Il prezzo dell’emigrazione. Dinamiche e conseguenze dei ricongiungimenti minorili
Roberta Ricucci
Università di Torino, Italia
Il contributo rifletterà su un momento cruciale del percorso migratorio dei minori, ossia quello del ricongiungimento familiare. Un aspetto decisivo per molti minori, soprattutto quando avviene dopo anni di separazione in scenari, come quello italiano, in cui la salienza dei processi di ricongiungimento familiare è ancora significativa. Il tema è peraltro di particolare rilevanza in Italia, dove sono numerose le catene migratorie al femminile. In esse le madri rappresentano le breadwinner familiari e spesso riescono a richiamare figli e coniugi solo dopo anni di distanza. Inoltre, l’inserimento nel mercato del lavoro nel settore dei servizi alla persona condiziona i tempi di vita, così come quelli dello stesso ricongiungimento (Crawley et al. 2023).
Grazie a contributi di ricerca qualitativi (interviste, focus group e osservazioni etnografiche) raccolti nell’arco di dieci anni in Piemonte su un campione casuale di oltre 150 children left behind provenienti da Sud America, Nord Africa e Filippine, si metteranno a confronto le pratiche e gli obiettivi delle madri (investimenti economici, emotivi, di capitale sociale) con le attese e le reazioni all’arrivo dei figli. Da un lato, quindi, le aspettative di offrire un ambiente di crescita e miglioramento socio-economico, dall’altro la delusione di sentirsi parte di una categoria (quella di figli immigrati) non ben accolta e considerata solo funzionale alle posizioni meno qualificate nel mercato del lavoro (Ricucci 2021). Nell’analisi della prospettiva dei figli, una speciale attenzione sarà dedicata alle ragazze. Infatti, fra i risultati più significativi si annoverano le polemiche rispetto all’integrazione subalterna delle madri ed alla scoperta della situazione socio-economica ed abitativa spesso poco edificanti o attese. Ma anche alle richieste di performances scolastiche cui le madri sottopongono i figli e le figlie per dimostrare il successo della decisione di migrare. Fa da contraltare il confronto con una parte della società italiana che considera (ancora) i figli delle migranti, ed in particolare le figlie, come destinate a sostituire le madri nei lavori di assistenza o poco-qualificati in generale.
Reaction videos, modelli sociali e stereotipi di consumo nella prospettiva delle narrazioni generazionali
Simone Mulargia, Francesco Nespoli, Mael Bombaci
Università LUMSA, Italia
La presentazione proposta relaziona i risultati preliminari di un più ampio lavoro di ricerca che ha a oggetto le principali forme di manifestazione dei cosiddetti video di reazione (reaction videos, RV) e le motivazioni della loro visione. Il successo di tale variegato genere è qui considerato come fenomeno peculiare connesso alla diffusione delle piattaforme digitali basate sulla distribuzione di contenuti visuali.
In particolare la presentazione si concentra sugli aspetti identitari delle narrazioni relative alla visione di RV prodotte dal confronto intergenerazionale tra gli spettatori/utenti (Colombo et. al., 2012, Aroldi e Colombo, 2013).
Tali aspetti sono stati indagati attraverso l’analisi tematica delle interazioni prodotte all’interno di 6 focus group da soggetti sottoposti alla visione di RV selezionati. I partecipanti sono stati selezionati in modo che in ogni focus group fossero coinvolti tre persone under 40 e tre persone over 40, per un totale di 36 partecipanti residenti in Italia, di cui 18 persone di sesso maschile e 18 di sesso femminile. Ai soggetti coinvolti è stato conseguentemente chiesto di descrivere liberamente i contenuti visualizzati e la loro esperienza di visione.
Nelle risposte dei partecipanti è riscontrabile una consapevolezza spontanea e intergenerazionale rispetto una possibile genealogia dei RV che li legata a forme estetiche dei media tradizionali (come, ad esempio, candid camera e quiz televisivi); origine per altro ampiamente descritta dalla letteratura in materia nell’ottica della rimediazione (Bolter e Grusin, 1999; Golding, 2019; McDaniel, 2020; Bliss, 2023; Goddard, 2023).
Nonostante questo processo di familiarizzazione sia esplicitato da soggetti appartenenti a generazioni diverse, emergono anche aspetti prettamente generazionali delle narrazioni dei partecipanti.
I partecipanti over 40 esprimono infatti una valutazione del lavoro dei creator, considerati cercatori del successo facile e operatori economici subliminali, che nascondono dietro la forma estetica del reaction video pratiche di influencer marketing. Nelle parole dei partecipanti emerge dunque la preoccupazione che i video di reazione costituiscano un’ esperienza rischiosa per gli utenti più giovani, sia rispetto alle conseguenze sui loro modelli aspirazionali, sia rispetto alla loro supposta incapacità di esercitare un senso critico nel consumo di tali contenuti. I partecipanti più anziani si ergono dunque a interpreti degli scopi impliciti di questi video che l’outgroup non sarebbe in grado di identificare.
Inoltre, si riscontra spesso una seconda dinamica, complementare rispetto alla prima: gli over 40 mettono in campo un meccanismo di difesa rispetto al confronto con i contenuti proposti. Attribuendo a essi mancanza di profondità, i partecipanti over 40 dichiarano di non comprenderne del tutto il significato. Emergono qui in maniera più netta non solo gli stereotipi verso il mondo dei giovani, ma anche i meccanismi di self-ageism in relazione all’utilizzo delle tecnologie di comunicazione digitale (Bodner, 2009; Barrie et al., 2021; Kania-Lundholm, 2023).
Le narrazioni dei partecipanti under 40 oscillano invece tra l’assenza di una percezione di pericolo e una consapevolezza dei meccanismi dell’economia dei creator spesso rivendicata come maggiore di quella loro attribuita dall’out-group (gli over 40). I più giovani rivendicano una capacità critica nei processi di interpretazione (sense making) e di consumo dei RV. Gli under 40 in particolare sottolineando le diversità o caratteristiche specifiche dei differenti tipi di RV e descrivono specifiche forme di appropriazione dei RV nei contesti mediali da loro ritenute quantomeno legittime.
La reputazione onlife dell’identità giovanile islamica in Italia. Fra pratiche e contro-narrazioni di stereotipi
Martina Lippolis1, Martina Crescenti2
1Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e della Salute; 2Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
La relazione analizza le modalità attraverso cui le seconde generazioni di giovani musulmani italiani ristabiliscono la propria reputazione, sia negli spazi fisici che digitali, in relazione alla propria identità religiosa, che viene associata da una parte della società a falsi stereotipi di fanatismo religioso, terrorismo e misoginia. Nella platform society (Van Dijck, Poell, De Waal 2018), come ormai viene definita la società di oggi, ogni fenomeno sociale viene vissuto in maniera ibrida, fra spazi online e offline (onlife) (Floridi 2015), all’interno dei quali si sviluppano dinamiche e processi distinti e allo stesso tempo fortemente intrecciati fra loro. Emerge nella sua rilevanza la questione sociale della reputazione e della web reputation, un problema sempre più sentito dalla popolazione e maggiormente al centro degli studi sociologici, in quanto può costruire e decostruire interi scenari collettivi, modificando e mettendo in discussione anche in maniera repentina gli agenti normativi, i sistemi di valore e le pratiche consolidate in una determinata società (Conte, Paolucci 2002; Mutti 2007). Nell’infosfera, così come definita da Floridi (2017), ogni identità è interconnessa e interdipendente, le informazioni sono largamente accessibili e potenzialmente manipolabili tanto da rendere i soggetti vulnerabili nella loro reputazione pubblica.
Nel contesto italiano, le seconde generazioni di musulmani, in quanto minoranza religiosa, sperimentano il problema della reputazione sociale rispetto alle discriminazioni e agli atti diffamatori vissuti nella loro quotidianità e alla diffusione di stereotipi negativi sull’identità e la cultura islamica (Savonardo, Marino 2021). Tali pregiudizi investono la vita quotidiana dei giovani e delle giovani credenti sia nel mondo offline che in quello digitale, incontrando fake news e narrative stereotipate dove è sempre più complesso riuscire ad avere un controllo o quantomeno un contenimento della gravità delle diffamazioni, accuse e offese (Ciftci 2012; Ogan et al, 2014; Crescenti 2023). Fra le varie esperienze che producono attrito e tensione nella minoranza giovanile si riscontrano fenomeni di razzismo e islamofobia, la quale sembra particolarmente diffusa e, secondo le stime, in continua crescita (Ciocca 2019; Galindo-Calvo et al. 2020). In risposta a tali problematiche, l’associazionismo giovanile diventa una forma di socializzazione, di solidarietà interna e di supporto per affrontare le sfide quotidiane incontrate nella sfera pubblica (Frisina 2007; Crescenti 2023). Non solo ragazzi e ragazze membri delle associazioni si attivano in modalità pratiche, attraverso la realizzazione di eventi, convegni, manifestazioni negli spazi fisici, ma anche nei social networks, dove mediante immagini, video e post definiscono la propria identità religiosa decostruendo i falsi modelli identitari (Premazzi, Ricucci 2015; Khamis 2021; Nadim 2023).
Tali riflessioni si sviluppano a partire da una ricerca empirica (2021-2023) che ha coinvolto 17 giovani musulmani maschi e femmine fra i 18 e i 30 anni di età dell’associazione Giovani Musulmani d’Italia (GMI), la più numerosa e diffusa a livello nazionale. L’indagine si è basata su una metodologia mista qualitativa (Amaturo, Punziano 2016) che ha previsto 17 interviste semi-strutturate individuali ai membri di tale associazione, tutti con un ruolo attivo in qualità di esperto di comunicazione, presidente di sezione, etc., e l’osservazione di immagini, video e post delle pagine Facebook e Instagram del GMI. Mediante le interviste sono state analizzate le strategie attraverso le quali i soggetti presi in esame recuperano negli spazi fisici e digitali la propria reputazione in relazione all’identità religiosa; e più in particolare, con l’etnografia digitale sono state indagate le modalità propriamente digitali (immagini, video, post) con cui i giovani consolidano la propria reputazione decostruendo gli stereotipi negativi.
Futuro e trasformazione sociale: una ricerca sulla generazione di giovani membri delle BCC
Alba Francesca Canta
Università Roma Tre, Italia
La velocità dei tempi e dei mutamenti rendono sempre più impellente l’attesa del futuro e la sua organizzazione, la cui previsione non è più affidata «agli indovini e ai ciarlatani» ma alla ricerca scientifica (Rizza 2003). La sociologia non può disinteressarsi del futuro della società (Bell, Mau 1971) in cui vive e accettare che il sistema sociale e le istituzioni rimangano statiche e immobili. Viviamo in un tempo di grandi cambiamenti, di svolte brusche (Mannheim 1928), che hanno messo in crisi i modelli sociali e comportamentali che necessitano ora di un impegno attento a prendere inconsiderazione la dimensione temporale futura. Con il cambiamento delle condizioni storico-sociali si è assistito a una contestuale metamorfosi dei processi culturali che organizzano la società e che hanno portato alla necessità di guardare al futuro adottando nuove paradigmi socio-culturali (Bourdieu 2002).
Tra i diversi approcci multidimensionali focalizzatisi sull’essenzialità di ogni persona e dei sistemi culturali vi è il capability approach (Sen 1999), che evidenzia l’importanza della persona come soggetto attivo capace di prendere decisioni e di attuare trasformazioni socio-culturali in chiave intergenerazionale (Alkire 2007). Tale processo presuppone una società inclusiva e la partecipazione attiva di ogni persona: tra le varie crisi, infatti, quelle della partecipazione e della democrazia stanno comportando conseguenze importanti in ogni ambito della società e necessitano di attenzione (Bentivegna, Boccia Artieri 2021; Ortiz et al. 2022). La partecipazione assume contestualmente una rilevanza intrinseca e una strumentale, come mezzo per il benessere. Diverse ricerche dimostrano quanto la partecipazione in vari ambiti della vita contribuisca a migliorare il benessere in termini materiali e immateriali, considerando il benessere come uno stato delle persone legato al raggiungimento di funzionamenti presenti e futuri (functioning), scegliendo quelli più adeguati alla propria vita (capabilities) ed essendo agenti attivi del cambiamento (agency) (Ardigò 1980; Welzel, Inglehart 2010; Moro, Sorice 2022).
Adottando l’analisi di Mannheim, il presente contribuito si propone di mostrare i risultati di una ricerca empirica condotta nel 2022 volta a studiare la generazione di giovani membri delle Banche di Credito Cooperativo (BCC) italiane. In particolare, sono state considerate due unità generazionali, il Laboratorio Giovani Soci della BCC di Roma e il Comitato Giovani Soci della BCC di Forlì, Imola, Ravenna, nati con l’obiettivo di avviare nuovi processi culturali all’interno dell’organizzazione e una nuova trasformazione dando concretezza al principio di democraticità tipico del movimento cooperativo, promuovendo la partecipazione dei/delle giovani del territorio e valorizzandoli come risorsa trasformativa per il futuro.
Considerando le gioventù e le generazioni come quelle forze rivitalizzanti capaci di contribuire al rafforzamento del legame tra dinamica generazionale e processi di mutamento (Mannheim 1928; Gili 2017), gli obiettivi principali della ricerca sono stati: studiare le caratteristiche della partecipazione all’interno dei due gruppi di giovani; verificare il possibile impatto sul benessere immateriale dei giovani considerati in termini di felicità, uguaglianza, solidarietà, responsabilità e fiducia; verificare il possibile ruolo assunto dalla generazione di giovani membri come risorsa trasformativa capace di creare un nesso inter e intragenerazionale.
La metodologia utilizzata è stata mista, in un ordine ora concomitante ora sequenziale: dopo un’analisi di sfondo dei dati secondari, la narrazione qualitativa ha previsto interviste a Testimoni di Primo (Responsabili) e di Secondo livello (Giovani membri) (Bichi 2002), l’osservazione partecipata e un focus group; la narrazione quantitativa ha previsto la somministrazione di un questionario (Tashakkori, Teddlie 1998; Caselli 2005).
I risultati della ricerca dimostrano che, nonostante l’importanza intrinseca e strumentale della partecipazione, essa rappresenta ancora una sfida per le BCC e assume caratteristiche particolari con intensità e forme differenti. Da ciò spesso dipende il raggiungimento del benessere e il ruolo che la generazione giovani può assumere nella trasformazione sociale, all’interno delle BCC e non solo.
Credere altrove. Dinamiche e processi di religiosità in emigrazione
Luca Bossi, Roberta Ricucci
Università di Torino, Italia
Come altri paesi europei, a partire dalla seconda metà del XX secolo l’Italia ha vissuto profondi mutamenti nella sua composizione demografica, diventando sempre più un contesto multiculturale. La storica monoconfessionalità, con il predominio del cattolicesimo romano e la sopravvivenza di piccole minoranze percepite come enclaves isolate, quando non perseguitate, ha lasciato il posto a un campo religioso plurale, dove il cattolicesimo è solo una componente della gamma confessionale con cui il credente può, legittimamente, confrontarsi. In questo contesto, le migrazioni hanno giocato un ruolo fondamentale, portando nuova vitalità e rilevanza alla religione nella società italiana.
Se, nell’ampio dibattito sul futuro della religione e sui processi di secolarizzazione nelle società occidentali, la trasmissione religiosa intergenerazionale in famiglia è uno degli aspetti sinora meno considerati, le dinamiche di trasmissione religiosa in atto nelle famiglie di origine straniera sembrano essere poco indagate, soprattutto in Italia. Assunta come un’esperienza dirompente, in cui i riferimenti quotidiani, gli habitus e i valori culturali e religiosi di una persona sono messi a dura prova dal cambiamento repentino di ogni aspetto della vita quotidiana, la migrazione può fornire preziosi spunti comparativi che ampliano l’analisi dedicata ai gruppi autoctoni. Agendo da specchio, le esperienze dei residenti con background migratorio e dei loro discendenti aiutano a cogliere con maggiore profondità gli aspetti intrinseci alle società europee, tra cui quella italiana.
Se la trasmissione intergenerazionale sembra fallire soprattutto nei paesi europei a maggioranza cattolica e protestante, che cosa avviene alle famiglie immigrate, religiosamente diverse e di più recente insediamento? Quale ruolo svolgono l’esperienza migratoria, le eventuali difficoltà d’inserimento nella società d’accoglienza (nei contesti scolastici, lavorativi, nei gruppi amicali), l’improvviso venire meno del contesto culturale e cultuale di riferimento, l’allontanamento dalla più ampia rete famigliare di origine? Se le comunità e i luoghi di culto nati dall’immigrazione hanno garantito rifugio, rispetto e risorse alle prime generazioni, diventando il punto di riferimento per l’accoglienza, l’orientamento e l’inserimento socio-culturale e professionale, per l’espressione religiosa e il recupero di costumi, tradizioni e valori, quale percezione ne hanno e quale funzione svolgono per le seconde e terze generazioni?
In tale cornice, il presente contributo mira a ricostruire le dinamiche di socializzazione religiosa (o meno) dei giovani nel contesto delle famiglie con background migratorio in Italia, con particolare attenzione alle tre principali confessioni presenti nel paese: il cattolicesimo, l’islam e l’ortodossia. Tra le domande fondamentali che costituiscono l’obiettivo primario dell’indagine: i) come avviene (o come non avviene) la trasmissione della fede, dei valori e delle visioni del mondo all’interno delle famiglie e tra le generazioni? ii) nei contesti migratori, quali sono i principali fattori che influenzano il processo di trasmissione intergenerazionale e come cambia – se cambia – il modo di essere religiosi? iii)quale ruolo svolgono l’esperienza o il background migratorio sulla trasmissione religiosa nelle prime, seconde o terze generazioni? iv) quali differenze e, all’opposto, quali pattern condivisi emergono dalla comparazione tra le pratiche delle famiglie di origine straniera e italiana?
La ricerca è parte di un’indagine internazionale che ha coinvolto cinque paesi: Italia, Canada, Finlandia, Germania e Ungheria. Condotta in ottica comparativa, con l’adozione di metodi qualitativi (interviste semi-strutturate e in profondità, focus groups in diverse regioni italiane), la ricerca ha coinvolto testimoni privilegiati (ministri di culto, rappresentanti di organizzazioni religiose con background migratorio) e un campione di famiglie, selezionate per territorio di residenza e religione di appartenenza.
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