Programma della conferenza

VI Convegno Nazionale SISCC “Possiamo ancora capire la società. Comprensione, previsione, critica.” / Roma, 20/21 giugno 2024

Il convegno 2024 della SISCC, in continuità con quelli degli scorsi anni, intende esplorare le complesse relazioni fra potere e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità che provengono da esperienze diffuse ma non necessariamente connesse. La SISCC ritiene che l’immaginazione sociologica debba essere supportata da una capacità di analisi scientifica e da una comprensione critica della società. Quale può essere allora il nostro ruolo di scienziati e scienziate sociali? E, in particolare, quale contributo possiamo dare alla comprensione della società proprio a partire dallo studio dei processi culturali e comunicativi che attraversano il nostro tempo?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 5 - Panel 3: Media e teoria sociale
Ora:
Venerdì, 21.06.2024:
10:45 - 12:30

Chair di sessione: Paolo Terenzi
Luogo, sala: Aula T01


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Presentazioni

Intelligenza Artificiale come paradigma di cambiamento: dalla relazione uomo-macchina alla crisi della teoria della soggettività

Giulia De Bona

Universidad de Córdoba, España - Università di Padova, Italia

Il connubio tra la naturale inclinazione e l’instancabile ricerca di imitazione di ciò che gli esseri umani comprendono ha condotto alla convergenza di due grandi fenomeni: da un lato si assiste alla meccanizzazione dell’essere umano e delle sue capacità; e, dall’altro lato, ciò che è artificiale assume sempre più spesso sembianze umane, sia per quanto riguarda le funzioni sia con riferimento all’aspetto esteriore. L’intervento e l’esponenziale evoluzione dell’Intelligenza Artificiale hanno contribuito allo sviluppo di sistemi robotici tanto autonomi da poter assumere delle decisioni che, in connessione con la crescente tendenza degli studiosi ad utilizzare metafore tratte dalle attività mentali umane per descrivere i sistemi intelligenti, ha accorciato rapidamente la distanza nella nascente relazione uomo-macchina.

L’intersezione tra l’evoluzione storica, culturale e scientifica di un simile fenomeno con l’assetto giuridico e sociale italiano ha condotto all’emersione di innumerevoli questioni che necessitano di un’analisi approfondita. In particolare, spicca per complessità il dilemma inerente a quale forma di riconoscimento giuridico possa essere accordata ad un sistema programmato secondo l’intelligenza artificiale.

Difatti, di fronte a sistemi robotici sofisticati la teoria dell’intelligenza artificiale forte suggerirebbe un paragone con l’essere umano, giungendo a riconoscere i primi titolari di diritti e doveri, nonché autonomi centri di responsabilità. Tuttavia, al fine di garantire un riconoscimento ed una tutela giuridica ai sistemi di intelligenza artificiale, si richiederebbe l’attribuzione di valori e categorie giuridiche tipiche e costruite ad hoc per degli esseri umani, soprattutto in termini di soggettività.

Ed è proprio nel percorrere tale via che si incontra il temuto confronto uomo-macchina, il quale solleva timori di aspirazione filosofica, antropologica e sociologica di dover capire cosa individui davvero l’uomo, e cosa lo distingua da un sistema di IA, e contemporaneamente evidenzia l’anomalia nell’applicazione della teoria della soggettività, influenzata da una riduzionistica concezione individualista dell’essere umano propria della modernità.

In questo scenario, l’obiettivo e l’attività di partenza sono stati proprio quelli di comprendere e verificare la tenuta del concetto di soggettività umana, di intenzionalità, di coscienza e di responsabilità, quali capisaldi tramandatici dalla tradizione giusnaturalista; per passare, poi, al ripensamento di concettualizzazioni meglio adattabili alla nascente relazione uomo-macchina ed alla macchina intelligente in quanto tale nella sua singolarità, quali frutti del cambio di paradigma al quale si sta assistendo.

Cogliendo gli insegnamenti epistemologici di Thomas Kuhn, si giunge infine a ravvisare la necessaria ri-emersione di un nuovo paradigma che permetta innanzitutto di affrontare criticamente lo studio di una teoria della soggettività in relazione alle numerose applicazioni dell’intelligenza artificiale, ed in secondo luogo consenta altresì l’affermazione di una relazione uomo-macchina nella quale, a fronte della sempre più preponderante capacità di autodeterminarsi del robot, si conservino le qualità distintive e caratterizzanti l’essere umano, come in primis l’ irriducibile complessità della coscienza.



Big data, sfiducia democratica e crisi della riflessione sociologica

Corrado Punzi

Università del Salento, Italia

Ogni innovazione tecnologica ha sempre determinato nella società un atteggiamento ambivalente, suscitando angosciate preoccupazioni o entusiasmanti speranze. In entrambi i casi la società si trova a sperimentare la destabilizzazione delle sue certezze e quindi la sua crisi. Anche oggi con la diffusione dei big data e dell’AI ci troviamo nuovamente di fronte a una situazione critica. L’ipotesi del saggio è che quando ci troviamo davanti a una crisi sociale non siamo davanti a un problema strutturale, endemico-ontologico, ma davanti a una crisi sociologica delle capacità di osservare e interpretare la realtà. Infatti mentre i big data, con le loro analisi predittive, hanno lo sguardo rivolto al futuro, la sociologia tende ad avere lo sguardo rivolto al passato, perché descrive la società sulla base di ciò che ha perso o che non è più: per questo siamo nella società della post-modernità, della post-democrazia o della post-verità. Oppure, nei rari casi in cui si riesce a osservare il presente con descrizioni positive, si utilizzano metafore tramite cui la società decreta la propria minorità nei confronti di fenomeni che vengono ingigantiti e quindi non compresi: come nel caso del Grande Fratello, delle Big Tech, dei Big Data o del Grande Altro. Attraverso una convergenza tra la prospettiva sistemica luhmanniana e quella post-strutturalista foucaultiana, il contributo riflette sulla relazione tra algoritmi e democrazia, analizzando come nuovi media e platform society consentano delle forme sempre più automatizzate di controllo. Simultaneamente, il contributo tematizza - e invita la riflessione sociologica ad attuare - una conversione epistemologica.



DISINTERMEDIAZIONE O NUOVI GATEKEEPER? Antiche e nuove profezie sul capitale sociale

Pier Paolo Bellini

Università del Molise, Italia

La pandemia non ha intaccato solo i nostri corpi e le nostre menti: ha lasciato un segno profondo anche nelle nostre relazioni, provocando micro-traumi a livello di prassi comunicative, e lasciando intravedere tracce di nuove possibili configurazioni sociali. Il subbuglio intervenuto nelle interazioni quotidiane tra persone, tra sistemi e tra persone e sistemi offre l’opportunità di ipotizzare i possibili sviluppi di alcuni aspetti essenziali delle relazioni sociali (più specificatamente comunicative), su aspetti di alta criticità e incertezza quali l’autorevolezza/credibilità delle fonti informative.

Se la politica in periodo pandemico si è nascosta dietro le indicazioni insindacabili della scienza per prendere decisioni impopolari, gli esperti e le istituzioni hanno mostrato il loro lato impietosamente fragile, chiedendo fiducia in nome di autorevolezze disperse, scollegate e conflittuali. La situazione che abbiamo vissuto per diversi mesi, e che sembra così lontana dal nostro attuale quotidiano, può servire a una riflessione che ci porti a rivalutare la validità o il necessario aggiornamento di teorie comunicative “classiche”, spesso accantonate senza adeguata valutazione.

La Two-Step Flow of Communication Theory (anche Teoria comunicativa del “piccolo gruppo”), oltre settant’anni fa, affermava (in aperta polemica con la “teoria dominante”) che le informazioni diventano “convincenti” in forza della rete relazionale, cioè dell’ambiente “vitale” del ricevente: lo strapotere informativo della comunicazione di massa deve essere necessariamente “certificato” da intermediari credibili. Qualche decennio dopo, Berger e Luckmann coniano il termine “piccoli mondi della vita”, per definire questi ambienti vitali come cuore generativo del “senso condiviso”, mondi che garantiscono un flusso di creazione di senso non soltanto dall’alto verso il basso, ma anche, (civil society), dal basso verso l’alto.

Questi mondi della vita non sono uniformi: tra gli individui che li compongono, alcuni si distinguono, se non come ruolo, certamente come capacità di “influenza”: individui che collegano all’“esterno” le reti comunicative interpersonali. Sono i “guardiani delle porte”, i gatekeeper, i leader.

Ci chiediamo se il principio del “piccolo gruppo” continui a conservare oggi la sua funzione di fonte di autorevolezza dentro un contesto di tendenziale disintermediazione dei processi comunicativi: ci chiediamo, in sostanza, se, nell’epoca delle Filter bubble e delle Eco chamber, della mutazione dei gatekeeper in influencer sia possibile riutilizzare, rivedendoli (influence networks, social filtering, collaborative filtering), alcuni principi fondamentali di quelle teorie e, insieme, verificare l’esito di alcune “profezie” sociali dei decenni scorsi in merito al possibile sviluppo di questa situazione.

Ci chiediamo, con Anthony Giddens, se la fiducia nei sistemi astratti possa garantire, oltre a una certa affidabilità quotidiana, anche “la reciprocità e l’intimità che offrono le relazioni di fiducia personali”. La recente distinzione tra “legami deboli” (social media) e “legami forti” (soggetti che fanno parte della vita quotidiana e affettiva), pone il problema del futuro del “capitale sociale”, che, fortemente alimentato dalle relazioni faccia a faccia, si trova a gestire la tecnologia ora come supporto ora come rischio.

Ci chiediamo, infine, se queste forme di mediazione residue siano destinate a rimanere confinate, come sembra avvenga oggi, a poche funzioni relazionali (quelle cioè riguardanti l’intimità) o possano viceversa indicare nuovi sviluppi anche sul campo propriamente pubblico se non addirittura politico; se quelle forme di ‘vita in comunità’ «sono davvero qualcosa di irrevocabilmente concluso, o se invece sta per emergere la verità di una visione alternativa della storia (e con essa di una concezione alternativa del “progresso”» (Bauman 2003, ed. 2011: XIX).

«Creare (o ricreare) il capitale sociale non è un compito semplice», diceva Putnam, immaginando scenari che oggi potrebbero essere verificati con più cognizione di causa: questa ripresa sarebbe facilitata «da una crisi nazionale palpabile, come la guerra o la depressione o il disastro naturale» (2000: 402).



Mappe del post-utopico. Il futuro nella temporalità digitale.

Sabino Di Chio

Università degli Studi di Bari, Italia

È nota la centralità che il futuro ha assunto nella temporalità moderna: la letteratura teorico-sociale è concorde nel saldarne gli assi su un orizzonte prospettico, fatto di utopia, emancipazione e progresso (Koselleck 1985, Berman 1982). Una delle linee di riflessione più rilevanti, non a caso, nella definizione della fase successiva alla modernità insiste proprio sulla perdita di questo primato in favore del presente (Nowotny 1993, Lübbe 2009) e sul “presentismo” come regime di storicità caratterizzante delle società avanzate contemporanee (Hartog 2015). La svalutazione culturale del futuro non coincide però con la sua sparizione: prevedere, anticipare e visualizzare l’avvenire restano poste in gioco fondamentali ed è ancora valida una “sociologia delle aspettative” (Urry 2016) che indaghi il legame tra scelte biografiche e possibili scenari economico-politici.

Il paper che proponiamo per il VI Convegno nazionale SISCC ha l’obiettivo di mappare le teorie sociali che hanno contribuito a riportare la questione del futuro nella discussione pubblica ed accademica. Un primo sguardo al dibattito mostra due retoriche contrapposte: da un lato, il futuro come “apocalisse” (Chomsky 2018) in cui la catastrofe è impulso ultimo alla revisione dei comportamenti (si pensi al Doom’s day clock) o causa di sospensione nella “afuturalgia”, il dolore di non avere un futuro (Chabot 2023). Dall’altro, la retorica del “vivere già nel futuro”, animata dagli operatori del progresso tecnologico digitale (Balbi 2022). Vicine a questo polo emergono prospettive teoriche che declinano in modo diverso l’intreccio tra incertezza strutturale, agency e innovazione. Il lungotermismo, ad esempio, riporta all’attenzione la prospettiva di lungo periodo dimenticata dall’acceleration society per proporre un “altruismo efficace” basato sull’aggiornamento della visione utilitarista. Nelle opere di Bostrom (2014) e MacAskill (2022), l’etica mutua l’approccio quantitativo della datificazione algoritmica per massimizzare decisioni politiche e interventi di beneficenza privata in grado di ridurre il rischio di estinzione della specie umana, anche a costo di sottovalutare contraddizioni e sofferenze nel presente. L’approccio sembra caratterizzarsi per il pragmatismo, l’affiancamento consulenziale alla Silicon Valley e per la visione della tecnologia come oggetto neutro dal punto di vista valoriale.

L’accelerazionismo, d’altra parte, condivide la fiducia nel potenziale emancipativo del digitale ma ponendosi in postura radicalmente critica rispetto alla governance capitalista. La “piena automazione” (Srnicek, Williams 2015), infatti, è vista come obiettivo per la liberazione del lavoro salariato dallo sfruttamento. Accelerare i processi e anticipare il futuro dovrebbero diventare, dunque, l’imperativo di qualunque movimento post-marxista ansioso di rifondare un nuovo assetto istituzionale fondato sulla tassazione delle corporation e il reddito universale. Accettando l’aumento delle disuguaglianze animate nel presente dall’innovazione come male necessario in nome del cambio di paradigma.

Tra l’apocalisse e l’anticipazione, la proposta teorica del futuro come responsabilità (Cavalli, Leccardi, Jedlowski 2023), infine, insiste nella via stretta del conciliare la postura critica con l’attenzione al legame tra azione presente e un futuro aperto. Il radicamento di questa lettura nella temporalità delle biografie, dei corpi e del quotidiano fa da antidoto alla neutralizzazione etica per favorire la richiesta di istituzioni sovranazionali in grado di interpretare il futuro come riconoscimento delle differenze.



Per un’ecologia della mediatizzazione: rileggere la media ecology attraverso i concetti di campo e di figurazione.

Giovanni Ciofalo1, Marco Luca Pedroni2

1Sapienza Università di Roma, Italia; 2Università degli Studi di Ferrara

All’interno di un sistema sociale profondamente mediatizzato (Hepp 2020) lo studio e l’interpretazione delle complesse forme di potere e di interazione tra i media, gli individui e i differenti ambienti (sociali, culturali, tecnologici, on e off-line, etc.), in cui si configurano tali dinamiche, rispondono ad una necessità sempre più impellente di capire la società in cui viviamo.

A livello macrosociale, la mediatizzazione rappresenta, e contemporaneamente realizza, un processo di trasformazione in cui i media digitali e la comunicazione in generale producono e diventano l’ambiente complessivo (ecosistema) dentro cui confluiscono e coesistono tutti i campi sociali, sempre più condizionati dalla media logic (Altheide, Snow 1979).

A livello microsociale, la mediatizzazione influisce sull’agency individuale, trasformando le tecnologie e gli strumenti digitali e comunicativi in una configurazione dinamica di contesti di mediazione attraverso cui pensare, agire e valutare la realtà sociale (Hjarvard 2013).

A livello specificatamente mediale, la mediatizzazione sembra indurre, anche nel segno dell’ibridazione tra processi di piattaformizzazione e dinamiche transmediali (Leonzi, Marinelli 2022), alla progressiva affermazione di una condizione, paradossalmente, post-mediale, in base a cui i mezzi di comunicazione appaiono talmente rilevanti per l’ecosistema sociale da non potere essere distinti (né analizzati separatamente) da esso.

La mediatizzazione, dunque, trascendendo una concezione meramente strumentale dei media, mette in risalto la nuova centralità degli ambienti (sociali/digitali, on/off line, etc.) in cui individui e società sono immersi. È proprio sulla scorta di tali considerazioni che, per comprenderne e analizzarne la portata complessiva, appare utile il tentativo di recuperare e attualizzare un approccio sistemico allo studio dei processi comunicativi e mediali come quello rappresentato dalla media ecology (Postman 1970; Strate 2004). L'ecologia dei media, infatti, si pone come un prezioso frame concettuale da cui partire per esplorare la complessità dei legami tra media, società e ambiente, ponendo l'accento sull'interdipendenza e sulla co-evoluzione di questi elementi. Tale impostazione permette di considerare i media non solo come tecnologie, device o contenuti, ma anche come componenti di un ambiente comunicativo più ampio, che include gli individui, le pratiche sociali, le istituzioni e i contesti culturali. Attraverso l'ecologia dei media, si può quindi comprendere meglio come i media modellino le percezioni, le relazioni e le azioni degli individui, influenzando i modi in cui le persone interpretano e interagiscono con il loro ambiente. Al tempo stesso, è possibile considerare le implicazioni ecologiche dei media (Colombo 2020, 2022), evidenziando come le pratiche di produzione, distribuzione e consumo mediatico producano effetti sull'ambiente naturale, sociale e tecnologico (Boccia Artieri 2022).

In quest’ottica, il paper propone una concettualizzazione dinamica dello spazio mediatico come un habitat in cui la mediatizzazione diventa un principio sistemico che condiziona le pratiche sociali, evidenziando la natura trasformativa dei media e la loro capacità di modellare l’interazione sociale in ogni ambito. In continuità con un precedente lavoro di analisi e interpretazione (Ciofalo, Pedroni 2022), dunque, il contributo presenterà un avanzamento in relazione all’obiettivo di integrare il concetto di ambiente ed ecologia con altre categorie interpretative derivate da Bourdieu (l’ambiente come campo sociale) ed Elias (l’ambiente come figurazione) al fine di sviluppare un approccio ecologico alla mediatizzazione. La combinazione della prospettiva ambientale con quella di campo (Bourdieu 1980, 1992; Lindell 2015) e figurazionale (Elias 1987; Hepp, Hasebrink 2014), in particolare, punta a combinare una lettura sistemica della mediatizzazione, e dei suoi elementi processuali (piattaformizzazione, datificazione, etc.), con un’analisi contestualizzata degli spazi, delle pratiche e dei fenomeni ad essa correlati (blockchain, metaverso, intelligenza artificiale, etc.).



 
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