Quale comunicazione per la comunicazione del rischio? Riflessioni a partire da una literature review
Alessandra Massa, Francesca Comunello
Sapienza Università di Roma, Italia
I rischi ambientali e naturali rappresentano una minaccia crescente. Inoltre, l’impatto del cambiamento climatico ha portato all’innalzamento della frequenza di eventi meteorologici estremi, quali inondazioni, siccità e incendi boschivi. Questi eventi presuppongono un investimento nella divulgazione delle attività necessarie ai processi di mitigazione, adattamento e prevenzione da parte di istituzioni deputate alla gestione dei rischi. La comunicazione del rischio è un elemento strategico per la realizzazione di tali aspetti. Il campo della comunicazione del rischio è caratterizzato da confini porosi e discipline permeabili. Le scienze sociali si sono trovate a dialogare con altri campi disciplinari per comprendere i rischi naturali, la loro gestione e i relativi processi di comunicazione, anche con il fine di immaginare soluzioni efficaci (Balog-Way et al., 2020; Cerase, 2017; Sellnow et al., 2008). Spesso, la comunicazione del rischio deve veicolare messaggi legati all’incertezza e alla probabilità (Schneider, 2016); inoltre, non sempre amministratori e decision-makers riescono a comunicare efficacemente le informazioni tecniche a pubblici non necessariamente a proprio agio con il linguaggio della scienza. Media e operatori dell’informazione hanno la responsabilità di trasmettere e tradurre le informazioni prodotte da scienziati ed esperti ai pubblici (Covello et al., 1986).
In questo contributo, ci interrogheremo sul ruolo delle discipline comunicative nel più ampio contesto della comunicazione del rischio, riflettendo intorno a pratiche, processi e strumenti raccolti in una scoping review (Anderson et al., 2008). Questa review, condotta all’interno di un più ampio progetto di ricerca, aveva lo scopo di catalogare le pratiche di comunicazione del rischio internazionali, concentrandosi su campagne, strumenti ed esperienze significative.
La stringa di ricerca per la raccolta dei paper, composta da 43 keywords, è stata formulata dettagliando tre aree: 1) rischi naturali; 2) campo della comunicazione del rischio; 3) elementi che compongono e caratterizzano i processi di comunicazione del rischio, prendendo in considerazione quanto evidenziato in contributi sulla comunicazione del rischio e sulle campagne di comunicazione pubblica (Atkin, 2012; Covello et al., 1986; Rice & Paisley,2012).
La stringa è stata lanciata in cinque database (ACM, EBSCO, IEEE Xplore, Scopus, Web of Science) e ha raccolto 2217 articoli, ridotti a 1387 a seguito della rimozione dei duplicati. Questi articoli sono stati selezionati considerando il principio dell’intenzionalità (Malle et al., 2001) della comunicazione, in linea con i fondamenti della mass communication research (Katz & Lazarsfeld, 1955).
Questo processo ha condotto all’identificazione di 125 paper, analizzati qualitativamente in profondità per estrapolare le informazioni rilevanti per la costruzione di un repository di pratiche efficaci e di fattori limitativi nella comunicazione del rischio. Nello specifico, l’analisi vuole rispondere a due domande di ricerca:
RQ1: quali sono le caratteristiche della letteratura internazionale che ha descritto le pratiche di comunicazione del rischio?
RQ2: quale è il ruolo delle discipline e dei saperi comunicativi nella comunicazione del rischio?
Le principali caratteristiche emerse dall’analisi dei paper (frequenza e sedi di pubblicazione, temi principali, focus geografici, metodi di ricerca, etc.) sono utilizzate per rispondere alla RQ1.
Si restituiranno, inoltre, le principali evidenze in merito ai quadri teorici di riferimento, le definizioni di comunicazione del rischio, i modelli di comunicazione prevalenti (RQ2).
I risultati principali mostrano come la dimensione comunicativa sia talvolta marginale rispetto al peso interpretativo di altre discipline, specialmente quelle che interessano i dettagli tecnici dei rischi. Inoltre, nei paper analizzati la problematizzazione della comunicazione del rischio è limitata a poche occorrenze, mentre si descrivono dettagliatamente strumenti e ricadute operative.
La review ha evidenziato aree ancora poco esplorate: processi organizzativi, attenzione alla comunicazione del rischio in chiave di genere/diversity/multiculturalismo, partecipazione e co-design necessiterebbero di approfondimenti attraverso gli strumenti teorici delle discipline sociologiche e comunicative.
Eventi meteorologici estremi come eventi mediali nell'era del cambiamento climatico. Il caso delle alluvioni in Emilia-Romagna
Flavio Piccoli
Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia, Università degli Studi dell'Insubria
Comunicare il rapporto tra cambiamento climatico ed eventi meteorologici estremi durante e successivamente il loro accadimento si è rivelato una sfida complessa per giornalismo e media. Sebbene sia ormai accertato che le emissioni climalteranti generate dall’uomo influenzino la frequenza e l’intensità di tali eventi su scala globale e regionale, non è altrettanto semplice stabilire il ruolo che ricoprono nei singoli episodi. Gli studi di attribuzione, che provano a stabilire tale legame, sono relativamente recenti e numerosi contributi evidenziano come la scelta delle variabili considerate e dei metodi di analisi possano far variare in modo rilevante i risultati ottenuti. Inoltre, non sono sempre disponibili e, quando lo sono, visti i tempi di valutazione e pubblicazione, possono trovare copertura mediatica solo nel momento in cui la notiziabilità dell’evento è solitamente in calo, se non del tutto scomparsa, e lo spazio dedicato alla discussione di cause e responsabilità è già stato largamente definito.
Gli studi circa l'effetto di questi eventi su credenze e percezioni dei rischi climatici sono piuttosto controversi. Nonostante ciò i media, attraverso l’effetto di agenda setting rivestono un importante ruolo nell’influenzare i discorsi, gli immaginari costruiti e le posizioni assunte sul cambiamento climatico e il suo legame con gli eventi meteorologici estremi. Gli eventi in questione grazie all’alta notiziabilità che li caratterizza assumono spesso la forma di veri e propri eventi mediatici. Infatti, la definizione di crisi assunta dalla situazione climatica e lo statuto emergenziale degli eventi meteorologici estremi determinano un grande interesse da parte dei media. Interesse che viene ancor più riservato alle alluvioni grazie al loro impatto improvviso, le gravi conseguenze e le immagini sconvolgenti che le caratterizzano.
In questo studio, adottiamo un approccio olistico che combina la teoria dell'evento mediatico e l'analisi dell'ecosistema mediale, indaghiamo in modo critico discorsi, frame, rituali e narrazioni che danno forma alla rappresentazione mediatica delle alluvioni che hanno colpito l'Emilia-Romagna nel maggio 2023. Utilizziamo un disegno metodologico misto che prevede un'analisi qualitativa dei contenuti e delle narrazioni integrata da statistiche descrittive e analisi quantitativa dei testi. I dati sono costituiti da notizie provenienti dai cinque principali quotidiani nazionali, sette telegiornali di prima serata e tweet, relativi al mese di maggio 2023.
I risultati preliminari mostrano una certa coerenza tra i media considerati circa fasi narrative, agenda e discorsi presentati, con alcune variazioni nell'inquadramento delle notizie, nella selezione delle cause e nella rappresentazione del legame cambiamento climatico-eventi estremi. In primo luogo, si nota come l’enfatizzazione di lutto e perdita, sostenuti dall’immagine di resilienza data dei cittadini dell'Emilia-Romagna abbia creato un rituale di solidarietà nazionale. Da qui lo spazio dato a toni emotivi e logiche emergenziali, che hanno limitato le prospettive critiche circa cause, vulnerabilità e misure preventive. Si evidenzia così come il momento di grande attenzione mediatica e il fermento emotivo che caratterizza l’evento mediatico non riescano rendere conto della complessità del fenomeno e dei diversi fattori che potrebbero aver contribuito alle gravi conseguenze registrate.
Dall’altra, il giornalismo mainstream in Italia sembra carente di uno spazio e di competenze specifiche per affrontare in maniera critica le questioni ambientali e scientifiche. La tendenza a semplificare e sensazionalizzare il discorso porta a una gestione problematica dell’incertezza e della rilevanza dei fattori coinvolti nell’attribuzione delle cause. Le narrazioni e i loro soggetti si sovrappongono e confondono nei diversi media e testate, evidenziando una trattazione parziale e talvolta fuorviante del legame tra cambiamento climatico ed eventi meteorologici estremi.
The Day after Tomorrow Gli immaginari sociali del futuro nelle culture giovanili attraverso la produzione culturale di climate-fiction
Lorenzo Domaneschi, Lorenzo Zaffaroni
Università Milano-Bicocca, Italia
Questo lavoro di ricerca fa parte di un più ampio progetto finanziato dal PRIN PNRR 2022 (codice CUP - F53D23010870001) che indaga la produzione e la circolazione di scritti da part di attivisti e di narratori sul clima e sull'ambiente all’interno delle culture giovanili. Nel complesso, il progetto prende sul serio l'immaginario giovanile sul futuro come questione centrale del dialogo intergenerazionale, del potenziale conflitto e consenso tra generazioni diverse, mettendo al centro gli strumenti dell’analisi della sociologia culturale per comprendere l’intreccio tra discorso scientifico, mercato editoriale e immaginari sociali sul futuro.
In questo quadro, questa specifica proposta si concentra sull’emergere nel panorama italiano di opere letterarie appartenenti al genere della Climate Fiction (Cli-Fi): tanto le visioni utopiche quanto le distopie ecologiche diventano oggetti di analisi rilevanti, per verificare in che misura e con quali dispositivi retorici gli immaginari speculativi del futuro vengono classificati come positivi o negativi, ottimisti o pessimisti. A questo scopo, la ricerca si propone di combinare la letteratura sugli immaginari sociali (Taylor, 2004; Castoriadis, 1975; Appadurai, 2004) con l'approccio del campo della produzione culturale (Bourdieu, 2005), al fine di collocare la produzione discorsiva nell'ambito empirico delle routine della produzione editoriale.
Il disegno di ricerca è organizzato attraverso tre momenti di analisi volti a ricostruire la genesi sociale, le caratteristiche intrinseche e gli effetti potenziali di un immaginario letterario costruito attraverso questo particolare campo di produzione culturale. In un primo momento, è stata ricostruita la storia culturale del particolare genere letterario definito Climate Fiction (Milner & Burgmann, 2018; Goodbody & Johns-Putra, 2019) al fine di delineare le modalità con cui è diventato un segmento centrale dell'editoria rivolta alle nuove generazioni e di tracciare le potenziali linee di sviluppo futuro nel contesto italiano ed europeo. In una seconda fase, attraverso gli strumenti della critical discourse analysis, è stato analizzato un corpus di romanzi, selezionati sulla base di 3 criteri principali: la rilevanza dell'argomento rispetto al tema della ricerca, il grado di diffusione del testo su base europea e il marketing editoriale in cui il testo è inserito. Parallelamente all'analisi del discorso, in questa seconda fase, sono state condotte una serie di interviste in profondità con una selezione di responsabili di case editrici incaricate di selezionare e promuovere collane editoriali dedicate al genere Cli-Fi. Infine, è stato condotto uno studio di caso relativo alla circolazione sulle piattaforme digitali di questi stessi testi, concentrandosi sulle principali comunità di lettura che si sono recentemente sviluppate intorno a questo genere letterario su Tik Tok, attraverso l'hashtag #Booktok, contribuendo in modo significativo alla sua diffusione editoriale (Flood, 2021). Questi spazi rappresentano, infatti, luoghi sperimentali in cui l'immaginario sul futuro del clima presentato nei romanzi etichettati come Cli-Fi, viene coltivato, commentato e rinegoziato da vari pubblici e attraverso diverse pratiche digitali, creando le condizioni per lo sviluppo di forme di partecipazione e di costruzione di comunità virtuali che problematizzano ulteriormente la polarità tra attivismo e fatalismo.
In conclusione, questa ricerca esplora l'emergere e la diffusione della Climate Fiction in Italia e i suoi effetti più rilevanti in termini di immaginari sociali futuri portando alla luce tre elementi: 1) la storia culturale più recente di questo particolare genere letterario che intreccia discorso scientifico e mondi della fiction, 2) gli immaginari che dall’interno delle culture giovanili sintetizzano narrazioni sul cambiamento climatico aprendo o chiudendo spazi di azione creativa e politica 3) descrivendo le forze del campo di distribuzione, circolazione, fruizione, interpretazione e discussione tra i giovani (sia sui legacy media sia sulle piattaforme tematiche digitali) di questo nuovo genere letterario.
De-naturalizzare il cambiamento climatico: la negoziazione dei frame mediatici
Valentina Cappi, Paola Parmiggiani
Università di Bologna, Italia
La comunicazione del cambiamento climatico è stata definita «la sfida comunicativa del nostro secolo» (Priest 2016). Lo è per numerose ragioni: per la posta in gioco; per la complessità del tema; per la sua capacità di polarizzazione politica; per la difficoltà di porre una simile questione all’attenzione di un pubblico ampio nell’età della disintermediazione (Moser 2010). Soprattutto, perché il modo in cui gli individui e le società inquadrano e percepiscono il cambiamento climatico apre la strada a risposte e azioni differenti (Nisbet 2009; Dunlap e Brulle 2015; Singh e Swanson 2017).
Fare in modo che un pubblico riconosca un problema come tale, ne comprenda le cause, individui delle responsabilità e identifichi eventuali soluzioni è, in ambito comunicativo, una questione di framing (Griswold 2005), ovvero della cornice interpretativa che permette alle persone di dare un senso a ciò che esperiscono (Goffman 1986).
Entman (1993) e Scheufele (1999) distinguono due tipi di frame: i frame dei media e i frame del pubblico. Da quando il cambiamento climatico ha iniziato a penetrare nel discorso pubblico attraverso la copertura dei media di informazione e di intrattenimento, numerosi studiosi/e si sono occupati/e di analizzare i frame maggiormente utilizzati dai media, dai movimenti sociali o dai leader politici per inquadrare questo fenomeno (Nisbet et al. 2013; O’Neill et al. 2015; Chen et al. 2023; Guenther et al. 2023). Decisamente meno numerosi, soprattutto nel contesto italiano, sono gli studi che si sono interessati ad esplorare la negoziazione di quei frame da parte dei pubblici, ovvero ad indagare in che modo determinate audience interpretano attivamente e danno un senso alle narrazioni del cambiamento climatico in circolazione nello spazio pubblico. Per colmare questo gap e allo scopo di fornire indicazioni utili a sviluppare una comunicazione più coinvolgente per i giovani tra 18 e i 29 anni in Italia, si è intrapresa una ricerca-azione, di cui in questa sede si vorrebbero riportare i risultati preliminari.
Prendendo ispirazione dalla metodologia dei narrative workshop (Shaw e Corner 2017) e dei climate visuals (Chapman et al. 2016), nel 2023 sono stati condotti 35 focus group con un campione di convenienza di studenti iscritti a un ateneo italiano, allo scopo di esplorare le loro percezioni del cambiamento climatico, la loro ricezione di immagini e testi relativi a questo fenomeno e di individuare quali, fra i differenti frame esaminati, sembrano essere maggiormente in grado di favorire il loro coinvolgimento. 22 focus group hanno riguardato la ricezione di immagini, con un media di 6 partecipanti ciascuno, 13 focus group hanno riguardato la ricezione di testi, con una media di 5 partecipanti ciascuno. Tutti i focus group hanno previsto un moderatore partecipante, un osservatore e una traccia strutturata per la discussione. I dati raccolti sono stati analizzati tematicamente ed interpretati alla luce della letteratura scientifica esistente.
I risultati preliminari, circoscrivibili ai soli partecipanti, mostrano che inquadrare il cambiamento climatico attraverso la cornice della “crisi climatica” permette di de-naturalizzare il fenomeno e di individuarlo come problema sociale, di veicolare un senso di maggiore urgenza e di stimolare una reazione emotiva. Il frame meramente scientifico risulta poco in grado di stimolare un dibattito, mentre il frame delle responsabilità politiche e il frame sociale/umanitario, legandosi a valori come la responsabilità morale e permettendo di individuare più precisamente cause e responsabilità della crisi, vengono dai partecipanti reputati più adatti ad una comunicazione efficace. Se la reazione di fronte alle immagini è meno omogenea, si nota una preferenza per immagini che, ancora una volta, fanno emergere gli aspetti sociali del cambiamento climatico, siano essi le disuguaglianze sociali o i processi di diniego e inazione.
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