Chair: Carlo Sorrentino, Università degli Studi di Firenze
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Gli studi sul giornalismo sono un campo interdisciplinare istituzionalizzatosi all’inizio del nuovo millennio e ben radicato nel complesso degli studi sulla comunicazione. Questa istituzionalizzazione è avvenuta proprio nel momento di maggior cambiamento e crisi della storia del giornalismo. Gli studi sul giornalismo sono dunque un campo plurale in cui coesistono differenti approcci teorici e metodologici, che si sforza da una parte di tratteggiare le regolarità del giornalismo, dall’altra di catturarne il movimento (Ahva, Steensen, 2020). Nonostante questa multidisciplinarietà la sociologia per lungo tempo è stato il centro che ha mosso la ricerca sul giornalismo. Se a partire dalla seconda metà del Novecento la separazione tra sociologia da una parte e giornalismo dall’altra appare semplice e intuitiva, per lungo tempo questa divisione non è stata affatto immediata. Chris Anderson (2015) ricorda, a questo proposito, la traiettoria di Robert Park, prima giornalista locale e poi rinomato sociologo. La distinzione tra le due parti avviene a partire dagli anni Settanta, quando la sociologia considera con più fermezza, rigore e distacco il giornalismo come oggetto di indagine empirica. Questa maturazione avviene non solo quando la sociologia è ormai considerata legittimamente una scienza sociale, ma anche quando sono cominciati ad istituzionalizzarsi i primi programmi accademici che si occupano di comunicazione: è questo il momento fondativo di quella che ancora oggi identifichiamo come sociologia delle notizie. Parlando di sociologia delle notizie, il riferimento non è tanto al lavoro seminale di White “The Gatekeeper: A Case Study in the Selection of News” (1950), precedente e che affonda nella tradizione di psicologia sociale, bensì dai lavori portati avanti da sociologi che svolsero ricerche in diverse redazioni americane e inglesi per realizzare etnografie della produzione di informazione (Cottle, 2007). La sociologia qui analizza le interazioni quotidiane dentro le redazioni, esaminando quali fattori interni (come ad esempio il controllo esercitato dalla proprietà) o esterni (pressioni politiche o economiche) incidano sul lavoro dei giornalisti. Sarah Stonbely (2015) passa in rassegna gli approcci sociologici più impiegati in questo periodo, elencando la teoria organizzativa, la critica ai processi di professionalizzazione e il costruttivismo sociale derivato dall’influente libro di Peter Berger e Thomas Luckmann (1966).
Se questo periodo è identificato proprio come svolta sociologica (Wahl-Jorgensen, Hanitzsch, 2009), questo slancio non si ferma agli approcci costruttivisti, ma prosegue nell’incorporazione dell’eredità di Pierre Bourdieu e di Bruno Latour. Discutere di giornalismo in termini sociologici significa identificare, tratteggiare e comprendere l’impatto della società sulle attività giornalistiche e le relazioni sociali ad esse inerenti, sul loro funzionamento. Ovviamente, anche viceversa, ovvero come il giornalismo influisca sulle rappresentazioni condivise di ciò che accade, sul senso reale.
Questo panel si interroga su quali ruolo ricopra oggi la sociologia negli studi sul giornalismo. Si domanda dunque se e come la sociologia è ancora la disciplina prevalente nell’ambito di questi studi. Ma ancora, qual è la sua eredità? Come è possibile tratteggiarla? Se ne discute in quattro differenti presentazioni sia teoriche sia basate su dati empirici che tentano di riflettere, rispondere e riattualizzare le questioni che legano la sociologia al giornalismo.
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Il paradigma dei newsroom studies oltre le redazioni
Sergio Splendore (Università degli Studi di Milano)
Il momento di distacco tra fare giornalismo e studiare il giornalismo sociologicamente è avvenuto quando sociologi e sociologhe hanno intrapreso percorsi di ricerca dentro le redazioni, dando corpo ai cosiddetti Newsroom Studies tra il 1960 e il 1980. Questo periodo è appunto indicato come svolta sociologica nell’evoluzione degli studi sul giornalismo. Dopo decenni in cui la sociologia si era occupata di media prevalentemente per comprenderne gli effetti sulle persone, considerando le notizie come meri messaggi, questo filone di ricerca porta l’attenzione sulla produzione.
Come fa notare David Weaver (2015), la mancanza di ricerca e riflessione su chi produce informazione e contenuti dei media, l’attenzione spasmodica sugli effetti dei media sulle persone che li utilizzano, aveva avuto come conseguenza la sottovalutazione del processo inverso: quali effetti la società avesse sui media e su chi li produce, argomento che in queste ricerche diviene centrale.
Il paradigma dei Newsroom Studies (appunto studi sul funzionamento delle redazioni), talvolta definiti anche come sociology of news (sociologia delle notizie, proprio perché analizza come siano prodotte e distribuite le informazioni giornalisticamente rilevanti), è però capace di gettare le fondamenta degli studi sul giornalismo (Kunelius, Waisbord, 2023).
Quello che accade con la sociologia delle notizie è una accurata e minuziosa analisi sociologica del lavoro del giornalismo, dove vengono presi in considerazione non solo i meccanismi di controllo sociale attribuibili agli editori o a chi ricopre posizioni influenti nella redazione, ma anche al più ampio contesto di socializzazione alla professionalizzazione e al modo di esercitarla. Con i Newsroom Studies si sposta il focus dalle scelte individuali di editori o giornalisti, ai processi complessi che intervengono nella produzione dell’informazione e che vedono coinvolti diversi attori. Il costruttivismo come principale approccio sociologico a questo tipo di studi mette in discussione l’idea che le osservazioni compiute sulla complessità del reale abbiano una qualsivoglia corrispondenza con la verità (o con la falsità); questo approccio sostiene dunque che la realtà esterna non possa essere rappresentata, se non in maniera approssimativa e arbitraria. Il costruttivismo reputa importante la posizione dell’osservatore e insiste sul fatto che ogni descrizione abbia a che fare con condizioni situate e contingenti. Enfatizza perciò che l’emergere e la condivisione di visioni del mondo dipendono dai processi sociali. I Newsroom Studies sottolineano invece come gli eventi, le idee, le prospettive raccontate, non siano altro che l’effetto di una rifrazione, un riflesso inevitabilmente distorto della complessità del reale. Questa rifrazione del reale avviene attraverso le strutture organizzative e culturali all’interno delle quali il giornalismo si muove.
I newsroom studies sono stati inoltre capaci di indentificare in maniera innovativa anche il processo di professionalizzazione. Questo processo era, ai tempi, definito soprattutto da quei tratti professionali reputati determinanti per emancipare il giornalismo dalle diverse influenze: ovvero più il giornalismo riesce a essere professionale, includendo nelle sue pratiche e nei suoi prodotti obiettività e imparzialità, più riesce a essere autonomo. Al contrario qui si sostiene che quei valori rappresentano un modo per rafforzare le posizioni dominanti e per cementare lo status quo. La professionalizzazione come progetto non aveva per scopo la crescita dell’indipendenza dei giornalisti bensì la loro cooptazione. La conseguenza delle routine adottate dal giornalismo e della sua organizzazione interna è la legittimazione e il consolidamento di una cerchia ristretta di credenze e prospettive che generalmente servono gli interessi di una élite. Gli elementi chiave che costituiscono la costruzione della conoscenza da parte dei giornalisti, con i loro legami agli editori, a una competenza istituzionalizzata, alle burocrazie e al sistema politico, rafforza infine l’ideologia dominante dell’epoca.
Se i newsroom studies sono stati considerati come un paradigma, i contestuali ampliamento e frammentazione del campo rendono questo approccio meno centrale. Nella contemporanea arena digitale come si inserisce questo approccio teorico e i suoi metodi? Come si può adattare ancora quello sguardo e le sue metodologie in un contesto in cui la redazione non esiste più nel modo in cui era concepita?
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Sociologia del giornalista e percezione dell’incivilità politica
Rossella Rega, Università degli Studi di Siena
Una delle fondamentali chiavi sociologiche dello studio del giornalismo è intesa a comprendere come le percezioni e le pratiche degli stessi giornalisti influenzino il loro lavoro e le rappresentazioni che offrono della realtà (politica, economica, sociale etc.). L’obiettivo di questo studio è quello di esaminare l’interpretazione giornalistica dell’inciviltà politica nei media informativi. Attraverso interviste a giornalisti politici di testate informative differenti (tv, digital only, legacy media, etc.), si vuole esaminare la loro percezione dell’inciviltà politica e la consapevolezza circa le conseguenze che essa può avere sulla vita democratica. Basandosi, infatti, sulla drammatizzazione, l’allarmismo, lo scontro polemico, l’esagerazione e distorsione informativa, il discorso oltraggioso/incivile (Berry, Sobieraj, 2014) attira l’attenzione dei pubblici ma difficilmente accresce il loro livello di comprensione della politica. Di conseguenza, è importante indagare quali valori i giornalisti considerino come essenziali per la loro attività professionale e se questi valori entrino in conflitto con la scelta di promuovere contenuti politici incivili. In questo quadro è altrettanto decisivo identificare la relazione tra i giornalisti che producono e distribuiscono contenuti incivili e il più ampio contesto di inciviltà in cui sono accolti (sia sociale sia politico). Esiste un rapporto di reciprocità? Come si comportano i giornalisti quando si trovano di fronte a comportamenti politici che possono essere considerati come incivili? In che modo la società influenza il discorso incivile e/o viceversa, il discorso incivile giornalistico influenza la società?
In questo paper si esaminano quattro dimensioni del discorso giornalistico incivile:
(a) Cos’è per i giornalisti l’inciviltà politica e quali sono le motivazioni riguardanti il suo aumento, ponendo particolare attenzione al ruolo svolto nel merito dai diversi attori della scena pubblica (politici, giornalisti, cittadini, etc.).
(b) Qual è il livello di consapevolezza, conoscenza e riflessività da parte delle giornaliste e dei giornalisti circa le conseguenze dell’aumento dell’inciviltà politica.
(c) Qual è il ruolo del contesto - trasformazioni del sistema mediale e dei modelli di business – nel contribuire a una crescita di questo fenomeno.
(d) Qual è il ruolo della partigianeria delle testate e della ricerca di fidelizzazione di nicchie di pubblico: le caratteristiche attuali del sistema mediale e politico contribuiscono, infatti, ad accentuare la competizione tra le testate per la fidelizzazione di pubblici schierati, mediante la diffusione di un’informazione politica biased e coerente con le aspettative dei propri pubblici.
Questo paper presenta i primi risultati di una ricerca effettuata attraverso interviste semi-strutturate a 15 giornalisti. Le interviste evidenziano una comprensione frammentata e diversificata del concetto di discorso incivile. In generale, i giornalisti intervistati mostrano una bassa riflessività sia rispetto alla comprensione del discorso incivile sia rispetto alle sue potenziali ricadute – allontanamento dei cittadini dalla politica, indebolimento della credibilità della testata, etc. (Egelhofer et al.2022; Goovaerts_2022). Contemporaneamente, si nota anche una debole riflessione circa il ruolo che essi svolgono nel contribuire a una diffusione dell’inciviltà Legato al punto precedente, emerge, infatti, come nella rappresentazione offerta della politica, spesso siano gli stessi giornalisti a enfatizzare gli attacchi tra i rappresentanti politici e gli episodi di inciviltà, perché considerati come contenuti remunerativi in termini di crescita di audience e visibilità. La piattaformizzazione è a sua volta indicata – più o meno implicitamente – come una delle motivazioni alla base dell’aumento dell’inciviltà nel discorso pubblico.
Nell’insieme, si conferma come le varie strategie utilizzate dai giornalisti (sovra-rappresentazione dei contenuti incivili, accentuazione dello scontro e della polemica nella rappresentazione della politica, ricorso a forme di derisione, discriminazione e distorsione informativa per fidelizzare pubblici schierati, etc.) rispondano anche alle esigenze di “sopravvivenza” del giornalismo contemporaneo in un mercato sempre più competitivo e orientato al profitto. Questa deriva, di lungo corso ma oggi più accentuata che in passato, pone, però, una sfida alla questione dell’autorevolezza del giornalista che al momento non sembra essere stata colta pienamente dai giornalisti intervistati.
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Prospettive relazionali nella sociologia del giornalismo: un dialogo tra Pierre Bourdieu e Bruno Latour
Matteo Gerli, Università per Stranieri di Perugia
L’evoluzione del panorama giornalistico, soprattutto nel contesto della comunicazione digitale, ha suscitato un crescente interesse accademico, sollecitando numerosi studiosi a riconsiderare criticamente teorie e concetti “convenzionali”, nati in epoca analogica. L’avvento delle tecnologie digitali ha profondamente trasformato il modo in cui le notizie vengono raccolte, prodotte, distribuite e consumate, ponendo il giornalismo contemporaneo di fronte a nuove sfide e opportunità. Nell’ambito di questa trasformazione, la ricerca sociale è chiamata a confrontarsi con un quadro in costante evoluzione, dove le incongruenze e la fluidità sembrano emergere come dimensioni costitutive della realtà giornalistica.
In effetti, i mezzi di informazione si trovano immersi in un contesto carico di incertezze sul futuro, cercando di adattare le proprie logiche e strategie alle mutate condizioni, anche a rischio di subire un’erosione dei “pilastri” istituzionali e professionali su cui avevano fondato il loro potere. Peraltro, tutto ciò si accompagna a una destabilizzazione delle differenze fisiche (materiali), di ruolo, stilistiche e di genere che, storicamente, hanno delineato i confini e le caratteristiche distintive delle varie forme di comunicazione e di espressione giornalistica (Wahl-Jorgensen 2015).
La necessità di comprendere e analizzare queste dinamiche ha portato allo sviluppo di nuovi approcci teorici e metodologici, incentrati sul concetto di “ibrida” (hybridity) come risposta alla natura dinamica, multiforme, contingente e perciò disomogenea delle pratiche e dei prodotti giornalistici (Witschge, Anderson & Domingo 2019; Splendore & Brambilla 2021; ). Con tutto ciò, la “svolta ibrida” (hybrid turn), se da una parte è stata accompagnata da una rinnovata consapevolezza circa la complessità e la pluralità del giornalismo, dall’altra è stata oggetto di critiche da parte di studiosi che ne hanno evidenziato la vaghezza, indicando la necessità di definire con maggior precisione i diversi significati che essa può assumere in relazione a specifici oggetti di ricerca (Witschge, Anderson & Domingo 2019; Hallin, Mellado & Mancini 2023).
Ci si è inoltre interrogati sulla effettiva novità e originalità di un concetto – quello di ibridità – che, a uno sguardo meno compenetrato con l’innovazione digitale, si manifesta come una caratteristica intrinseca ai processi di cambiamento socio-culturale, più che come un tratto emergente, specifico dell’attuale “era digitale”. Sotto questo profilo, la svolta ibrida sembra delinearsi più come l’esito di un processo in progress di de-istituzionalizzazione, che non come una netta “rottura” rispetto a una precedente stagione giornalistica contraddistinta da “forme pure” (Hallin, Mellado & Mancini 2023). In questo scenario, l’evoluzione storica del giornalismo, precedentemente vista come un processo relativamente lento e lineare, sta ora cedendo il passo a una fase di maggior decentramento e diversificazione delle varie istanze giornalistiche presenti nello spazio pubblico, accompagnandosi a un’accelerazione dei processi di interdipendenza nella produzione e circolazione di materiale informativo.
Con l’intento di mettere a fuoco queste dinamiche, il paper propone una riflessione di natura teorico-metodologica incentrata su un approccio di matrice relazionale che trova il suo fondamento nei progetti scientifici di Pierre Bourdieu e Bruno Latour (Dépelteau 2018; Papilloud 2018). Nello specifico, l’obiettivo è di analizzare in che modo i due autori francesi consentano di approcciarsi allo studio del giornalismo contemporaneo, sollecitando una riflessione sul problematico e mai definitivo rapporto che intercorre tra stabilizzazione e movimento, struttura e processo, dimensione macro- e micro-sociale, con particolare attenzione (anche) al ruolo degli attori “non umani” nel processo di produzione e circolazione di notizie.
Bourdieu e Latour, sebbene con intenti molto diversi, hanno apportato contributi significativi al rinnovamento delle basi epistemologiche e metodologiche della sociologia in prospettiva relazionale, diventando motivo di grande interesse anche tra coloro che si occupano di media e giornalismo (Chartier & Champagne 2004; Benson & Neveau 2005; Duval 2016; Benson 2017; Lewis & Westlund 2015; Couldry 2018; Maares & Hanusch 2022). Muovendo da una ricognizione critica della letteratura di matrice (o di ispirazione) bourdieusiana e latouriana, ci si domanda pertanto: (1) se ed entro quali limiti le singole prospettive consentano una comprensione adeguata del giornalismo nell’ecosistema mediatico contemporaneo; (2) con quali strumenti analitici e metodologici il ricercatore è sollecitato a esplorare il carattere proteiforme delle pratiche e dei prodotti giornalistici; (3) con quale efficacia euristica le dimensioni del potere e dell’agency vengono incluse nell’analisi del giornalismo nel rapporto con le articolazioni del sociale; infine, (4) se e fino a che punto è possibile immaginare un’integrazione tra i motivi latouriani e quelli bourdieusiani, ovvero se non sia preferibile perseguire la via “pragmatica” di una loro combinazione.
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Local Flooding News. Giornalismi e giornalisti nell’emergenza
Giacomo Buoncompagni, Università di Firenze
Da tempo il campo giornalistico sta assumendo molteplici sfaccettature grazie alla digitalizzazione dei suoi contenuti e alla loro diffusione all’interno delle piattaforme digitali, che hanno profondamente cambiato il modo di fare informazione e stanno modificando la stessa professione giornalistica, le routine produttive, le modalità di trattamento e di tematizzazione delle notizie, nonché il rapporto con le fonti e i propri pubblici (Schudson, 2013; Sorrentino e Splendore 2022). Processi che hanno investito tanto i media nazionali quanto quelli di comunità. Infatti, anche il giornalismo locale muta in risposta alle numerose sfide poste dai cambiamenti ecologici che hanno avuto luogo nel settore dei media e dalla più recenti emergenze sanitarie ed ambientali (Nielsen, 2015; Picard, 2014; Radcliffe eWallace 2021).
E’ nella produzione di informazione d’emergenza che si sono concentrati i principali sforzi dei media locali, settore editoriale ancora più in crisi dopo l’evento pandemico.
Nonostante le newsroom locali, così come tutte le agenzie d’informazione, operino ormai con margini ridotti, costrette a confrontarsi con il cambiamento delle abitudini di consumo delle notizie, è in queste situazioni che si rivela la centralità del giornalismo a base territoriale.
Partendo da questo scenario lo studio qui presentato analizza il comportamento dei media locali e nazionali durante l’alluvione che ha colpito la Romagna nel mese maggio del 2023.
Tre le principali domande di ricerca: Come cambia l‘agenda mediale nell’emergenza? Come il lavoro redazionale si riorganizza nelle newsroom locali e nazionali? Come i giornali romagnoli si sono rapportati con la comunità e le istituzioni locali?
Per rispondere a tali quesiti è stata utilizzata una metodologia qualitativa: l’intervista semi-strutturata. Nello specifico, sono state condotte venticinque interviste tra luglio e novembre 2023, includendo nel campione giornalisti (professionisti e non), con ruoli differenti sia all’interno di redazioni locali sia all’interno di redazioni nazionali.
Si è cercato di comprendere come i giornalisti hanno operato all’interno della comunità colpita e organizzato il loro lavoro di messa in forma dell’informazione; come e se sono cambiate le routine e quali sono stati i canali più utilizzati. Nello specifico sono state raccolte le voci di alcuni operatori dell’informazione a livello locale e nazionale che hanno seguito l’emergenza, con l’obiettivo di comparare il diverso modus informandi e “testare” la maggiore aderenza delle testate locali rispetto a quanto accertato dalle autorità locali e riportato nelle testate nazionali.
Il corpus testuale risultante dalle interviste è stato trattato seguendo un procedimento di tipo induttivo volto ad individuare, sulla base della traccia di intervista, le categorie tematiche più rilevanti e significative per descrivere le percezioni, le opinioni e i comportamenti dei giornalisti durante l’emergenza alluvione.
Abituati a un modo di informare sempre più disorganizzato e spettacolarizzato, i risultati dello studio mostrano come nei contesti d’emergenza i giornalisti locali si percepiscano come la migliore espressione del ruolo di cerniera fra sfera pubblica e vita quotidiana. L’informazione locale appare un luogo di “senso” e di relazione aperto più all’ascolto della propria comunità che all’entertainment. Al contrario, i giornalisti delle testate nazionali ritengono che lo stretto legame con il territorio rappresenti un limite nella narrazione dei disastri, che può essere superato grazie al racconto più distaccato, anche avvalendosi di fonti differenti.
Entrambe le categorie di giornalisti intervistati, inoltre, considerano la testimonianza diretta dei cittadini e i contenuti audio-visuali da loro prodotti e inviati alle redazioni elementi di secondaria importanza, che spesso accentua il disordine comunicativo piuttosto che favorire la partecipazione.
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Giornalismo e costruzione dell’agenda: per una critica agli approcci normativi
Rolando Marini, Università per Stranieri di Perugia
Negli studi sociologici sul lavoro giornalistico e sul ruolo del giornalismo nella costruzione delle agende pubbliche si sono generate letture notevolmente orientate da varie forme di normativismo epistemologico. Sebbene di segno diverso, anzi spesso opposte, tali letture sembrano convergenti nella costruzione di architetture concettuali di tipo critico, basate su un modello ideale di funzione sociale del giornalismo e dell’informazione, ma poco inclini a misurarsi con la multidimensionalità dell’oggetto di studio e soprattutto con gli aspetti relazionali e pragmatici del lavoro giornalistico e delle strategie redazionali.
Sullo sfondo vi sono le visioni del rapporto tra i poteri rilevanti nello spazio pubblico, e gli schemi del sistema delle presunte dipendenze oppure delle interdipendenze tra di essi. Si tratta appunto di una matrice relativa alle concezioni del potere nella società, e di come questo si traducea in influenza. Ciò disloca la preferenza per letture fissamente strutturaliste o, all’opposto, flessibilmente aperte all’interazione e all’agency.
Un primo esempio è quello della critica – diretta e indiretta – alla cosiddetta politicizzazione del giornalismo (o parallelismo, o partigianeria) sia nell’ambiente statunitense che in quello europeo e italiano. Tale lettura, oltre a una ricostruzione discutibile della storia del giornalismo – specialmente se si pensa al contesto europeo – si basa su un assunto implicito di virtuosità di un modello industriale-commerciale ritenuto essenziale per l’indipendenza dei mezzi e degli operatori dell’informazione. In tal senso, il rapporto tra ideologie o subculture politiche e lettura giornalistica della realtà, compresa la selezione e promozione dei temi, viene considerato come fattore degenerativo di inadeguatezza, piuttosto che come risorsa.
L’esempio opposto è dato dalla critica alla commercializzazione delle strategie editoriali e dei prodotti informativi, peraltro spesso coniugata con l’idea della politicizzazione. Si tratta di un lungo percorso, che punta l’attenzione sulle distorsioni della realtà, involontarie o intenzionalmente strumentali e ciniche: un percorso che va dalla denuncia di perdita inesorabile della funzione di formazione dei cittadini, fino a quella di costruire disgregazione sociale e declino della fiducia nelle istituzioni. Letture radicali e liberali sono accomunate dall’orientamento a una forma di razionalismo cognitivo che implica (e sottesamente pretende) un giornalismo asettico sul piano emozionale, e trascura la radice narrativa dei formati giornalistici, ancje negandone la specificità costitutiva come prodotti di un sottosistema che si istituzionalizza e differenzia in questo modo nell’universo della comunicazione e nel campo culturale.
Il paper propone, dopo la critica alle letture normative, una rilettura basata su alcuni aspetti salienti di una possibile epistemologia pragmatica per la comprensione sociologica del giornalismo:
- il sistema delle relazioni in cui il giornalismo è inserito nei vari contesti storico-sociali di appartenenza;
- l’importanza delle opzioni politico-culturali come risorsa relazionale e cognitiva;
- l’importanza delle alleanze con attori della società civile come co-produttori della rappresentazione della realtà;
- la combinazione di strategie plurime nella selezione e costruzione dei prodotti informativi (anche come riflesso di quelle nel rapporto con gli attori politici e con il pubblico).
- Le strategie di reazione e adattamento alle contingenze, soprattutto se determinate da situazioni di crisi.