Chairs: Alberta Giorgi, Università di Bergamo, Rita Marchetti, Università di Perugia
I legacy media svolgono un ruolo importante nel plasmare il discorso pubblico sulla religione in due prospettive principali. In primo luogo, contribuiscono alla strutturazione delle principali categorie e cornici attraverso cui si parla di religione, del suo ruolo nella sfera pubblica e politica, della sua rilevanza nella vita quotidiana delle persone, nonché dei conflitti e delle tensioni che coinvolgono la religione, per esempio in relazione alla cosiddetta “governance” della diversità religiosa. In questa prospettiva è quindi rilevante capire se e quanto la dimensione religiosa sia presente nel dibattito pubblico, quale sia il peso dei temi religiosi, quale la capacità di voice degli attori religiosi e se il loro peso sia mutato nel tempo: più in generale, se e come varia il modo in cui si parla di religione, in relazione a quali fattori (per una panoramica recente si vedano Lövheim e Jensdotter, in corso di pubblicazione). Studi recenti mostrano per esempio come in Italia la copertura religiosa sia diminuita negli ultimi anni (Marchetti, Pagiotti 2023). In secondo luogo, i legacy media contribuiscono alle pratiche di legittimazione e de-legittimazione di attori e temi religiosi, offrendo visibilità e voce ad alcuni soggetti religiosi ed escludendone altri, per esempio, oppure trattando alcuni temi e ignorando altre questioni. Diversi studi hanno sottolineato per esempio come in Italia la trattazione dell’Islam sia prevalentemente inquadrata in una narrazione emergenziale, che costruisce questa religione come “altra” e aliena rispetto all’Italia, e come le altre minoranze religiose di fatto non trovino spazio d’attenzione e tanto meno voce, per quanto la situazione stia lentamente cambiando (cfr. per esempio Allievi 2017; Cervi et. al 2021; Giorgi 2018). In questo senso, i legacy media definiscono il mainstream e normalizzano alcuni modi di parlare di religione. D’altra parte, diversi sono anche gli studi che analizzano il rapporto tra legacy media e religioni esplorando i media di proprietà religiosa e le strategie di comunicazione degli attori ecclesiali (per l’Italia si veda Marchetti 2011) e le forme di appropriazione e innovazione comunicativa da parte di leader e gruppi religiosi (è il caso, per esempio, dei televangelisti studiati da Vitullo, 2021).
Nello spazio pubblico mediale contemporaneo, i media digitali contribuiscono a modificare il discorso pubblico intorno alle religioni, in tre direzioni. Innanzitutto, facilitano la connessione indipendentemente dalla contiguità fisica – fattore cruciale nel caso di minoranze religiose i cui partecipanti sono geograficamente distanti e isolati, come la Wicca – e permettono nuove forme di espressione religiosa e di costruzione di comunità. In secondo luogo, rendono disponibili e accessibili informazioni a proposito della religione e delle religioni, ampliando così le fonti attraverso cui le persone apprendono di religione e diversificando e ampliando il ventaglio di religioni e spiritualità “note”. In questo senso la conversazione si è diversificata e pluralizzata. Infine, i media digitali offrono un potenziale spazio di voce per minoranze all’interno delle religioni. Naturalmente, quello digitale non è uno spazio neutro: le logiche socio-tecniche influenzano le forme di espressione e la visibilità. Dal punto di vista teorico, gli approcci alla religione e ai media digitali si muovono all’interno di diverse prospettive che combinano l’attenzione a come i media digitali modificano lo spazio mediale (attraverso gli approcci dell’ecologia dei media, della mediazione e della mediatizzazione) con l’esplorazione di come le persone religiose usano le tecnologie e ne negoziano i significati (cfr. Lundby e Evolvi 2022).
Combinando l’attenzione a legacy media e media digitali, il panel circoscrive il suo campo d’attenzione alla religione cristiana (con particolare attenzione alla Chiesa cattolica), con l’obiettivo di mettere in evidenza diversi aspetti che riguardano il ruolo della religione nello spazio pubblico mediale.
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Non c’è più religione? Continuità e differenze nella presenza della Chiesa cattolica nei media italiani
Rita Marchetti, Susanna Pagiotti, Università degli Studi di Perugia
Da alcuni anni studiose e studiosi di diverse discipline parlano di un “ritorno” della religione nella sfera pubblica (Meyer, Moors 2006; Butler et al. 2011; Rovisco, Kim 2014; Schewel, Wilson 2020). La letteratura in lingua inglese sostiene a riguardo un’accresciuta visibilità della religione (che non necessariamente corrisponde a una maggiore incidenza delle Chiese nelle questioni di pubblico interesse, né tantomeno a una maggiore vivacità del sentire religioso dei fedeli) dovuta, almeno in parte, ai media che pubblicano un numero sempre maggiore di notizie che vedono protagonisti attori religiosi e la dimensione religiosa più in generale (Knott et al. 2013; Hjelm 2015; Lövheim 2019). A questo riguardo, alcuni studi si sono concentrati sul ruolo ricoperto dalle Chiese nella sfera pubblica indagando quei processi che portano alla loro legittimazione: sottolineano come, in Europa, le Chiese abbiano ottenuto visibilità per i rapporti intrattenuti con il mondo della politica - coadiuvando l’azione dei governi nei sistemi di welfare ma anche contrapponendosi agli stessi su questioni etiche (Norris, Inglehart 2007; Ozzano, Giorgi 2016) – e, più di recente, prendendo la parola sulle situazioni di conflitto.
Tuttavia, questo incremento della visibilità non sembra valere per il caso italiano e in particolare per la Chiesa cattolica. Un recente studio sul coverage giornalistico della Chiesa cattolica in Italia negli ultimi 17 anni ha evidenziato addirittura una diminuzione in termini quantitativi della presenza degli attori cattolici nella stampa cartacea (Marchetti, Pagiotti 2023). Tale tendenza può essere dovuta a diversi fattori che fin qui abbiamo solo provato ad accennare: dal cambiamento delle strategie comunicative della Chiesa, alle trasformazioni del contesto politico, economico e sociale, fino al mutamento del sistema mediale.
In questo quadro, il presente studio - che si inserisce in una ricerca più ampia all’interno di un progetto PRIN2022 - si pone l’obiettivo di indagare più approfonditamente se emergono differenze fra i diversi media outlets che compongono l’attuale sistema dei media. Considerando le riflessioni e le ricerche condotte negli ultimi anni sulle relazioni tra le diverse agende – come l’approccio dell’intermedia agenda (McCombs 2005) e della networked agenda (Vargo 2018) – l’obiettivo dello studio è verificare se la presenza della Chiesa nel coverage giornalistico e nel dibattito sui social media mostri dinamiche di convergenza fra le diverse agende mediali e/o se emergono divergenze in considerazione dei processi di disintermediazione (Chadwick, 2013) e del fatto che il dibattito pubblico è oggi l’esito dell’agency comunicativa di una molteplicità di attori diversi (Bentivegna, Boccia Artieri 2021).
L’ipotesi da cui lo studio muove è che la Chiesa cattolica sia legittimata a intervenire in presenza di questioni particolarmente controverse e sulle quali le viene riconosciuta una issue ownership (Petrocik 1996), in maniera trasversale sui diversi media analizzati (convergenza). Allo stesso tempo, però, si ipotizzano divergenze su temi e questioni specifiche dovute soprattutto alle diverse logiche mediali e all’attività di attori che attraverso i social media riescono a “imporre” temi altrimenti ai margini del dibattito pubblico mediale.
Per testare le ipotesi di ricerca sono stati raccolti tutti gli articoli pubblicati da dieci tra i principali quotidiani italiani in formato cartaceo, digitale e online-only e tutti i post pubblicati su Facebook dal 2015 al 2019 che contenevano almeno una di una lista di parole chiave relative alla Chiesa cattolica. In totale, sono stati raccolti 107.136 articoli e 1.037.026 post Facebook. I due corpora sono stati poi sottoposti ad analisi del contenuto (topic modelling).
Confermando le ipotesi di partenza, i risultati suggeriscono una sostanziale convergenza di agenda sui principali temi sui quali la Chiesa cattolica è chiamata a intervenire, ma una maggiore enfasi su Facebook di aspetti scandalistici e di contenuti di fede che non trovano altrettanto spazio sulle pagine dei quotidiani.
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Traiettorie narrative. Rappresentazioni mediatiche degli abusi sessuali nella chiesa cattolica in Italia
Stefano Sbalchiero, Università di Padova
Piermarco Aroldi, Università Cattolica del Sacro Cuore
Giuseppe Giordan, Università di Padova
Il fenomeno degli abusi sessuali sui minori all'interno della chiesa cattolica (Béraud, 2021; Blasi & Oviedo, 2020) ha guadagnato crescente rilevanza nel dibattito pubblico negli ultimi anni. Se, da un lato, la società contemporanea mostra una crescente attenzione alla tutela dei diritti umani specialmente quando si tratta di abusi su individui vulnerabili come i minori, dall’altro lato la crescente consapevolezza dell'opinione pubblica su casi di abusi ha portato ad un maggiore interesse mediatico e a una discussione più ampia su questa problematica. La reazione delle opinioni pubbliche nel "mondo cattolico" è stata particolarmente significativa, poiché ha portato a una riflessione critica sul ruolo dell'istituzione cattolica e sulla sua gestione di tali casi ponendo interrogativi sulle responsabilità delle autorità ecclesiastiche, sulla trasparenza delle indagini e sulle misure adottate per prevenire abusi futuri. Ciò ha contribuito a ridefinire il ruolo della chiesa cattolica in vari contesti sociali e culturali, alimentando un dibattito profondo sulla necessità di riforme e cambiamenti sostanziali all'interno dell'istituzione religiosa. In questo contesto, la trasformazione dei casi di abusi sessuali sui minori all'interno della chiesa cattolica in scandali nazionali (Thompson, 2000; Blic & Lemieux, 2005) è stata facilitata dalla divulgazione delle testimonianze delle vittime, unita alla percezione di un presunto insabbiamento da parte delle autorità ecclesiastiche, suscitando indignazione e partecipazione pubblica al dibattito che i media hanno contribuito a veicolare ed articolare.
All’interno di questa cornice, il paper si propone di analizzare le rappresentazioni del fenomeno in alcuni quotidiani italiani (Corriere della Sera, Repubblica, Avvenire), sia dal punto di vista quantitativo (più di 500 articoli rilevati tra il 2018 e il 2023), sia in una prospettiva analitica quanti-qualitativa focalizzata all’estrazione automatica dei contenuti (Sbalchiero, 2018). Il percorso di analisi dei dati testuali (Lebart et al., 1998) adottato si configura non solo come uno strumento utile per gestire grandi quantità di testi ma anche come un valido approccio per superare i limiti intrinseci di un'analisi qualitativa e manuale dei contenuti.
I risultati inerenti i processi di tematizzazione e rappresentazione del fenomeno evidenziano differenti traiettorie narrative, e relative strategie comunicative, caratterizzanti le diverse testate e che vanno da un approccio meramente descrittivo dei casi a quello istituzionale e protettivo, passando per un approccio maggiormente critico che valorizza, per l’appunto, la dimensione dello scandalo sulle altre.
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Contestare il Papa: la polarizzazione del dibattito online sulla “Chiesa di Bergoglio”. Un caso di studio
Alessandra Vitullo, Sapienza Università di Roma
Fabrizio Mastrofini, Pontificia Accademia per la Vita
Negli anni più recenti, numerose ricerche si sono occupate di studiare la presenza mediatica di Papa Francesco. Le particolari capacità espressive del Papa, unite alla sua visibilità, hanno contribuito a renderlo una vera e propria “celebrità”, facendogli guadagnare diversi soprannomi, tra cui: “selfie pope”, “rock star pope”, oppure “il Papa come social network”. L’eccezionale attenzione mediatica verso il Papa è chiaramente legata anche ai temi che la Chiesa di Bergoglio ha messo in evidenza durante il suo pontificato. Una Chiesa proiettata più verso le periferie, che verso la centralità dell’istituzione, che a volte lo espone a violente critiche da parte dei gruppi più tradizionali del cattolicesimo. Le principali critiche contro il Papa si basano, infatti, sulla sua mancanza di chiarezza dottrinale e sulla perdita di integrità del suo ruolo, a causa di alcune pratiche e messaggi poco ortodossi, che si ritiene mal rappresentino l’istituzione vaticana. Alcuni degli episodi controversi più recenti includono la benedizione del Giovedì Santo del 2022, durante la quale Bergoglio ha lavato e baciato i piedi di alcuni detenuti, l’uso del copricapo indigeno durante la visita in Canada, il permesso della Comunione - in circostanze specifiche - per i divorziati, o l'apertura del Sinodo alle donne.
Negli ultimi anni, le polemiche contro Bergoglio hanno raggiunto toni estremamente duri all’interno della stessa comunità cattolica, ed è soprattutto negli Stati Uniti che i gruppi cattolici conservatori hanno trovato un’ampia risonanza mediatica.
Sebbene il dibattito tra l’ala conservatrice e quella liberale all’interno del cattolicesimo - in particolare - e nel mondo cristiano - in generale - sia studiato da tempo, ancora poche ricerche esistono su come questo dibattito si articoli oggi a livello mediatico.
Questo contributo, tramite l’analisi di uno specifico caso di studio, vuole offrire una ricostruzione di come alcuni gruppi cattolici statunitensi utilizzino attivamente siti web e pagine social per contestare pubblicamente la leadership di Papa Francesco. Attraverso l’analisi delle reazioni ad un tweet pubblicato nel 2021 dalla Pontificia Accademia per la Vita (PAV), verranno evidenziati i temi e le strategie comunicative che caratterizzano la comunicazione di questa parte del mondo cattolico.
L’account Twitter della PAV è stato scelto come oggetto di analisi perché attraverso il suo lavoro, l’Accademia affronta alcune delle questioni più controverse all’interno delle diverse correnti del cattolicesimo, come l’aborto, l’eutanasia e altre questioni bioetiche. Risulta evidente, dunque, come l’alta sensibilità dei temi trattati dalla PAV, la espongono facilmente a dure controversie online e analizzare le reazioni a uno dei suoi tweet che ha ricevuto più interazioni fino ad oggi, permette di osservare più in generale alcune delle dinamiche, dei linguaggi e degli attori, che caratterizzano, l’attuale opposizione cattolica al pontificato di Bergoglio.
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Safe soundscapes: come le podcasters femministe e cristiane agiscono sulle regole del sentire religioso
Alberta Giorgi, Università di Bergamo
Gli studi sulla digital religion e quelli che mettono a fuoco il rapporto tra religione e genere mostrano come i social network e, più in generale, gli spazi digitali facilitino l’emersione di contro-pubblici religiosi, che decostruiscono e mettono in questione i regimi di genere consolidati all’interno delle comunità e tradizioni religiose e che pongono una sfida alle autorità religiose tradizionali e istituzionali. In particolare, gli spazi digitali risultano essere luoghi d’elezione per la costruzione di network, per la circolazione di discorsi e per la visibilità del femminismo religioso, all’interno come all’esterno delle comunità religiose.
Diversi studi, tuttavia, mostrano come le logiche socio-tecniche connesse ai social network possano favorire l’emersione e la diffusione di versioni del femminismo incentrate sull'empowerment piuttosto che sul cambiamento strutturale. Corrina Laughlin (2021) parla, in questa direzione, di “popular parochial feminism”, riecheggiando il concetto di “popular feminism” proposto da Banet-Weiser (2018).
Il presente contributo analizza i risultati di una recente ricerca condotta con 17 podcasters femministe/i e cristiane/i in Europa e Nord America per esplorare l’interconnessione tra le specifiche affordances dei podcast e il tipo di discorso sul femminismo e sul suo rapporto con la religione che viene proposto attraverso questo strumento. La selezione delle persone da intervistare si è basata su una scelta ragionata – cercando, sia sulle principali piattaforme sia attraverso diversi motori di ricerca, podcast che si auto-identificassero, nel titolo o nella descrizione, come religiosi e femministi, mettendo l’accento su entrambe le dimensioni identitarie. I podcast sono di diverso tipo – in generale, gli episodi costruiscono paesaggi sonori emozionali in cui si discutono questioni estremamente diverse tra loro, dalla sessualità al management, dalle teologie queer alla violenza. Sebbene dalle interviste emergano diversi significati e comprensioni del femminismo, tutte evidenziano la volontà delle intervistate di rivendicare la religione - e di reclamare l'autorità per poter parlare di religione.
Il quadro teorico combina l’attenzione alle specifiche affordances dei podcast con la letteratura sulle regole del sentire, mettendo a fuoco due interconnessioni specifiche. In primo luogo, l'autorità degli e delle host si fonda sulle loro narrazioni emotive in prima persona, sull'autenticità che trasmettono attraverso le emozioni, sulla loro empatia e sulle emozioni che circolano nella conversazione (cfr. Jorgensen 2021). In questo senso, il messaggio è incorporato nelle emozioni, che ne garantiscono la rilevanza: anche se si può essere intellettualmente in disaccordo con ciò che viene detto nel podcast, le emozioni non possono essere negate e funzionano come terreno comunicativo - come ponti tra host e audience, attivando emotional echo-chambers (Eslen-Ziya 2022; Swiatek 2018). Questo aspetto è particolarmente rilevante per le comunità religiose, nelle quali empatia e voce giocano un ruolo cruciale. L'attività delle/i podcaster cristiane/ può essere interpretata anche come una forma di audibility activism, in quanto ridefinisce cosa sia una voce religiosa autorevole in termini di genere e tonalità (Copeland 2022).
In secondo luogo, i podcast conversazionali sono spazi in cui le emozioni vengono convalidate. Da questo punto di vista, l’analisi mette in luce come l’intimità e le emozioni che caratterizzano la pratica del podcasting non solo contribuiscano alla costruzione di counter-publics che propongono discorsi alternativi a quelli più diffusi o istituzionalizzati nelle comunità religiose in relazione ai temi legati al genere e al femminismo: i podcast emergono come dei veri e propri safe soundscapes all’interno dei quali sperimentare regole del sentire alternative, ampliando le emozioni culturalmente appropriate (e richieste) nel contesto religioso (Hochschild 1983; Ahmed 2004). Questi paesaggi sonori sono infatti spazi sicuri in cui i "religious misfits" (Peterson 2022) possono sperimentare un senso di appartenenza all’interno del quale le identità femministe e religiose non sono trattate come un problema.