Programma della conferenza

VI Convegno Nazionale SISCC “Possiamo ancora capire la società. Comprensione, previsione, critica.” / Roma, 20/21 giugno 2024

Il convegno 2024 della SISCC, in continuità con quelli degli scorsi anni, intende esplorare le complesse relazioni fra potere e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità che provengono da esperienze diffuse ma non necessariamente connesse. La SISCC ritiene che l’immaginazione sociologica debba essere supportata da una capacità di analisi scientifica e da una comprensione critica della società. Quale può essere allora il nostro ruolo di scienziati e scienziate sociali? E, in particolare, quale contributo possiamo dare alla comprensione della società proprio a partire dallo studio dei processi culturali e comunicativi che attraversano il nostro tempo?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 1 - Panel 2: Guerra, conflitto e mediologia
Ora:
Giovedì, 20.06.2024:
14:00 - 15:30

Chair di sessione: Giovanni Fiorentino
Chair di sessione: Davide Bennato
Luogo, sala: Aula Calasso


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Presentazioni

Guerra, conflitto e mediologia

Giovanni Fiorentino1, Davide Bennato2, Manolo Farci3, Alfonso Amendola4, Nello Barile5, Federico Montanari6, Luca Lanzetta4

1Università della Tuscia; 2Università di Catania; 3Università di Urbino; 4Università di Salerno; 5IULM; 6Università di Modena e Reggio Emilia

Chairperson Giovanni Fiorentino, Università della Tuscia

Co-chairperson Davide Bennato, Università di Catania

A partire dal 24 febbraio 2022, la guerra tra Russia e Ucraina è entrata prepotentemente nella vita quotidiana del cittadino occidentale con una tempesta digitale di immagini e suoni, per lo più attraverso il terminale dello smartphone. Nel tempo della comunicazione ibrida e produttiva, a due anni dall’inizio della guerra, parole, suoni e immagini vanno e vengono ancora dall’Ucraina per fare la guerra e aggredire le nostre forme dell’abitare rispondendo alla ne­cessità collettiva di generare anticorpi che combattano l’assue­fazione all’ambiente mediale, producendo l’esperienza di una guerra disincarnata e più o meno normaliz­zata e addomesticata dall’intrattenimento social. Siamo di fronte a una guerra tra “macchine”, cioè missili contro missili, carri armati contro carri armati, droni comandati a distanza, da soldati che manipolano joystick davanti a uno schermo, siamo ancora di più di fronte a una guerra combattuta sul piano dell’immagine – una guerra di propaganda – prodotta nello spazio mediatico. Con l’obiettivo di arricchire una mappa di ricerca aperta, questo panel intende comporre una prospettiva complessa di analisi secondo ottiche e punti di vista diversi, utilizzando un ambito mediologico ibrido e di confine, in grado di insistere su un sistema guerra-media altrettanto ibrido, evitando le polarizzazioni consuete per provare a ragionare secondo prospettive e fuochi complementari e diversi.

Il panel affronterà il discorso attraverso quattro focus specifici.

Maschilità in battaglia. Militarizzazione e ritorno del virilismo bellico nel racconto occidentale del conflitto tra Russia e Ucraina

La guerra in Ucraina scoppiata nel Febbraio 2022 è stata raccontata dai media occidentali come una battaglia tra rappresentazioni della maschilità diametralmente opposte. Il primo intervento si propone di dimostrare come la rappresentazione delle due (apparentemente) inconciliabili maschilità di Putin e Zelenksy siano

a) un dispositivo retorico usato per riportare la guerra entro uno schema manicheo e semplificato, fatto di immaginari che si propongono come mutualmente escludenti;

b) un modo per reinstallare all’interno della narrazione occidentale principi tipicamente maschili come il militarismo, l’eroismo bellico, il sacrificio in nome di un valore più alto (Sjoberg & Via 2010).

Cyber War. Il combattimento nel dominio cibernetico (e mediologico)

Oltre lo spazio fisico dello scenario bellico, il combattimento in un ambiente mediale digitale ibridizzato cui stiamo assistendo si è sviluppato principalmente su diversi livelli (Floridi, Taddeo, 2016; Heintze, Thielbörger, 2016; Libicki, 2009; Whyte, Mazanec, 2023). Il paper si propone di analizzare i seguenti nodi di riferimento attraverso alcune esemplificazioni sintetiche.

  1. Attacchi informatici/cyber spionaggio;
  2. Azioni di Information Warfare/Psycological Warfare;
  3. Minare attraverso il cyberspazio le infrastrutture comunicative e di servizi di base

Media sintetici e deglobalizzazione. Lo scontro tra visioni globaliste versus retrotopiche nella guerra comunicativa basata sui deepfake

A partire da uno scenario di deglobalizzazione precipitato con il conflitto russo-ucraino. il focus dell’analisi verterà in questo caso sui deepfake intesi come media sintetici fondati sull’intelligenza artificiale (Meikle 2023) che hanno assunto particolare centralità nella guerra contro l’Ucraina. Con il paradosso che questi strumenti di “cyberwarfare” liminari e di fusione, che fanno dell’ibridazione il proprio principio estetico e comunicativo, vengono utilizzati tanto dalla parte globalista e progressista quanto da quella retrotopica e indennitaria per rivendicare i propri valori e legittimare la propria visione del mondo.

La forma della battaglia, oggi. Fra sociologia della cultura, sociosemiotica, spazialità e immagini

Nel quarto e ultimo focus vengono ripresi alcuni modelli polemologici, in un confronto fra sociologia della guerra e dei conflitti, per poi pervenire, attraverso alcuni esempi e casi studio, all’analisi dei relativi modi di rappresentazione e auto-rappresentazione degli attori in campo. In specifico, si analizzeranno i modi di presentare e costruire gli spazi del conflitto, a partire dai casi specifici della “dichiarazione di guerra” di Putin del 24 febbraio 2022, ed una serie di video propagandistici come il tristemente celebre “Winter is coming”.

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Maschilità in battaglia. Militarizzazione e ritorno del virilismo bellico nel racconto occidentale del conflitto tra Russia e Ucraina

Manolo Farci, Università degli studi di Urbino Carlo Bo

La guerra in Ucraina scoppiata nel Febbraio 2022 è stata raccontata dai media occidentali come una battaglia tra rappresentazioni della maschilità diametralmente opposte (Wojnicka, Mellström, de Boise 2022). Da un lato, la figura convenzionalmente machista di Vladimir Putin può essere intesa come un esempio perfetto di «mascolinità egemonica» (Connell 1995), archetipo dello «strong man» (Rachman 2022), versione radicale di ipermascolinità (Jeffords 1993; Romanets 2017). Non solo le rappresentazioni del leader russo che si sono susseguite in questi anni, ma il regime stesso di Putin si è andato fondando sull'attribuzione di caratteristiche maschili al Paese (Novitskaya 2017; Riabov & Riabova 2014). Al contrario, la mascolinità interpretata da Volodymyr Zelensky sembra muoversi in direzione completamente opposta al suo avversario. Dalle performance queer come comico in cui ridicolizzava i valori tradizionali e patriarcali della mascolinità cosacca (Bureychak & Petrenko 2015), allo stile di leadership mostrato durante la guerra, apparentemente più empatico e non timoroso di mostrarsi vulnerabile, Zelensky sembra distanziarsi nettamente dai caratteri tipici della maschilità egemonica, attribuiti a Putin. Tuttavia, il culto della personalità che ha investito il leader ucraino a partire dallo scoppio della guerra, ritratto come un eroe della resistenza e oggetto di vera e propria devozione da parte dell’opinione pubblica occidentale, ha finito per avvicinare la sua immagine pubblica all’ideale dell’uomo forte che caratterizza la leadership russa. E così mentre Putin si dipinge come il leader alla guida di una nazione vigorosa che fieramente si oppone alla penetrazione dei valori dell’occidente, un maschio alfa abituato a una concezione assolutistica del potere, Zelensky si mostra come il condottiero di un popolo di uomini guerrieri, pronti a morire e sacrificarsi per l’integrità dei propri territori. L’intervento si propone di dimostrare come la rappresentazione delle due (apparentemente) inconciliabili maschilità di Putin e Zelenksy siano a) un dispositivo retorico usato per riportare la guerra entro uno schema manicheo e semplificato, fatto di immaginari che si propongono come mutualmente escludenti, b) un modo per reinstallare all’interno della narrazione occidentale principi tipicamente maschili come il militarismo, l’eroismo bellico, il sacrificio in nome di un valore più alto (Sjoberg & Via 2010). Per supportare questa ipotesi, il lavoro analizza un corpus di 100 immagini dei due leader politici in questione. Le immagini, scelte in base al loro tasso di engagement online, sono state estratte da un campione di 10.000 news giornalistiche, circolate nei cinque quotidiani più seguiti in termine di follower su Facebook (Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, Il fatto quotidiano e il sole 24 ore) durante il primo mese di guerra. Le immagini sono state esaminate applicando i principi della Multimodal Critical Discourse Analysis (Machin 2016) un approccio analitico che esplora come le rappresentazioni visuali contribuiscano alla creazione di significato in maniera che riflette e promuove scelte e interessi ideologici. Integrando l'analisi critica del discorso (CDA), che tradizionalmente si focalizza sui testi scritti per identificare le relazioni di potere sociali presenti sia in modo esplicito che implicito, la MCDA estende questa indagine alla dimensione visiva e multimodale della comunicazione (Ng 2018). In particolare, le categorie di analisi utilizzate per studiare le immagini dei due leader comprendono l'indagine della tipografia, dell'iconografia (pose, oggetti, ambientazione, fotogenia, partecipanti), del simbolismo iconografico (convenzioni culturali e storiche e associazione di significato), della modalità e degli
attori sociali (sguardo, angolo, distanza). Esaminando le rappresentazioni di Putin e Zelensky, si cercherà di spiegare come la narrazione occidentale della guerra, concepita come uno scontro di maschilità in battaglia, abbia contribuito ad iniettare di ulteriore retorica di protezionismo maschile (Young 2003) l’attuale conflitto, finendo per alimentare un fenomeno di «militarizzazione delle menti» (Cohn 1987), ossia quel processo attraverso il quale idee, valori e pratiche associate al militarismo vengano interiorizzate e accettate come normali o naturali nel linguaggio e nella vita sociale e politica più in generale (Runyan & Peterson 1999; Enloe 2000).

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Cyber War. Il combattimento nel dominio cibernetico (e mediologico)

Alfonso Amendola, Università degli Studi di Salerno
Luca Lanzetta, Università degli Studi di Salerno
In collaborazione con l’Osservatorio Multidisciplinare per il contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo

Il conflitto russo-ucraino ha nuovamente portato all’attenzione dell’opinione pubblica il fenomeno della Cyberwar, come “quinta dimensione della conflittualità” (Martino 2014). Nonostante non rappresenti il primo e unico conflitto implicante azioni offensive o difensive cibernetiche attuate congiuntamente alle operazioni militari convenzionali (Borg 2012, Clarke, Knake, 2010; Giannuli, Curioni, 2019), la cyberwar tra Russia e Ucraina ha attirato l’interesse mediatico mondiale in modo decisamente incisivo.
Il conflitto ha immediatamente evidenziato l’interplay tra Cyber operations, Information Warfare e Psycological Warfare (Floridi, Taddeo, 2016; Heintze, Thielbörger, 2016; Libicki, 2009; Whyte, Mazanec, 2023). Oltre lo spazio fisico dello scenario bellico, il combattimento in un ambiente ibrido e digitale cui stiamo assistendo si è sviluppato principalmente su diversi livelli (almeno 3 sono le tipologie di nostro interesse):
• Attacchi informatici/cyber spionaggio, volti a bloccare il funzionamento delle infrastrutture tecnologiche dell’avversario e/o a spiarne, manipolarne le comunicazioni e le informazioni.
• Azioni di Information Warfare/Psycological Warfare (es.: attraverso il silencing di canali informativi o la diffusione di Fake News), per screditare l’avversario e polarizzare il pensiero dell’opinione pubblica verso determinate verità.
• Minare, mediante il ricorso ad azioni malevole compiute nell’ambito del cyberspazio, i sistemi necessari per il corretto funzionamento di una nazione, generando eventi dannosi quali il non funzionamento di reti e sistemi informatici, l’intercettazione di dati, la compromissione delle infrastrutture destinate alla produzione e alla distribuzione di gas, luce e acqua o delle reti finanziarie e commerciali, ovvero la paralisi dei sistemi dei trasporti.
L’attenzione riservata dai media e dall’opinione pubblica è presumibilmente da connettere alla generale ed accresciuta consapevolezza nella stessa opinione pubblica della gravità dei rischi cyber a cui l’universo informatico è costantemente soggetto. La centralità delle piattaforme digitali, non è più esperienza delle dinamiche aziendali o di business ma fa parte delle logiche dei singoli individui che sono sempre più inseriti in un ambiente riflesso dell’ampia diffusione dei social network, come Facebook, Instagram, Tik Tok, e dell’egemonia raggiunta nel contesto del mercato globale dai big dell’e-commerce. Nell’era cibernetica è indispensabile realizzare una politica internazionale che governi le dinamiche di potere vista la crescente militarizzazione del cyberspazio (Libicki 2016).
È fondamentale- secondo gli analisti della Sicurezza - strutturare una cyber-difesa in grado di rispondere agli attacchi asimmetrici capaci di sabotare le reti di comunicazione e le infrastrutture critiche nazionali mettendo in ginocchio interi Stati. Ed è inoltre importante in questo scenario costruire una rete di sicurezza per le aziende e controllare che i piani di emergenza siano aggiornati e adeguati a resistere agli attacchi informatici. Insomma, la cyberwar è un processo che tutto invade e tutto ridetermina. Lo scopo di questo paper – che nasce all’interno dell’Osservatorio Multidisciplinare per il contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo (nato nel 2023 presso l’Università degli Studi di Salerno) e parte dall’analisi delle principali azioni di cyberwar fino ad oggi documentate (e seguendo la tripartizione: conflitto simmetrico, attacchi bidirezionali, obiettivi differenti) - è quello di decodificare, analizzare e investigare metodicamente le caratteristiche «topologiche» di questo conflitto, al fine di comprendere il ruolo centrale della dimensione cybe in casi di conflitto e, più in generale, nella evoluzione del contesto delle relazioni internazionali. Cercando, in particolar modo, di ricostruire le prioritarie caratteristiche della Cyber war.

Il conflitto russo-ucraino ha nuovamente portato all’attenzione dell’opinione pubblica il fenomeno della Cyberwar, come “quinta dimensione della conflittualità” (Martino 2014). Nonostante non rappresenti il primo e unico conflitto implicante azioni offensive o difensive cibernetiche attuate congiuntamente alle operazioni militari convenzionali (Borg 2012, Clarke, Knake, 2010; Giannuli, Curioni, 2019), la cyberwar tra Russia e Ucraina ha attirato l’interesse mediatico mondiale in modo decisamente incisivo.
Il conflitto ha immediatamente evidenziato l’interplay tra Cyber operations, Information Warfare e Psycological Warfare (Floridi, Taddeo, 2016; Heintze, Thielbörger, 2016; Libicki, 2009; Whyte, Mazanec, 2023). Oltre lo spazio fisico dello scenario bellico, il combattimento in un ambiente ibrido e digitale cui stiamo assistendo si è sviluppato principalmente su diversi livelli (almeno 3 sono le tipologie di nostro interesse):

Attacchi informatici/cyber spionaggio, volti a bloccare il funzionamento delle infrastrutture tecnologiche dell’avversario e/o a spiarne, manipolarne le comunicazioni e le informazioni.

Azioni di Information Warfare/Psycological Warfare (es.: attraverso il silencing di canali informativi o la diffusione di Fake News), per screditare l’avversario e polarizzare il pensiero dell’opinione pubblica verso determinate verità.

Minare, mediante il ricorso ad azioni malevole compiute nell’ambito del cyberspazio, i sistemi necessari per il corretto funzionamento di una nazione, generando eventi dannosi quali il non funzionamento di reti e sistemi informatici, l’intercettazione di dati, la compromissione delle infrastrutture destinate alla produzione e alla distribuzione di gas, luce e acqua o delle reti finanziarie e commerciali, ovvero la paralisi dei sistemi dei trasporti.
L’attenzione riservata dai media e dall’opinione pubblica è presumibilmente da connettere alla generale ed accresciuta consapevolezza nella stessa opinione pubblica della gravità dei rischi cyber a cui l’universo informatico è costantemente soggetto. La centralità delle piattaforme digitali, non è più esperienza delle dinamiche aziendali o di business ma fa parte delle logiche dei singoli individui che sono sempre più inseriti in un ambiente riflesso dell’ampia diffusione dei social network, come Facebook, Instagram, Tik Tok, e dell’egemonia raggiunta nel contesto del mercato globale dai big dell’e-commerce. Nell’era cibernetica è indispensabile realizzare una politica internazionale che governi le dinamiche di potere vista la crescente militarizzazione del cyberspazio (Libicki 2016).
È fondamentale- secondo gli analisti della Sicurezza - strutturare una cyber-difesa in grado di rispondere agli attacchi asimmetrici capaci di sabotare le reti di comunicazione e le infrastrutture critiche nazionali mettendo in ginocchio interi Stati. Ed è inoltre importante in questo scenario costruire una rete di sicurezza per le aziende e controllare che i piani di emergenza siano aggiornati e adeguati a resistere agli attacchi informatici. Insomma, la cyberwar è un processo che tutto invade e tutto ridetermina. Lo scopo di questo paper – che nasce all’interno dell’Osservatorio Multidisciplinare per il contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo (nato nel 2023 presso l’Università degli Studi di Salerno) e parte dall’analisi delle principali azioni di cyberwar fino ad oggi documentate (e seguendo la tripartizione: conflitto simmetrico, attacchi bidirezionali, obiettivi differenti) - è quello di decodificare, analizzare e investigare metodicamente le caratteristiche «topologiche» di questo conflitto, al fine di comprendere il ruolo centrale della dimensione cybe in casi di conflitto e, più in generale, nella evoluzione del contesto delle relazioni internazionali. Cercando, in particolar modo, di ricostruire le prioritarie caratteristiche della Cyber war.

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Media sintetici e deglobalizzazione. Lo scontro tra visioni globaliste versus retrotopiche nella guerra comunicativa basata sui deepfake

Nello Barile, IULM

Il temine deglobalizzazione indica la perdita di energia del progetto globalista, a causa di una serie di crisi che hanno colpito la società mondiale dall’undici settembre alla pandemia, per raggiungere il suo picco con l’invasione dell’Ucraina. Come la globalizzazione da cui deriva, anche la deglobalizzazione è un fenomeno “multidimensionale” (Tomlinson 1999) che investe l’economia, la geopolitica, il consumo e la comunicazione contemporanea. Se fino agli inizi del nuovo millennio, persino le visioni più critiche e antiglobaliste convenivano sull’idea della creazione di un unico impero (Negri, Hardt 2002), capace di saldare e fondere gli interessi di nazioni, organismi sovranazionali, colossi multinazionali, Industrie mediali ecc., la tendenza attuale indica la spaccatura dell’Impero perlomeno in due parti: quella del blocco atlantista e quella del blocco sino-russo, con il fatidico Global South che oscilla a seconda delle circostanze. La fuga dei brand globali dal territorio russo, in seguito all’attacco dell’Ucraina, unita al processo di depiattaformizzazione, sono stati il segno più evidente dell’inversione di marcia che ha assunto l’immagine mediatica e frivola delle fashion influencer che con gesto dadaista facevano a pezzi le loro adorate borsette Chanel. Non è un caso che McDonald's, metafora stessa della globalizzazione e della sua immane macchina per l’infointrattenimento (Barber 1995), è diventato protagonista della deglobalizzazione, chiudendo migliaia di ristoranti in Russia per essere sostituito da un brand locale. Seguendo lo stesso trend, le piattaforme americane hanno lasciato il Paese, come nel caso di Netflix contro cui si sono mosse alcune class action degli utenti delusi. Ancora oggi l’arte, il
cinema, la musica la circolazione di talenti sono condizionati dal cambiamento. Come l’immagine di Mendevev, che perde contro Sinner senza nemmeno poter ostentare la bandiera del proprio paese d’origine. Le piattaforme non sono solo infrastrutture tecniche ma dispositivi culturali. Per questo motivo la Netflix Society rappresenta una punta avanzata della globalizzazione, ispirate dalla “ideologia” californiana (Barbrook, Cameron 1996) e fondate sui valori del puro individualismo e della libera iniziativa d’impresa, che si contrappongono al modello statalista e di controllo pubblico delle omologhe strutture cinesi (Van Dijk 2020). Al tempo della deglobalizzazione, assistiamo allo scontro tra due visioni del mondo polarizzate: da un lato l’orizzonte globalista e progressivo della “fusione”; dall’altro l’orizzonte retrotopico (Bauman 2017) e identitario dei populisti/sovranisti che resistono anche violentemente al cambiamento. Il focus dell’analisi verterà sui deepfake intesi come media sintetici fondati sull’intelligenza artificiale(Meikle 2023) che hanno assunto particolare centralità nella guerra contro l’Ucraina. Con il paradosso che questi strumenti di “cyberwarfare” liminari e di fusione, che fanno dell’ibridazione il proprio principio estetico e comunicativo, vengono utilizzati tanto dalla parte globalista e progressista quanto da quella retrotopica e indennitaria per rivendicare i propri valori e legittimare la propria visione del mondo. Queste “ontologie ibride” (Barile 2022) che giocano su una ironia perturbante, incentivano la democratizzazione delle immagini del politico come anche della celebrità o della persona comune. Come nel caso della grande rinuncia di Evgenij Viktorovič Prigožin, immortalata metaforicamente con l’innesto del suo volto su quello di Forrest Gump, quando dopo chilometri di maratona senza senso, invita tutti a tornare a casa. Ben diversa dal cyberattacco prank su Putin che annuncia l’invasione da parte delle truppe ucraine dei territori di Kursk, Belgorod e Bryansk, dichiarando la legge marziale ed esortando i residenti a fuggire, in stile Guerra dei mondi di Orson Wells. Lo stesso Prigožin pochi mesi prima dell’invasione, inveiva contro un presunto deepfake audio, accusando l’AI di operare miracolosi mix di frasi vere con altre false che lui non avrebbe mai pronunciato (Bershidsky 2023).

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La forma della battaglia, oggi. Fra sociologia della cultura, sociosemiotica, spazialità e immagini

Federico Montanari, Università di Modena – Reggio Emilia

L’intento di questa proposta è quello di partire da alcune premesse teoriche di tipo culturologico e semiotico-culturale, per studiare le forme della guerra, e in specifico della battaglia attuale, con riferimento soprattutto alla guerra di Ucraina: vista anche la, per alcuni, inaspettata, durata di questo conflitto; in un confronto con la situazione generale di “guerra mondializzata” (Morin), o di guerra mondiale “a pezzi” (Papa Francesco, e prima Khaled Fuad Allam), con i casi di Gaza, del mar Rosso, ecc. L’idea è innanzi tutto, di riprendere alcuni modelli polemologici, in un confronto fra sociologia della guerra e dei conflitti, con studiosi come Joxe, e ricerca che insiste sulle relazioni internazionali, in particolare l’ambito di quella che è stata definita “Critical Geopolitics” o nuova geopolitica discorsiva, con autori come Gerald Toal, in grado di tenere in conto gli ambiti retorico-semiotici e appunto discorsivi dei conflitti. Per poi pervenire, attraverso alcuni esempi e casi studio, all’analisi dei relativi modi di rappresentazione e auto-rappresentazione degli attori in campo (discorsi di alcuni leader o esponenti politici ed ideologi, ecc.); e, in specifico, dei modi di presentare e costruire gli spazi del conflitto, spazio proprio, spazio altrui, idea, ad esempio, di “Russia” come vera patria portatrice della verità e della giustizia, ecc. Con l’intenzione di discutere ampiamente e criticamente lo stato attuale:
a) degli strumenti di una sociologia e sociosemiotica culturale dei conflitti;
b) provare a valutarne la loro efficacia e capacità euristica anche nell’analisi di discorsi, retoriche, enunciati e immagini (oltre che pratiche di terreno) di questa guerra diffusa e ibrida.
Infine, ci concentreremo su un focus e paio di casi. Da un lato alcuni esempi di discorsi: dalla “dichiarazione di guerra” di Putin del 24 febbraio 2022, al discorso di Putin di Monaco del 2007, e ai suoi scritti successivi, ad esempi come quello dell’ideologo Karaganov; e infine ad alcuni esempi di video propagandistici come l’oramai famigerato “Winter is coming”, e alcune immagini di guerra.



 
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