Programma della conferenza

VI Convegno Nazionale SISCC “Possiamo ancora capire la società. Comprensione, previsione, critica.” / Roma, 20/21 giugno 2024

Il convegno 2024 della SISCC, in continuità con quelli degli scorsi anni, intende esplorare le complesse relazioni fra potere e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità che provengono da esperienze diffuse ma non necessariamente connesse. La SISCC ritiene che l’immaginazione sociologica debba essere supportata da una capacità di analisi scientifica e da una comprensione critica della società. Quale può essere allora il nostro ruolo di scienziati e scienziate sociali? E, in particolare, quale contributo possiamo dare alla comprensione della società proprio a partire dallo studio dei processi culturali e comunicativi che attraversano il nostro tempo?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 3 - Panel 3: Educazione tra innovazione e disuguaglianze
Ora:
Giovedì, 20.06.2024:
17:15 - 19:00

Chair di sessione: Andrea Maccarini
Luogo, sala: Aula T01


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Presentazioni

Opportunità, limiti e sfide della digital trasformation nell’università italiana

Barbara Mazza, Elena Valentini

Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale

Le società contemporanee devono affrontare la sfida di pensare a nuove forme educative, capaci di sfruttare le opportunità offerte dalla digital transformation, pur contenendone limiti e rischi, per formare le giovani generazioni. L’obiettivo è individuare metodi efficaci e supporti digitali adeguati a sviluppare approcci didattici per preparare al meglio professionisti in grado di interpretare, gestire e concorrere a delineare gli scenari futuri.

In questo ambito, si è sviluppata da tempo un’ampia letteratura, ma soprattutto più recentemente si assiste allo sviluppo di una riflessione sulle implicazioni dell’uso di piattaforme digitali e dell’introduzione dell’intelligenza artificiale come strumenti al servizio della formazione (Ramella & Rostan, 2020; Zhang et al., 2022; Prosser et al., 2003). In particolare, la questione centrale attiene al loro ruolo nella ridefinizione di metodi e tecniche educative capaci di concorrere allo sviluppo del pensiero critico, cercando di individuare i pregi e di arginare le criticità.

A questo proposito, gli approcci formativi più recenti adottano una prospettiva olistica che suggerisce di combinare indicazioni provenienti dalle diverse prospettive pedagogiche relative alle strategie di apprendimento e insegnamento, tra cui soprattutto quelle costruttivista, interazionista e socioculturale (Nguwi, 2023).

Questo paper intende fornire un contributo in tal senso presentando una prospettiva teorico-interpretativa che mette in relazione i più recenti modelli di applicazione della digital transformation nell’innovazione della didattica (Vrana & Singh, 2021) con i principali paradigmi che connotano la formazione universitaria nella cultura occidentale (Al Rawashdeh et al., 2021; Aditya et al., 2022). L’obiettivo è quello di individuare le modalità più appropriate per sfruttare l’innovazione digitale in maniera conforme ai metodi didattici che i docenti ritengono più appropriati rispetto alle loro esigenze formative.

Inoltre il paper riporta alcuni risultati emersi da un’indagine condotta su 5 dei 10 mega-atenei italiani nel 2022 e finalizzata a rintracciare tendenze e metodologie applicate di didattica innovativa, per delineare prospettive di sviluppo e principali orientamenti nel settore dell’innovazione della didattica e della trasformazione digitale delle pratiche educative. Lo studio, che ha coinvolto 1.821 docenti universitari, poggia su un’analisi mono e bivariata dei dati raccolti e su analisi di regressione lineare verificate mediante il coefficiente di regressione di Pearson e volta a verificare la relazione tra le principali variabili in esame relative alle modalità di insegnamento e apprendimento e all’uso di tecnologie innovative. Questa indagine ha inteso accertare se e in che misura l’innovazione didattica, comprendendo sia le prospettive pedagogiche che le strategie formative, è facilitata dalla trasformazione digitale e favorisce l’assunzione di metodologie didattiche capaci di sviluppare il pensiero critico.

I risultati di questo studio costituiscono solo una prima parte di una ricerca più estesa che prevede uno studio longitudinale volto a verificare i cambiamenti in corso nel tempo, nella consapevolezza che si tratta di un processo a lungo termine e sottoposto a continue sfide correlate alle incessanti innovazioni tecnologiche.

L’approccio è incentrato sulla ricerca di soluzioni adeguate alle esigenze di studenti e docenti, cercando di contenere il rischio di derive interpretative socio-materialiste o incentrate su logiche di iperludizzazione che spostano l’attenzione più sulla strumentazione tecnologica o sul principio del divertimento (Aldalur & Perez, 2023). Al contrario, lo studio si concentra su una prospettiva olistica per individuare aspetti che abbiano un fondamento nella metodologia didattica, ma che, al tempo stesso, possano leggere e interpretare in maniera critica opportunità e limiti della trasformazione digitale nella formazione universitaria.

A questo scopo, il paper inquadra potenzialità e criticità emerse dai risultati della ricerca, coerentemente con la letteratura di riferimento (Sharples, 2022; Dahalan et al., 2023; Perry et al., 2023), sottolineando questioni di natura strutturale, prospettica, metodologica ed etica da considerare per garantire un impiego equilibrato dell’innovazione tecnologia a supporto della qualità della didattica.



Ma possiamo ancora capire la società? Una sfida epistemologica, educativa e comunicativa

Piero Dominici1, Mariella Nocenzi2

1Università degli Studi di Perugia; 2Sapienza Università di Roma

Proviamo ad abitare un’epoca segnata da profondi mutamenti e processi di sintesi complessa, le cui implicazioni epistemologiche ed etiche, oltre a spalancare di fronte a noi prospettive e traiettorie del tutto inedite, non siamo in grado di valutare. Una fase accelerata di transizione “aperta” e irreversibile che ha determinato l’obsolescenza dei paradigmi tradizionali, a fronte di una trasformazione antropologica che si è concretizzata nel progressivo ribaltamento dell’interazione complessa tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale. Potremmo affermare: la realtà è in continua trasformazione ed evoluzione non lineare, mentre i saperi continuano a rimanere saldamente ancorati a logiche di reclusione e separazione che li rendono, di fatto, inadeguati e sterili. Confini e limiti, tra natura e cultura, tra naturale e artificiale, che sono completamente saltati, in virtù e in conseguenza delle straordinarie scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche; confini e limiti destinati a trasformarsi sempre più in zone ibride e di contaminazione che, almeno per ora, trovano le nostre istituzioni educative e formative, così come le culture organizzative pubbliche e private, impreparate e inadeguate.

Il complesso processo di trasformazione antropologica, in atto da tempo, dischiude orizzonti e scenari tuttora inimmaginabili, rendendo ancor più evidenti i nostri limiti, l’assenza di un sistema di pensiero, la nostra incompletezza e vulnerabilità, la nostra condizione permanente di razionalità limitata (Simon).

La civiltà ipertecnologica e iperconnessa, oltre a configurarsi come una civiltà della razionalità e del controllo totale, continua a rappresentarsi, ad auto-rappresentarsi e, soprattutto, ad essere rappresentata - sia a livello di narrazioni che di discorso pubblico - come una civiltà sempre più avanzata e in grado di eliminare l’Errore e l’imprevedibilità dai processi, dai sistemi, dagli ecosistemi, dalla vita. E, una civiltà di questo tipo, sempre più programmata e automatizzata in ogni suo aspetto e innervata di processi di simulazione (= efficienza/controllo), oltre che delegare tutto alla tecnologia, non può che ricorrere in maniera esclusiva, solo e soltanto, a quei saperi tecnici e a quelle competenze che appaiono più in grado di confermare e rafforzare quell’immagine e quell’immaginario collettivi.

Gettati nell’ipercomplessità – una ipercomplessità di cui non abbiamo ancora compreso le profonde implicazioni epistemologiche ed etiche -, siamo di fronte a nuove sfide epistemologiche, educative e di “cultura della comunicazione” in cui la Sociologia e, più in generale, le Scienze Sociali possono rivelarsi determinanti, e per tante ragioni.

Sfera cognitiva, sfera emotiva e sfera sociale. Consapevoli della natura intrinsecamente collettiva e collaborativa della conoscenza, occorre lavorare per risanare/ricomporre alcune fratture che segnano anche le singole esistenze, la realtà e le nostre visioni della realtà. Si tratta di fratture importanti e radicate nelle culture organizzative e, perfino, in quelle scientifiche; fratture che condizionano, non soltanto l’evoluzione dei saperi e della conoscenza, ma anche le nostre abilità e capacità di abitare l’ipercomplessità e rispondere, attraverso anche i modelli culturali, alle istanze dell’incertezza, oltre che alle anomalie del vivente e del reale. Si tratta di fratture che condizionano anche, e soprattutto, le nostre esistenze e i nostri vissuti sociali e culturali, il modo stesso di concepire la vita e l’esistenza, le relazioni, l’incontro con L’Altro da Noi, il pensiero e l’azione rispetto a ciò che è e sarà sempre ingovernabile, imprevedibile, talvolta ignoto.



Povertà educative nella scuola di base: valori e atteggiamenti di dirigenti e insegnanti di fronte alle conseguenze della pandemia

Maddalena Colombo1, Diego Mesa2

1Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia; 2Università Cattolica del Sacro Cuore, Italia

In Italia le povertà educative sono presenti nella scuola di base, sia come deboli livelli di apprendimento, sia come svantaggi di tipo sociale e culturale (Salmieri, Giancola, 2023) che colpiscono gli studenti con disabilità, con disturbi di apprendimento e con famiglie povere e deprivate, incluse quelle con background migratorio. Nel corso della crisi pandemica, gli studenti con BES Bisogni Educativi Speciali sono quelli che più hanno visto aggravarsi il rischio di esclusione, e quindi di impoverimento e deprivazione (Towsend, 1987). All’interno di un modello di educazione inclusiva avanzato (D’Alessio, 2011), lo Stato italiano ha garantito a questi studenti l’accesso alla scuola in presenza durante il secondo lockdown (Colombo & Santagati, 2022), mostrando di aderire ad un frame valoriale coerente con l’inclusione educativa (Onger, 2008; Canevaro, Ciambrone, Nocera, 2021). I tre anni di emergenza pandemica possono quindi essere considerati un banco di prova per il sistema scolastico, che ha risposto alle turbolenze provocate dal contagio da Covid-19 e alle sue conseguenze (Colombo et al., 2022) in maniera sia puntuale (auto-organizzazione e resilienza) sia sistemica (applicazione di norme speciali; educazione in emergenza) con impatti tuttavia differenti sugli alunni dei diversi territori, istituti e all’interno degli stessi istituti. Il contributo si chiede: Quali sono stati i principi-guida nella risposta all’emergenza (attesa, monitoraggio, attivazione, compensazione ecc.) incarnati da chi ha dovuto gestire in prima linea i rischi di povertà educativa degli alunni più fragili? Quali atteggiamenti hanno sviluppato i dirigenti e gli insegnanti? La nostra ipotesi è che durante i 3 anni scolastici della pandemia dirigenti e docenti abbiano sviluppato prospettive diverse, almeno nella fase iniziale, arrivando poi a convergere sui medesimi principi guida. Inoltre ipotizziamo che vi siano state differenze di sensibilità verso la povertà educativa (e dei rischi di deprivazione per coloro che già erano fragili) tra docenti curricolari e docenti di sostegno. Infine esploriamo gli atteggiamenti dei docenti in base a 5 dimensioni rilevanti (auto/etero referenzialità, visione della DAD, rapporto con la burocrazia, rapporto con gli studenti; orientamento verso la docenza). Il contributo si serve dei dati dell’indagine Deprivazione educativa e risposte sistemiche (2022/23) in 6 istituti comprensivi statali ad elevato tasso di presenza alunni con BES in tre province del Nord Italia (Brescia, Piacenza, Milano). La ricerca è stata effettuata con interviste semi-strutturate a 7 testimoni per ogni istituto (docenti, dirigenti, genitori) per un totale di 42 interviste, la cui traccia indaga aspetti organizzativi, didattici e relazionali della risposta delle scuole ai bisogni degli alunni con BES durante e dopo la pandemia. I risultati confermano che le divergenze di sensibilità tra dirigenti e docenti (manifestate al momento dello scoppio emergenziale) sono andate diminuendo nel corso delle due annate di “crisi”. Contrariamente all’ipotesi iniziale, i dati mostrano una sostanziale comunanza di visione tra docenti di sostegno e docenti curricolari rispetto ad un sensibile aumento negli ultimi anni delle forme di disagio psicologico, dei disturbi comportamentali e dei ritardi negli apprendimenti, maggiormente accentuato tra gli alunni ; inoltre, che la preoccupazione per gli alunni vulnerabilicon vulnerabilità. La condizione emergenziale e il deficit relazionale provocati dalla DAD hanno portato sia i docenti di sostegno sia i curricolari a rimodulare la didattica tenendo maggiormente in considerazione la promozione del benessere relazionale degli alunni sia come obiettivo in sé sia come leva fondamentale dei processi di apprendimento , più elevata tra i docenti di sostegno rispetto ai docenti curricolari, è andata allineandosi, all’interno di un frame valoriale di attivazione piuttosto che di precauzione, malgrado le scarse competenze digitali di entrambe le categorie, caratterizzate da atteggiamenti di autonomia più che eteronomia. Si conferma quindi un apprendimento organizzativo nelle scuole pubbliche di base verso la lotta contro la deprivazione educativa.



La “rivenducazione” come forma di lotta della nuova educazione popolare. Il caso delle scuole popolari a Roma

Fiorenzo Parziale

Sapienza, Italia

Il paper affronta un tema molto interessante e poco indagato nel campo sociologico come la rinascita delle iniziative di educazione popolare in Italia (De Meo, Fiorucci 2011; Antonini 2019; Zizioli 2024), Paese connotato da una lunga e al suo interno variegata tradizione in questo campo (Guimares et al. 2018; D’Ascenzo 2020).

L’unità di analisi della ricerca qui presentata fa riferimento al caso della Rete delle scuole popolari di Roma (Zizioli 2023). In linea con quanto riscontrato in altri studi nazionali e internazionali sui nuovi movimenti sociali (Yates 2015; Bosi, Zamponi 2020; Della Porta 2020), gli attivisti di queste Rete combinano il “mutualismo” praticato soprattutto dalla “sinistra antagonista” (di ispirazione neo o post-marxiana) organizzati nei centri sociali (Alteri 2014; Membretti, Mudu 2013; Bazzoli 2021; Bosi, Zamponi 2022) con pratiche di pedagogia critica (Giroux 2020).

La scelta di questo oggetto di studio è derivata dall’obiettivo di praticare una “sociologia pubblica” (Burawoy 2007). Questo modo di fare sociologia presuppone la partecipazione attiva del ricercatore ai movimenti sociali in lotta, al fine di contribuire in qualche modo ai processi di emancipazione collettiva. Questa visione critica della sociologia (Apple 2015) implica una rottura epistemologica rispetto alla netta separazione tra soggetto indagatore e oggetto di studio, e di conseguenza favorisce l’autoriflessione delle soggettività̀ in lotta così come del ricercatore stesso.

Tale postura intellettuale ripudia l’idea positivista della supremazia delle categorie cognitive del ricercatore rispetto a quelle delle soggettività indagate, mirando alla traduzione e al dialogo tra diverse forme di saperi.

Anche per via dell’esplicitazione di questa prospettiva, l’entrata nel campo di osservazione in qualità di ricercatore sociale, e in particolare di studioso di diseguaglianze scolastiche, è stata ben accolta e vissuta come “naturale” dagli attivisti delle scuole popolari.

La ricostruzione di questa rete è stata resa possibile, quindi, dall’osservazione partecipante scoperta (Silverman 1997; Cardano 2020). L’osservazione è stata condotta a partire dalla metà di ottobre del 2019, e continua tuttora. Nel gennaio del 2020 chi scrive ha così potuto partecipare attivamente alla redazione della “Carta”, ossia del manifesto contenente i principi e i valori condivisi dalle scuole popolari aderenti alla rete. L’osservazione ha comportato la partecipazione anche alla chat di WhatsApp in cui gli attivisti scambiano messaggi per stabilire le riunioni, organizzare eventi culturali (dibattiti, presentazione di libri, etc.) e pianificare iniziative politiche (sit-in, partecipazione a cortei, etc.). Il materiale raccolto con l’osservazione partecipante è stato integrato da ventotto interviste non direttive (Bichi 2007) agli educatori delle scuole popolari, realizzate grazie alla fruttuosa collaborazione tra le Università La Sapienza e Roma Tre.

Il tipo di intervista impiegata consente di reperire informazioni in profondità grazie a una conduzione in cui il ricercatore interviene poco, rispetta i silenzi e le pause dell’intervistato, adattando alla situazione dell’intervista formulazione e ordine delle domande (Bichi 2007).

Il paper esamina identità politico-culturale degli attivisti romani e loro pratiche educative, rileggendo entrambe alla luce delle trasformazioni neoliberiste di Scuola e Welfare.

In particolare, l’analisi evidenzia il nesso tra la rapsodica partecipazione all’agone politico-istituzionale degli educatori popolari e la possibilità per la governance neoliberista (Brenner 2004; Moini 2016) di ricondurre sotto la propria “ragione” (Sorice 2022) il contrasto alla cultura dello scarto, sfruttando la gratuità di un’attività che in qualche modo compensa la debolezza del welfare locale e della scuola nel contrastare le diseguaglianze sociali.

Allo stesso tempo, i risultati portano a evidenziare anche le potenzialità di un nuovo modo di declinare educazione e politica per il quale è stato coniato il termine “rivenducazione”. Questo tipo di azione riflette una tendenza che travalica le scuole popolari e fa riferimento alla progressiva costruzione in seno a una parte di società civile di forme di vita e pratiche contro-egemoniche (Hall 1986).



 
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