/dalla religione. L’esempio del dialogo interreligioso

Olga Breskaya, Università di Padova

Giuseppe Giordan, Università di Padova

La libertà di/dalla religione, vista come principio fondamentale dei diritti umani, svolge un ruolo cruciale nel garantire un dialogo aperto e inclusivo all’interno della società civile. Essa protegge equamente individui e gruppi religiosi e non religiosi e funge da fondamento per la partecipazione non discriminatoria nei processi democratici (Ferrari 2015; Fox 2015; Grim e Finke 2011). Il concetto di libertà di/dalla religione è costruito socialmente e ha significati diversi in vari contesti sociali, culturali e politici (Richardson 2006).

Il dibattito pubblico sulla libertà religiosa in Italia ha talvolta assunto caratteri divisivi, mettendo in discussione varie sfere della vita pubblica e privata, in una società sempre più diversificata e secolarizzata (Giorgi, Giorda, Palmisano 2022). Recenti ricerche hanno affrontato la libertà religiosa principalmente da prospettive giuridiche e politiche, concentrandosi sulla neutralità dello Stato, sull’analisi delle sentenze dei tribunali e sullo studio delle politiche pubbliche (Ferrari et al. 2020; Ozzano e Giorgi 2016).

Lo scopo di questa presentazione è quello di fornire una panoramica delle prospettive sociologiche sulla libertà religiosa, considerando le possibilità della sua operazionalizzazione in vista della ricerca empirica, con un’attenzione particolare al ruolo svolto dal dialogo interreligioso. A partire dai contributi di Berger (2014), Finke e Stark (1992), Richardson (2006, 2015) e Fox (2015, 2020), verranno illustrate quattro prospettive analitiche utili a definire in termini sociologici il concetto multidimensionale di libertà di/dalla religione (Breskaya e Giordan 2019).

Gli argomenti teorici proposti dagli autori appena citati ruotano attorno a quattro prospettive che, insieme a quella dei diritti umani, costituiscono gli elementi chiave della definizione sociologica della libertà di/dalla religione:

1) la centralità dell’idea di autonomia individuale nel prendere decisioni riguardanti i significati della vita personale, in un contesto di crescente diversità culturale (Berger 2014);

2) l’importanza di un ambiente religioso pluralistico, in grado di rispondere alle diverse esigenze di ricerca spirituale e religiosa degli individui, in un contesto di deregolamentazione pubblica della vita religiosa: questo favorisce sia una maggiore concorrenza religiosa tra i diversi gruppi religiosi (Finke e Stark 1992), sia la possibilità/necessità del dialogo interreligioso;

3) l’impatto sociale delle sentenze dei tribunali su questioni che toccano l’esercizio della libertà religiosa: tale processo di giudizializzazione evidenzia il ruolo dei tribunali intesi come istituzioni autonome che producono i significati condivisi della libertà religiosa all’interno della società (Richardson 2015), mettendo spesso in discussione il ruolo di altre istituzioni (Mayrl e Venny 2021);

4) la centralità della competizione tra le istituzioni politiche e religiose nella regolamentazione delle minoranze religiose così come dei gruppi religiosi dominanti (Fox 2015, 2020).

Il contributo sociologico nello studio della libertà religiosa intesa come concetto multidimensionale mette insieme la dimensione normativa (principi di non discriminazione e di uguaglianza) con la dimensione valoriale, la quale affronta tanto le questioni del significato ultimo dell’esistenza individuale quanto le sfide sociali per sostenere il dialogo tra i diversi gruppi religiosi e tra questi e i gruppi non religiosi.

All’interno di questa cornice, la libertà di/dalla religione costituisce il quadro di riferimento normativo per la comprensione delle pratiche di dialogo interreligioso, offrendo norme che regolano l’interazione tra le istituzioni religiose. Allo stesso tempo, il dialogo interreligioso in questo contesto può essere visto come una pratica e uno strumento per la promozione della pace, della coesione sociale, della tolleranza e dell’inclusione. Le pratiche del dialogo interreligioso, in definitiva, portano alla riformulazione del significato del concetto stesso di religione, mettendo in tensione una “religione buona”, umanizzante e riconciliante, che contribuisce alla giustizia, all'uguaglianza e alla pace, con una “religione cattiva”, pericolosa perché può essere utilizzata come strumento di violenza (Hurd 2015a, 2015b).

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Libertà, governance e dialogo interreligioso. Il caso torinese

Matteo Di Placido, Università di Torino

Stefania Palmisano, Università di Torino

Il campo religioso, parte integrante del più ampio campo sociale, è un ambito privilegiato per lo studio sociologico delle relazioni tra stato, società civile e minoranze religiose nonché degli interessi, delle alleanze e dei conflitti tra gli attori coinvolti. Nel contesto italiano, sebbene ancora marcatamente cattolico, lo studio di questo campo diventa sempre più urgente perché i cambiamenti che lo stanno attraversando (secolarizzazione, pluralismo, incremento delle fedi della migrazione, nuove spiritualità…) pongono sfide rilevanti per la gestione della religione e della diversità religiosa a livello nazionale, locale e all’interno di molte istituzioni pubbliche come scuole, ospedali, caserme e prigioni (Giorgi, Giorda e Palmisano 2022). In particolare, l’assenza di un quadro normativo organico nonché la necessità di interfacciarsi con ordini legislativi (e.g., leggi nazionali e ordinanze amministrative locali) e forme di riconoscimento giuridico diverse (e.g., concordato e intesa) contribuiscono all’eterogeneità delle forme e delle opportunità di dialogo interreligioso in Italia, e quindi anche alla necessità di analisi sociologiche capaci di interpretare lo scenario in continua evoluzione con un’attenzione specifica agli attori sociali coinvolti.

In questo contributo, partendo dalla disamina delle più rilevanti teorie della libertà religiosa (Breskaya, Finke and Giordan 2021; Breskaya, Giordan and Zrinščak 2021; Breskaya and Giordan 2019) e della governance della diversità religiosa (Burchardt 2020; Martínez-Ariño 2020, 2021; Griera and Nagel 2018), proponiamo un’analisi delle iniziative e degli attori del dialogo interreligioso nella città di Torino attraverso una prima mappatura degli archivi online degli atti promulgati dal Consiglio Comunale (34), Giunta Comunale (21) e Consiglio Regionale (41) dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2023. Più nello specifico, discuteremo di come il dialogo interreligioso sia una pratica sociale che deve essere compresa all’interno della più ampia cornice normativa dei diritti di libertà religiosa e della governance della diversità religiosa, dando importanza anche ai “meccanismi di azione-coordinamento” (Bader 2007), inclusa l’autoregolamentazione e il coinvolgimento di una pluralità di attori (tra cui lo Stato, le istituzioni locali ma anche le stesse comunità religiose, reti e associazioni interreligiose) e altre forme di corporate governance come i partenariati pubblico-privato. Presenteremo, quindi, una tipologia delle iniziative di dialogo interreligioso a Torino, ideata a partire dalle proposte più rilevanti in letteratura che tengono conto sia delle dimensioni generative degli spazi, della materialità e delle pratiche (Martínez-Ariño et al., 2023), sia della natura bottom-up, middle-middle e top-down delle iniziative discusse (Burchardt and Giorda 2021; Giorda and Cozma 2020; Griera, Giorda and Fabretti 2018).

Considerando lo spazio urbano come una dimensione empirica di particolare rilievo – dove interagiscono governance locale e nazionale nonché molteplici attori e processi della regolazione pubblica – ci soffermeremo su alcuni progetti di dialogo interreligioso di spicco. A titolo di esempio, prenderemo in esame: la “Casa delle Religioni”, un progetto multi-level tra religioso e secolare; la “Cura dello Spirito”, avviato nel 2006 – in risposta a una valutazione della qualità dei servizi ospedalieri da parte dei pazienti dimessi dall’Ospedale Universitario Città della Salute e della Scienza di Torino – con l’obiettivo di ovviare alla mancanza di una politica nazionale in materia di governo religioso e di interventi standardizzati in ambito ospedaliero; e il “Patto di condivisione” (precursore locale del Patto Nazionale per un Islam italiano) tra Centri Islamici e Città di Torino, che intende valorizzare e promuovere i valori della convivenza, del rispetto reciproco, della comune conoscenza e del dialogo.

Lo scopo del nostro intervento è duplice: teoricamente, avanziamo una proposta innovativa che combina la dimensione spaziale, materiale e pratica del dialogo interreligioso con quella della multi-level governance della diversità religiosa; metodologicamente, arricchiamo l’approccio tipico della letteratura di riferimento – incentrato sullo studio dei dispositivi istituzionali di regolamentazione della diversità religiosa e del dialogo interreligioso – attraverso l’analisi dei posizionamenti, ruoli e interazioni tra gli attori coinvolti.

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Fare (e disfare) il dialogo interreligioso tra istituzioni, codici, corpi

Barbara Pizzetti, Università Cattolica del Sacro Cuore

Maddalena Colombo, Università Cattolica del Sacro Cuore

Il contributo riguarda un’analisi dell’esperienza di dialogo interreligioso attraverso i linguaggi artistici, collegati ad eventi live pubblici (Progetto “Dòsti Festival delle Arti e delle Culture Religiose”), che si svolge a Brescia dal 2016 con la partecipazione sia di istituzioni (Prefettura, Comune, Università, Diocesi) sia della società civile organizzata e spontanea (associazioni e comunità di fede, centri religiosi e culturali, operatori culturali, artisti e cittadini); l’iniziativa è promossa da una Associazione a carattere locale e multiculturale (Pizzetti, Colombo, 2019). Il ricorso ai linguaggi artistico-performativi come medium del dialogo interreligioso si richiama al concetto di performance (Schechner, 1999; Fele, Giglioli, 2001; Cossu, 2006) che comprende iniziative come feste, celebrazioni, riti, happening, ecc. come strumento di co-costruzione di comunità. Questa esperienza è radicata in una realtà locale, di lunga tradizione multiculturale e con elevate percentuali di residenti stranieri, che influenza modi, pratiche e luoghi della comunicazione (Colombo, 2023), incluso l’offerta di spazi di espressione delle minoranze in un’ottica sia di libertà di/dalla religione (Breskaya, Finke, Giordan, 2021), sia di inclusione ed interazione interculturale (Carpani, Innocenti, 2023). L’analisi mette in luce il processo (non lineare) di costruzione del campo d’azione e del “codice” inteso come insieme di forme, significati e regole. Obiettivo è dimostrare che il dialogo effettivo risulta dalla mediazione tra lo slancio da parte degli attori partecipanti, e il supporto di una rete istituzionale agli attori stessi ma anche al processo creativo.

Il contributo si articola in tre parti. Nella prima parte (il “fare”) si ricostruiscono le fasi di avviamento e le prime sperimentazioni del contenitore festival, i cui obiettivi sono: contribuire alla conoscenza e allo scambio tra persone e gruppi di diversa convinzione religiosa; favorire la riscoperta della religione e della spiritualità come elementi identitari ma anche universali; contribuire al superamento di immaginari preconcetti, soprattutto verso le religioni di minoranza, generando nuove modalità di aggregazione e condivisione, di partecipazione dal basso, di rappresentazione positiva della multietnicità. Si sottolinea l’importanza dei “corpi” (intesi nella più vasta accezione di persone in relazione attraverso la presenza fisica ma anche di veicoli di segni e visioni) (Bernardi, Fornari, Le Breton, 2016), e quindi la difficoltà del dialogo nel periodo di sospensione dei “corpi” durante l’emergenza pandemica, quando si è reso necessario adottare linguaggi sostitutivi. Si passa poi alla parte critica (il “disfare”), in cui si elencano i punti d’arresto nel processo dialogico, distinguendo quanto proviene dalle istituzioni e quanto avviene (in maniera imprevista) nelle interazioni tra individui e gruppi. In particolare, ci si sofferma sugli incidenti interculturali avvenuti a causa di diverse interpretazioni delle forme artistiche e dei messaggi interreligiosi negli eventi live. Le incomprensioni vengono fatte risalire a giustificazioni forti e/o deboli dei codici utilizzati, che entrano in collisione con i vincoli posti da un determinato canone religioso, e quindi sollevano issues relative ai diritti, al rispetto, alla distanza sociale e culturale. Nella terza parte (il “ricomporre”) si tratta delle strategie e pratiche di riconciliazione / ricomposizione adottate a seguito della presa di coscienza dei punti di arresto e di una elaborazione collegiale delle vie d’uscita. La prima strategia è l’incontro dei “corpi” e l’ingresso del festival dentro i luoghi di culto dove i “corpi” pregano; la seconda è l’ampiamento dei linguaggi con l’introduzione di performance teatrali e prodotti dal basso, ad esempio con videomaking e disegno infantile, con i quali si porta di fronte ad un pubblico l’esito di un’elaborazione dei significati religiosi e spirituali già mediata dalle persone che partecipano all’esperienza creativa. La terza è il cammino verso l’istituzionalizzazione, intrapreso con la costituzione in associazione e i tentativi di costruire reti formalizzate con le realtà aggregate e le amministrazioni, constatando il doppio ruolo che le istituzioni assumono in questo processo: facilitanti e legittimanti, ma anche selettive e ambivalenti.

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Perché dialogare? Dalla normatività alla performatività del dialogo interreligioso. Spunti per una sociologia delle pratiche di senso nel dialogo interreligioso

Marco Bontempi, Università di Firenze

Il paper discute i presupposti di due paradigmi di definizione del dialogo interreligioso e dei suoi scopi: il paradigma normativo e il paradigma della pragmatica del dialogo interreligioso.

Il primo, estremamente diffuso nelle pratiche di governance del pluralismo religioso delle istituzioni politiche locali, procede secondo una logica deduttiva, finalizzata a tematizzare la diversità nel senso multiculturale di “molteplicità di particolarità”. La diversità viene tematizzata e riconosciuta come “tratto peculiare” di quella determinata religione o confessione. Il riconoscimento, quando avviene, è in gran parte attraverso le forme dei diritti di tutela di quella particolare identità religiosa e nella possibilità di accedere a speciali condizioni. In questo approccio basato sui principi, alle persone che compongono le comunità religiose si chiede di agire secondo i principi fondamentali di riconoscimento, pluralismo, rispetto delle differenze, collaborazione, in breve, si chiede un agire eticamente democratico nelle relazioni tra comunità religiose e nel modo di vivere la propria appartenenza religiosa.

Questo approccio al pluralismo religioso mira alla realizzazione di una sfera pubblica religiosa - in senso habermasiano - nella quale gli attori religiosi agiscono un dialogo fondato su un ethos civico come una pratica che stimola i partecipanti ad elaborare le proprie convinzioni religiose nella forma di argomenti ragionevoli e per questo condivisibili dall’altro. Il cambiamento che questo approccio persegue può essere sintetizzato su due piani: il piano delle forme del riconoscimento alle comunità e identità religiose e il piano delle trasformazioni soggettive nelle capacità di relazione delle persone. Nel paper si presentano e discutono alcuni dei principali limiti di questo paradigma.

Il secondo paradigma inquadra i fenomeni di dialogo interreligioso come pragmatica del dialogo interreligioso, cioè dell’uso che si fa e si esperisce delle identità religiose in situazioni concrete. In questa prospettiva le identità religiose non sono pensate come blocchi omogenei, né come chiuse nelle determinazioni dottrinali o nell’ortoprassi, ma come realtà agite soggettivamente e collettivamente, che connettono e articolano la dimensione soggettiva della persona alla propria identità collettiva di membro religioso. Una prospettiva di pragmatica del dialogo interreligioso in prima battuta si interroga non su cosa dovrebbe esistere e come dovrebbe esistere per avere condizioni favorevoli di dialogo interreligioso, ma qual è l’esperienza di chi fa il dialogo interreligioso e in quali condizioni accade l’esperienza del “sentirsi compreso” dall’altro religioso, nonostante le grandi differenze. Centrale è l’analisi delle pratiche del dialogo, inteso come processo performativo il cui scopo primario è la generazione di esperienze religiosamente significative per l’identità dei partecipanti. Questa prospettiva viene applicata nella presentazione del “progetto AMIR”, un progetto che impegna alcuni dei più importanti musei di Firenze e di Fiesole nel coinvolgimento di circa 80 migranti come guide transculturali e transreligiose – a circa 4000 visitatori in 5 anni - attraverso le collezioni dei musei della rete. Nel contesto di una valorizzazione delle persone con un passato migratorio come portatrici di valori e punti di vista inediti sulle opere, soggetti attivi capaci di sviluppare narrative autonome e di arricchire di contenuti e di esperienze originali i musei e la loro presenza nella città, nel paper vengono sottolineate le esperienze propriamente interreligiose che mostrano una fenomenologia non ordinaria del dialogo interreligioso come processo situato di co-costruzione di senso.



 
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