Educational commons, giovani e impegno civico in rete.
Gianna Maria Cappello, Marianna Siino
Università di Palermo, Italia
In questo contributo si presentano i risultati di un caso di studio incluso nel progetto Horizon 2020 SMOOTH (2021-2024). L'obiettivo principale del progetto è stato quello di esplorare e verificare empiricamente il paradigma emergente degli “educational commons” come sistema alternativo di valori e azione per la promozione del dialogo interculturale e intergenerazionale e la creazione di spazi di cittadinanza attiva (online e offline) che supportino lo sviluppo delle comunità locali. Il nostro caso di studio adotta questo paradigma innestandolo nel campo della media education e dei digital commons. Le nostre domande di ricerca erano le seguenti: Come i giovani sperimentano e costruiscono collettivamente gli educational commons? In che modo la co-creazione di un foto-blog come spazio di lavoro condiviso aiuta i giovani a scoprire e sviluppare una "intenzionalità civica" nella sfera pubblica (digitale)? (d) Quali sono gli effetti dell'applicazione della logica dei commons per affrontare le disuguaglianze e raggiungere l'inclusione sociale dei giovani provenienti da gruppi sociali vulnerabili? Il lavoro sul campo, condotto in un centro di aggregazione giovanile di Agrigento nel periodo febbraio 2022/ottobre 2023, inquadrato in un approccio etnografico e di ricerca-azione, è stato sviluppato esaminando le tre dimensioni della nozione di educational commons (i commoners, le commoning practices e la comunità). I risultati hanno mostrato come i ragazzi abbiano cominciato a sviluppare una buona capacità analitica, critica e riflessiva della loro realtà circostante, hanno tenuto conto dei diversi punti di vista e hanno stabilito una connessione tra immagini, testo e ambiente digitale utile a veicolare il messaggio che volevano trasmettere al pubblico. Hanno inoltre mostrato di aver compreso le potenzialità di impegnarsi attivamente per il raggiungimento di un obiettivo comune, per denunciare attraverso il photo-blog qualcosa che non funziona nel loro contesto di vita e per sensibilizzare rispetto a determinate tematiche. Hanno infine cominciato a sviluppare la consapevolezza che la loro piccola azione sul blog può avere un valore civico e di cittadinanza (digitale). Molto positivi i progressi tecnico realizzati dal gruppo lungo il percorso, ma anche la progressiva acquisizione di competenze espressive e comunicative rilevabili nel modo in cui traducevano un’idea in messaggi visuali, capaci di racchiudere elementi soggettivi ed oggettivi allo stesso tempo.
Bologna e le sue cittadine: data feminism per costruire un’agenda politica delle donne.
Teresa Carlone
Università di Bologna, Italia
Nell’ultimo decennio si sono consolidati studi e ricerche (Borghi, Rondinone, 2009; Seager, 2018; Perez 2019; Belingardi, Castelli, Olcuire, 2019) che hanno evidenziato come storicamente gli spazi della città e la partecipazione alla vita pubblica sono stati il centro di relazioni di potere ineguali, strutture sociali e politiche oppressive e pratiche discriminatorie. Nonostante alcuni progressi, le donne, le persone disabili, razzializzate, le minoranze sessuali e di genere sono ancora marginalizzate ed escluse dai processi decisionali e politici. Questo modello sembra essere universale e trasversale e può essere applicato a molte aree metropolitane italiane. Perfino a Bologna, che si definisce progressista, non è semplice trovare dati e studi capaci di descrivere le disuguaglianze di genere che si realizzano nelle politiche pubbliche e di supportare politiche data-driven concrete per ridurne gli impatti. Nel tentativo di colmare questa lacuna, la ricerca qui presentata intende realizzare un approfondimento sul ruolo dei dati di genere nel garantire una rappresentazione e un coinvolgimento delle donne nella definizione di una agenda politica per la città, per una maggiore possibilità di accedere a processi decisionali e di potere.
L’obiettivo della ricerca è avviare una riflessione su come i dati disaggregati per genere possano rappresentare un arricchimento per costruire una cittadinanza piena ed agita, basata sul contributo diretto delle cittadine, sugli open data e sull’approccio del femminismo dei dati (D’Ignazio, Klein, 2020). Applicando l’approccio femminista ai dati quantitativi e qualitativi raccolti attraverso un’indagine svolta nell’autunno del 2020, la ricerca vuole esplorare gli immaginari presenti e futuri delle donne in merito a questioni che attengono la loro partecipazione sia alla sfera pubblica che al processo di policy making. Le dimensioni investigate nella ricerca sono due: lo spazio della vita privata e quello della vita pubblica. La prima, presenta un focus specifico su come la pandemia abbia avuto un impatto sulle attività di cura, sulla gestione del carico lavorativo e del tempo libero. La survey è stata costruita in modo da dare rilevanza all’incidenza del lavoro riproduttivo nella vita quotidiana ma liberandosi di alcuni stereotipi legati alla dicotomia “lavoro produttivo vs lavoro di cura” come uniche attività significative per le donne. La seconda dimensione si concentra su come le donne percepiscono la loro rappresentazione della cittadinanza, sulla possibilità di attraversare gli spazi sia materiali che simbolici della città, sui desideri e sui bisogni che devono trovare spazio nella esperienza urbana collettiva. I dati raccolti intendono tratteggiare le priorità di azione irrinunciabili e urgenti da intraprendere per trasformare Bologna in uno spazio di vita più inclusivo, più giusto, più accogliente eliminando le numerose discriminazioni di genere, con uno sguardo all’emergenza pandemica, ma soprattutto al futuro.
Alcune delle tendenze emerse sono legate ad un’alta attenzione alla questione ambientale e climatica, alla richiesta di spazi all'aperto, verdi e gratuiti per praticare sport e altre attività sociali all'aperto; si propongono interventi negli spazi urbani percepiti come insicuri orientati a una trasformazione dei luoghi (migliore illuminazione stradale o vivacizzazione dell'area) piuttosto che a risposte securitari. L’esigenza emersa di una maggiore e più rilevante “partecipazione alla vita pubblica” avvalora la necessità di creare spazi di potere per le donne e per le minoranze di genere entro i luoghi preposti alle decisioni sul bene pubblico, immaginando metodologie, pratiche e percorsi decisionali costruiti ampliando il punto di vista e la prospettiva “a misura d’uomo” finora applicata.
DEMOCRAZIA CULTURALE E SOCIETÀ: ANALISI DI DUE PRODUZIONI “PERIFERICHE”
Giulia Crippa
Unibo, Italia
A partire dagli esempi di produzione bottom-up di Wikifavela e del Museu da Maré, due iniziative brasiliane, si riflette sui concetti di “cultura democratica” e di “democratizzazione della cultura” come praxis di comunità periferiche che sono divenute pratiche istituzionali, sfuggendo all’informalità per occupare il dovuto spazio nelle politiche culturali. La questione al centro è lo sviluppo di politiche culturali basate su un modello epistemicamente diverso da quello Occidentale, un modello autogestito di democrazia culturale di cui lo Stato è sempre interlocutore essenziale, ma non necessariamente promotore né soggetto egemonico. Gli abitanti delle comunità periferiche si sono ritrovati per molti anni senza voce, oggetto di discorsività produttrici di rappresentazioni negative o, quando molto, paternaliste. La piattaforma Wikifavelas - Dizionario delle Favelas di Marielle Franco è una piattaforma virtuale ad accesso aperto che produce e raccoglie informazioni e memorie sulle favelas e le periferie. Il dizionario si caratterizza come una piattaforma collaborativa, curata dai soggetti informativi e dai gestori del dominio, inaugurata nel 2019 con l'obiettivo di essere uno spazio per raccogliere la conoscenza e costruire il sapere sull'esperienza di coloro che vivono quotidianamente nelle favelas e per costituirne le memorie nell’ambito della città di Rio de Janeiro. Il Museu da Maré, localizzato in un complesso di 16 favelas occupato da più di 160.000 persone, è stato inaugurato nel maggio 2006, con la partecipazione di autorità legate alla politica culturale brasiliana, tra cui l’allora Ministro della Cultura Gilberto Gil. Wikifavela e Museu da Maré vengono intesi come “laboratori sociali” che possono essere definiti come una rete di persone, iniziative e infrastrutture, articolata per la produzione di beni comuni in un determinato territorio. Una rete di arte e scienza che permette di sviluppare un progetto strategico in cui i cittadini si uniscono per generare conoscenze utili, formattando un nuovo processo sociale di persuasione che rende l'innovazione bottom-up un discorso altrettanto potente di quello offerto alla società dai laboratori privati, pubblici o universitari. Il paper vuole approfondire aspetti come la costruzione della memoria collettiva della comunità da una prospettiva in grado di identificare i fattori sociali e culturali che ne influenzano la pratica, cioè da una prospettiva sociologica.
All street arts lead to Rome: comunicazione ibrida, partecipazione e pratiche creative nei quartieri della Città Eterna
Silvia Leonzi, Fabio Ciammella
Sapienza Università di Roma, Italia
Il paper si propone di riflettere su come l’immaginario della città di Roma sia in grado di configurarsi come specchio e al tempo stesso come attivatore di un legame implicito eppure forte tra periferie e centro. Il lavoro presenta i risultati di una ricerca finalizzata allo studio della street art come strumento in grado di sfruttare e risemantizzare i luoghi delle periferie.
A tale scopo, la dimensione della media ecology (Ciofalo, Pedroni 2022) appare essere in grado di restituire la complessità del fenomeno; in questa prospettiva, per le finalità della ricerca, viene applicato un approccio transmediale (Leonzi 2022), che consente di riflettere su un processo di worldbuilding condiviso, coerente e partecipativo. La nostra indagine, quindi, si propone di analizzare alcune opere di street art, significative per la collocazione, e la loro rappresentazione in chiave tecnologica e culturale e come connettore di pratiche mediali urbane (Tosini, Ridell 2016).
L’analisi si focalizza su alcuni specifici quartieri di Roma, caratterizzate da una trama culturale, comunicativa e simbolica particolarmente ricca. Quartieri periferici o semiperiferici dove si intensificano movimenti contrapposti tra gentrificazione indotta e resistenza dal basso, attivata da pratiche creative e partecipative (Cellamare 2019; Marinelli, Parisi 2019; Ciampi 2022). A partire da queste considerazioni sono state formulate due ipotesi di ricerca, la prima si fonda sul presupposto che la street art costituisca la rappresentazione di un immaginario in grado di andare oltre il semplice significato della singola opera, generando un racconto condiviso del e nel quartiere, anche attraverso le narrazioni espanse sulle piattaforme digitali. La seconda ipotesi si basa sul significato sociale e culturale assunto dalla street art, nella prospettiva di un processo di cooperazione interpretativa (Eco 1979) che si stabilisce tra creatori e fruitori, prevalentemente inclusiva nelle periferie e oppositiva nel centro cittadino. Ai fini dell’indagine sono state analizzate le relazioni tra street art, fruitori (cittadino utente) e dimensione dello spazio pubblico.
La ricerca è fondata su un approccio etnografico, anche digitale (Pink et al. 2016), e si compone di due fasi. Nella prima sono state analizzate le opere scelte in un’ottica transmediale, nello spazio fisico (street art) e in quello mediatizzato (rappresentazioni su piattaforme digitali), con l’obiettivo di indagare la presenza delle figure archetipali dell’immaginario di Roma. Una seconda fase ha previsto una serie di interviste a osservatori privilegiati, selezionati tra street artist, attivisti, rappresentanti delle associazioni e digital content creator, volte a indagare le pratiche creative, comunicative e sociali attivate.
Le prime evidenze fanno emergere la capacità della street art di costituire un’interfaccia dell’immaginario di Roma nel tessuto urbano. Infatti, La fruizione dal basso di percorsi di visione delle opere, anche tramite le piattaforme web, riesce a creare connessioni tra quartiere e città attraverso la condivisione di immagini e figure simboliche attinenti alla storia dei luoghi. Dall’indagine è stato possibile osservare un rapporto problematico, a tratti conflittuale, tra le opere della street art e i residenti sulla base di una possibile gentrificazione indotta, nel caso in cui si trattasse di opere commissionate dall’alto. D’altra parte, si è potuto rilevare che quando la street art è fondata sull’immaginario del quartiere, contribuendo al racconto della sua identità, è in grado di attivare pratiche sociali e partecipative e di co-narrare la storia del quartiere.
Città e piattaforme digitali: economie, culture, estetiche. Uno studio su tre quartieri romani
Stefania Parisi
Sapienza Università di Roma, Italia
Studiare la città vuol dire osservare un ecosistema complesso, innervato in modo più significativo oggi che in passato da infrastrutture tecnologiche e mediali che determinano un modo nuovo di abitarne lo spazio. L’osservazione dell’interplay tra dinamiche urbane e piattaforme digitali – anch’esse ambienti abitati da un numero crescente di popolazione globale – rappresenta l’occasione per esercitare una capacità di comprensione sociologica orientata alla conoscenza e analisi critica del nostro habitat, evidenziando, nel caso specifico, una tensione tra la comunicazione e il consumo dei luoghi in quanto motore delle economie locali e, al contempo, fattore in grado di produrre e riprodurre squilibri, asimmetrie, nuove spatial injustice. A partire da queste premesse, il contributo propone una osservazione delle trasformazioni socioeconomiche e culturali urbane contemporanee nel punto in cui esse incontrano gli interessi e le logiche di attori intrinsecamente politici come le piattaforme digitali (van Doorn 2020). In questo quadro, le piattaforme esercitano un doppio ruolo: consentono la rappresentazione e circolazione di contenuti relativi ai luoghi, modellandole sulla base di affordance e specifici vernacoli (Gibbs et al. 2015) – su tutte, Instagram (cfr. Manovich 2017; Boy, Uitermark 2023); forniscono la possibilità di “mettere in vendita” città, quartieri, alloggi, ristoranti e, con essi, le culture locali che ne incrementano il valore (Stors, N., Baltes, S. 2018). La riflessione attinge da ricerche precedenti ed altre in corso dell’autrice (Author 2018; Author et al. 2019; Author 2022), e si concentra su alcune dimensioni in cui il «nuovo desiderio di urbanità» (Annunziata 2008) produce i suoi effetti:
- modificazioni nella consistenza e qualità dei flussi umani che attraversano e abitano lo spazio delle città (turisti, residenti, city users, pendolari, abitanti per brevi periodi, ecc.);
- evoluzione delle dinamiche di gentrification sotto la spinta dei processi di turistificazione (Sequera, Nofre 2018), foodification (Loda et al. 2020), studentification (Smith 2005), ecc.;
- estrazione di valore dalle culture e del patrimonio immateriale dei luoghi;
- modellamento dell’esperienza e del consumo dei luoghi sulle pratiche legate alle piattaforme digitali, con particolare riferimento a una mediazione che anticipa (scelta della meta, prenotazione dell’alloggio e di altri servizi), accompagna (selezione, anche sostenuta da logiche algoritmiche, dei luoghi e dei punti di interesse) e segue (es. recensioni, pubblicazione di racconti e immagini via social media) la presenza degli individui nei luoghi di interesse.
Il perimetro spaziale dell’analisi proposta coincide con tre quartieri romani – Pigneto, San Lorenzo, Esquilino – relativamente decentrati rispetto all’impatto dei flussi turistici della capitale, che tuttavia hanno conosciuto negli ultimi decenni un progresso di significativa trasformazione della propria identità – anche narrata – e, con essa, della composizione sociale e delle economie locali (Ocejo 2017), in particolare a causa dell’attrazione che essi esercitano su specifici gruppi di visitatori e utenti. A differenza dei luoghi di interesse turistico consolidato, queste aree urbane non ospitano siti artistici iconici; piuttosto, addensano significati ed estetiche che rispondono a criteri di desiderabilità sociale (come nel caso del new urban tourism; cfr. Roche 1992; Füller, Michel 2014, Ba et al. 2021). Ad orientare le preferenze verso queste porzioni di città sono l’autenticità, comunicata, percepita e ricercata, anche in funzione della costruzione e rinforzo di identità (Henke 2013); la possibilità di esperire i luoghi secondo le abitudini dei locali, rispetto ai centri storici interessati dai fenomeni di overtourism (Celata, Romano 2022) anonimo e distratto; la ricerca di vivacità culturale e di un atteggiamento tollerante e vagamente progressista; un immaginario che tiene insieme memoria storica, creatività, “coolness”, enogastronomia, arte e più in generale lifestyle (Currid-Halkett 2017), in una sensibile ridefinizione dell’idea di consumo dei luoghi che risulta non meno ambigua delle tradizionali forme di consumo turistico di massa e non meno carica di conseguenze per la vita dei quartieri in questione.
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