Artivismo, partecipazione e immaginari: nuove traiettorie di ricerca?
Giulia Allegrini, Melissa Moralli
Università di Bologna, Italia
La relazione tra pratiche artistiche e attivismo è divenuta nell’ultimo decennio oggetto di un ampio dibattito attorno a diversi campi di pratiche (Paltrinieri, Parmiggiani, Musarò, Moralli 2020; Oso, Ribas-Mateos, Moralli 2024) che pongono al centro il ruolo delle arti nella generazione di cambiamento sociale interrogando al contempo la dimensione politica di tale cambiamento.
Tra i diversi termini oggi ampiamente utilizzati per descrivere questa relazione vi è quella di “artivismo” (Milohnić 2005) che guarda all’arte come forma di azione pubblica (Verde 2007), in grado di “istituire” processi di soggettivazione politica (Allegrini 2020). Il termine artivismo si riferisce quindi a quelle pratiche e progetti creati da artiste/i, attiviste/i e studiose/i che fanno dialogare la dimensione estetica con quella etica e politica (Salzbrunn 2019), rappresentando un'importante forma di dissenso e un potente spazio espressivo di partecipazione e riflessività culturale. Spazio dove si cerca di intervenire per riflettere criticamente sulle differenti emergenze del nostro tempo – dal campo educativo, a quello ecologico, dal diritto alla città e alla mobilità – attraverso diversi linguaggi e dispositivi che possono spaziare dalle forme proprie dell’arte pubblica (Lacy 1995), all’arte partecipativa “communty-based”, fino all’“artivismo digitale” (Gemini, D’Amico, Sansone 2021).
Il presente contributo si colloca all’interno di questo dibattito e intende tracciare alcune traiettorie di riflessione critica sulle intersezioni tra produzione artistica, cultura e attivismo. Lo farà partendo dai risultati emersi da tre ricerche accomunate dall’obiettivo di riflettere sul dialogo e le tensioni esistenti tra pratiche artistiche, diversità culturale e creazione di nuovi immaginari sociali.
Il contributo si sofferma in particolare su quattro dimensioni trasversali, oggi particolarmente rilevanti per alimentare una riflessione critica sulla relazione tra sapere e potere e sulla produzione di nuove narrazioni sociali. Una prima dimensione riguarda il tentativo, oggi emergente in diversi ambiti, di risemantizzare il concetto stesso di produzione artistica in particolare rispetto a due dimensioni chiave: tempo e spazio (e luoghi) e il loro ruolo nel fondare pratiche commoning (Dockx, Gielen 2018). Una seconda dimensione riguarda la tensione tra processi di politicizzazione e depoliticizzazione e il ruolo giocato da artiste/i quali mediatori e mediatrici di sapere e di immaginari alternativi contro-egemonici (Papastergiadis 2012). Infine, si rifletterà sulla dimensione partecipativa e collaborativa (Bishop 2011; Kester 2005;) che spesso viene evocata per descrivere queste pratiche e la necessità di mettere a fuoco le ambivalenze e le opportunità che tali pratiche disvelano, anche decostruendo il concetto di conoscenza come “sapere esperto” e mettendo in discussione il processo di produzione dei saperi dentro e fuori l’accademia.
Il laboratorio dal vivo: partecipazione intensiva ed estensiva in BAT - Bottega Amletica Testoriana
Laura Gemini, Lorenzo Giannini, Francesca Giuliani
Università di Urbino Carlo Bo, Italia
La storia dell’arte del Novecento è caratterizzata da un insieme di idee e pratiche partecipative che hanno cercato di mettere in discussione la netta distinzione dei ruoli tra artista, opera d’arte e pubblico. Teorizzazioni come quelle di “estetica relazionale” (Bourriaud 1998) o “arte dialogica” (Kester 2004) hanno cercato di sistematizzare questi tentativi nell’ottica di una traiettoria che passa dall’opera al processo comunicativo, e dall’asimmetria artista/fruitore a uno scambio, idealmente, più paritario.
Lo sviluppo delle piattaforme e delle culture digitali ha esteso tali questioni, precedentemente esclusive dell’ambito artistico, a un raggio più ampio di domini sociali. Ci troviamo in quella che è stata definita come “participatory condition”, dove «(…) participation (...) has become both environmental (a state of affairs) and normative (a binding principle of right action)» (Barney et al. 2016, p. 1). L’idea di una “condizione partecipativa” non indica quindi soltanto un ambiente sociotecnico che favorisce la partecipazione, ma una mutazione dell’immaginario sociale dove cambia il senso della posizione nella comunicazione (Boccia Artieri 2012).
Se però da una parte i pubblici sono portati a cercare esperienze culturali basate su co-creazione e prosumerismo (Australia Council for the Arts 2021), dall’altra, queste potenzialità si scontrano con la penetrazione di responsabilità “lavorative” nel tempo libero (Harvie 2013) e con la mercificazione dell’interazione come strategia di engagement.
Il caso BAT, su cui si basa il presente lavoro di ricerca, rappresenta un campo di osservazione privilegiato per indagare la costruzione e la ricezione di processi artistici partecipativi che cercano di sfuggire a tali logiche di commodification del lavoro relazionale (Baym 2018) .
BAT - Bottega Amletica Testoriana è un progetto curato dal regista teatrale Antonio Latella insieme ad AMAT, e consiste in un percorso di formazione con 8 giovani attrici e attori sulla poetica del drammaturgo Giovanni Testori, concentrandosi in particolare sulle sue tre riscritture dell’Amleto. BAT presenta specificità che lo rendono un caso unico sul rapporto tra obiettivi quantitativi e qualitativi della partecipazione nelle arti: la sfida al consumismo culturale, poiché esso non prevede un esito finale in forma di prodotto spettacolare, ma invita il pubblico ad assistere al processo di apprendimento degli artisti; la temporalità dilatata del percorso, svoltosi tra febbraio 2023 e febbraio 2024 per sei mesi complessivi; l’affiancare alla call per artisti una call specifica per 8 spettatori e spettatrici, ognuno dei quali ha seguito un artista custodendo le visioni e i racconti del processo di ricerca e creazione. Nei sei mesi di lavoro, infatti, questi ha accompagnato i giovani allievi sia in presenza nelle prove aperte, sia a distanza tramite WhatsApp, dove si è dipanata una particolare dinamica relazionale tra laboratorialità, spettatorialità e intimità.
A partire da queste premesse, lo studio chiede:
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come si distinguono gli impatti della partecipazione intensiva della comunità ristretta rispetto a quelli dell’esperienza spettatoriale?
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che tipo di gradiente di liveness (Gemini, Brilli 2023) si configura nella fruizione del processo creativo anziché del prodotto spettacolare?
Per analizzare queste questioni sono stati compiuti due interventi di ricerca: a) un’analisi del contenuto delle chat di gruppo, b) interviste in profondità con i partecipanti a BAT, gli organizzatori e con membri del pubblico che hanno assistito solo al laboratorio aperto.
Da una parte, il progetto presenta elementi che risuonano con la condizione partecipativa delle culture digitali - il coinvolgimento nella creazione, la relazione mediatizzata, la centralità dei vissuti -, ma dall’altra, esso si basa su una estensione e intensità della partecipazione che rifugge gli imperativi di scalabilità e “contentificazione” tipici dell’odierna economia culturale.
Machine visions, immaginari algoritmici e pratiche creative. Uno studio esplorativo sull’uso dell’Intelligenza Artificiale nell’arte
Paola Panarese, Vittoria Azzarita, Maddalena Carbonari
Sapienza, Università di Roma, Italia
Nel panorama culturale contemporaneo, l’Intelligenza Artificiale (IA) emerge come una forza dirompente, che permea un numero crescente di sfere della vita quotidiana (Citron, Pasquale 2014; O'Neil 2017). Tra gli ambiti di impiego di tale tecnologia, uno spazio di interesse, in una prospettiva socio-comunicativa, è quello della relazione tra IA e arte. Un binomio lontano dalle più prevedibili prassi e funzioni delle tecnologie algoritmiche (WEF 2018) e dalla tradizionale connotazione della creatività artistica, prevalentemente associata a un atto sociale e relazionale, tipicamente umano (Hertzmann 2018).
La rapida diffusione di sistemi di Machine Learning (ML) e IA per generare nuovi artefatti culturali (Manovich, Arielli 2021) solleva domande cruciali sulla natura e l’evoluzione della creatività, relative, per esempio, allo statuto dell’arte nell’era dei software (Manovich 2022), all’autorialità e all’autenticità delle opere o al futuro della professione e dell’espressione artistica (Calveri, Sacco 2021). L’IA, infatti, sta sia modificando i processi creativi sia contribuendo alla definizione di inediti immaginari sociali (Arielli 2024), dando vita a una “machine vision” che sconvolge e ridefinisce la comprensione delle immagini (Parikka 2023).
Queste riflessioni sono parte del framework teorico del progetto di ricerca PRIN IMAGES (Inclusive Machine learning system using Art and culture for tackling Gender and Ethnicity Stereotypes), promosso da Sapienza Università di Roma e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che si prefigge di indagare l’inclusività e l’accessibilità dei sistemi di ML/IA utilizzati in dataset artistici (Shrestha, Das 2022) e di usare le immagini di opere d’arte in percorsi formativi volti a promuovere l’inclusione e la consapevolezza delle diseguaglianze.
Nell’ambito del progetto, si propone un paper che confronta gli esiti di una revisione della letteratura sulla relazione tra arte, immagini e sistemi algoritmici, con i punti di vista, le esperienze e le pratiche di artisti e artiste italiani che utilizzano tali sistemi con l’intento di svelarne i limiti e le contraddizioni, negoziarne le potenzialità, metterne alla prova gli strumenti o riflettere su inclusione e disuguaglianze (Escudero Pérez 2020; Fraser, Kiritchenko, Nejadgholi 2023; Sun et al. 2023). In linea con il taglio del convegno SISCC 2024, l’obiettivo è esplorare e comprendere nuove pratiche creative, la cui portata e gli sviluppi non riusciamo (ancora) a interpretare chiaramente.
Tra i metodi utilizzati sono stati selezionati una scoping review della letteratura scientifica (Peters et al. 2015), effettuata per parole-chiave su Scopus e Web Of Science, e interviste in profondità ad artisti quali, tra gli altri, Fabrizio Intonti, autore del progetto “I AM AI” sugli stereotipi nelle immagini di IA generative (www.festivaldirittiumani.ch), Gaia Riposati e Massimo Di Leo, autori del “NuvolaProject” (www.nuvolaproject.cloud/it), e Oriana Persico co-fondatrice del progetto “HER:She Loves Data” (www.he-r.it).
L’analisi della letteratura ha restituito 179 contributi, che hanno permesso di individuare prospettive disciplinari prevalenti, tematiche privilegiate, metodi di ricerca utilizzati ed esiti più rilevanti, rilevando che gli algoritmi si configurano sia come strumenti di analisi impiegati per descrivere, classificare e valutare immagini di opere d’arte, sia come agenti catalizzatori della creatività. L’analisi preliminare delle interviste con artisti e artiste che inseriscono i sistemi algoritmici nelle loro routine creative ha evidenziato una visione partecipata e critica sull’impatto sociale e culturale di tali tecnologie.
In generale, il lavoro descrive uno scenario in cui i sistemi algoritmici sono sempre più riconosciuti quali “costrutti tecno-sociali” (Airoldi 2022) dalle grandi potenzialità artistiche in alcune fasi del processo creativo, ma non primi di contraddizioni. Inoltre, si evidenzia come la loro incapacità di conoscere il mondo al di fuori della logica degli algoritmi (Pereira, Moreschi 2021) possa essere sia un limite, che un’opportunità per sviluppare nuovi immaginari condivisi (Arielli 2024) e modi innovativi di leggere e interpretare criticamente l’arte.
Riconoscere l’immagine fotografica nell’epoca delle AI. Uno studio del dibattito intorno a Pseudomnesia: The Electrician di Boris Eldagsen.
Chiara Spaggiari
Università di Urbino Carlo Bo, Italia
La popolarizzazione della fotografia come nuova tecnologia del visivo ha accompagnato una serie di rivoluzioni rispetto il ruolo quotidiano degli oggetti visivi, il sistema sociale dell’arte e le finalità informative e politiche accordate alle immagini, come illustrato già da Walter Benjamin nel classico L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936).
Oggi, la diffusione dei generative visual media in grado di produrre immagini simil-fotografiche (Arielli, Manovich, 2023) sembra portare a compimento un processo di cambiamento radicale rispetto al ruolo del medium fotografico, esasperando un dibattito iniziato con l’avvento del digitale, con la diffusione del World Wide Web e poi dei social media. Le teorie che ruotano intorno alla svolta iconica degli anni ’90 (W.J. T. Mitchell, 2017), in particolare, inquadrano questo cambiamento nei termini di un salto epistemologico dove le immagini tecniche e le fotografie vengono intese prevalentemente per la loro valenza performativa, comunicativa e informazionale (Gemini 2021).
Entro questa cornice teorica, la letteratura recente riguardo la filosofia e la storia della fotografia, si fa spesso portatrice di invocazioni riguardo una presunta morte del medium fotografico e dei suoi tradizionali valori (Dewdney 2021; Zylinska 2022).
Il seguente paper si concentra quindi sul rapporto tra fotografia e immagini AI generated simil-fotografiche: in questo momento definito talvolta come “crisi” del fotografico, assistiamo all’emergere di nuove forme di immaginario sociale e culturale riguardo il ruolo dei nuovi media visuali (MacKenzie, Munster 2019)?
In questo senso, un caso paradigmatico è quello del fotografo Boris Eldagsen che, nell’aprile del 2023, ha partecipato al Sony World Photography Award, vincendo il premio nella sezione “Creative” con una immagine AI-generated intitolata Pseudomnesia: The Electrician. L’artista ha tuttavia rifiutato il premio, ammettendo di aver partecipato solo per innescare una riflessione intorno al medium fotografico. La sua azione provocatoria ha scatenato quindi un dibattito pubblico che ha coinvolto il sistema dell’arte e della fotografia, le sue istituzioni, i suoi attori e i suoi pubblici ma anche i media generalisti, le categorie degli amatori e di tutti coloro che si occupano di tecnologie e intelligenze artificiali generative.
La prospettiva del paper è quella di una cultura visuale che si avvalga di presupposti, metodi e finalità sociologiche: si riesce così a indagare empiricamente e fenomenologicamente quali siano, allo stato attuale, le continuità e le rotture rispetto agli immaginari, ai valori, alle pratiche e ai discorsi che ruotano attorno all’emergere di questa nuova tecnologia visiva in diversi campi del sociale, entro le dinamiche di senso oramai definite dalle logiche online della cultura convergente (Jenkins 2008).
Sulla piattaforma Facebook è quindi possibile osservare la risonanza e la diffusione che la vicenda ha avuto nel dibattito pubblico: attraverso il tool di Crowdtangle si è svolta una ricognizione dei 562 post pubblicati da pagine e gruppi pubblici in lingua inglese e italiana che hanno riportato la notizia nell’arco di un anno, per i quali la scelta delle lingue permette di svolgere una content analysis del testo.
La categorizzazione della tipologia di pagine e gruppi pubblici permette di circoscrivere le aree di interesse rispetto alla vicenda. L’analisi del contenuto del testo in descrizione per i post permette poi di mostrare quali nodi problematici emergano rispetto alle immagini AI-generated, quali valori siano in gioco e le posizioni assunte. Infine, l’analisi del contenuto dei commenti, campionati per pertinenza e popolarità, illustra topic e sentimenti diffusi nell’opinione pubblica da parte degli utenti.
Emergono quindi differenti posizioni riguardo cosa sia l’immagine fotografica digitale, quale siano le problematiche dell’AI nell’ambito artistico e quali traiettorie etiche e politiche sembrano dover essere incentivate.
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