Shaping The Identity: narrazione mass mediale del sex work in Italia e in Belgio
Laura Tedeschi
La Sapienza, Italia
Il XXI secolo ha visto susseguirsi diversi tipi di crisi: economica, ecologica, sanitaria, umanitaria, e neoliberale (Rottenberg, 2020). Tali crisi sono riflesse nella maggiore richiesta di informazioni da parte dei cittadini, legata al concetto classico di 'Need for Orientation' (Lewin, 1943): le questioni sui diritti umani (apparentemente) non correlate alle recenti crisi possono ricevere una minore priorità nell'agenda giornalistica, come i diritti delle sex workers. Questo studio analizza in modo comparativo il discorso mediatico sulla prostituzione in Italia e in Belgio, esplorando potenziali differenze narrative in paesi europei con legislazioni diverse sui diritti delle sex workers. Infatti, in Italia la prostituzione non è riconosciuta come professione legittima, mentre il Belgio l'ha decriminalizzata completamente nel giugno 2022. L'analisi si concentra su 15 articoli di giornale belgi (in fiammingo e francese) e 15 articoli italiani, da gennaio 2020 a dicembre 2023. La ricerca considera l'impatto della crisi economica e dei cambiamenti nelle dinamiche relazionali dovuti al lockdown, che, secondo la letteratura scientifica, hanno contribuito ad un aumento dell'interesse degli utenti sulle piattaforme dell'industria del sesso e ad un cambiamento narrativo nel racconto mediatico (Jones, 2022). I trenta articoli selezionati sono stati analizzati attraverso un metodo qualitativo combinato di analisi del contenuto e CDA (Critical Discourse Analysis). L’analisi del contenuto è stata applicata alle immagini allegate agli articoli, ed ha fornito una panoramica introduttiva del tema generale della notizia, categorizzandola (ad esempio: crimine, intervista ad una sex worker, easy money, ecc.). L'Analisi Critica del Discorso (Richardson, 2007) è stata scelta come metodo per esaminare l’articolo all’interno del suo contesto sociale, esplorando e incrociando le seguenti categorie: valore notizia, tono di voce, stereotipi, referenti, figure retoriche e framework ideologico. I risultati preliminari rivelano tratti comuni ai due paesi nella costruzione identitaria delle sex workers negli articoli di giornale; in particolare, l'accento sul crimine, dimostrato dall'alto numero di articoli, e l’incalzante presenza di domande relative alle relazioni personali delle lavoratrici intervistate. Emergono anche differenze significative: la narrazione italiana è contrassegnata da una maggiore prevalenza di stereotipi, e da una attenzione molto scarsa alle effettive condizioni di vita delle sex workers, a differenza della narrazione belga. Il confronto delle narrazioni mediatiche tra due paesi europei è un significativo punto di riflessione circa l'attenzione ai diritti umani durante periodi di crisi sociale. L'Italia, nelle sue politiche, sembra essere meno attenta ai diritti delle minoranze, tra cui individui LGBTQIA+, donne e migranti. Le sex workers non solo, spesso, appartengono a questi gruppi, ma subiscono anche una forte stigmatizzazione pubblica, e la narrazione mediatica sembra allinearsi con la limitata attenzione istituzionale. Al contrario, in Belgio, un paese più attento ai diritti civili delle minoranze, la narrazione mediatica è meno stereotipata, offrendo un'identità più complessa alle sex workers.
Perché l’occupazione femminile non decolla? Il rapporto tra sistema di tassazione, agevolazioni per la famiglia e ingresso delle donne nel mondo del lavoro
Rosaria D'Elia
Università La Sapienza, Italia
Nel mercato del lavoro c’è un muro invisibile che separa uomini e donne ed è dato da un divario di genere che supera i 19 punti percentuali.
Obiettivo del lavoro è indicare alcune delle cause per le quali in Italia l’occupazione femminile non riesce a decollare. Sono diversi i fattori, sia legati al contesto economico globale (pensiamo alla pandemia da Covid 19) sia al contesto socio economico e culturale dei singoli paesi, che hanno un ruolo nell’impedire e/o rallentare l’ingresso e la permanenza nel mondo del lavoro delle donne e nel perpetuarsi di un modello sociale che vede l’uomo come breadwinner e la donna come caregiver.
Il presente lavoro analizza in particolare gli effetti e le potenzialità che derivano non solo dal sistema di tassazione ma anche dal sistema delle agevolazioni legate alla famiglia qui analizzata come luogo di produzione di beni, servizi e redditi e come ammortizzatore sociale1.
Partendo dall’osservazione dei dati sul divario occupazionale di genere e dall’analisi del sistema famiglia-lavoro, si passano a rassegna i diversi modelli di tassazione e gli strumenti che hanno un potenziale impatto sull’offerta di lavoro da parte delle donne.
L'analisi prenderà in considerazione alcuni recenti studi anche della Banca d’Italia sul Fisco, in particolare sul ruolo della detrazione per il coniuge a carico, e sul sistema di welfare italiano per dimostrare che sia il sistema di tassazione sia il sistema legato alle agevolazioni presentano meccanismi che disincentivano l’ingresso e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Il lavoro presenterà delle possibili soluzioni da inserire nel sistema per frenare questi effetti disincentivanti e per dare impulso al lavoro femminile.
Meccanismi di premialità per le famiglie dove entrambi i coniugi lavorano, come quelli previsti per l’assegno unico (D. Lgs 29 dicembre 2021, n. 230) che riprendono modelli già sperimentati in altri paesi, hanno una portata innovativa in quanto tentano di compensare, almeno in parte, l’impatto negativo che alcuni strumenti di sostegno rischiano di avere sull’offerta di lavoro da parte delle donne.
Nel contesto attuale italiano il costo che genera il lavoro femminile in termini di maggiori imposte e di perdita dei benefici associato a una carenza di servizi capaci di avviare un processo di defamilizzazione,esternalizzando una parte dei carichi di cura, pone l’occupazione femminile in un circolo vizioso.
L’incrocio tra sistema di tassazione, agevolazioni e mercato del lavoro si rivela allo stesso tempo gendered2 e genderizing.
UNO SGUARDO INTERSEZIONALE SULLE PRATICHE DI VALUTAZIONE E CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE
Teresa Ester Cicirelli
Università degli Studi di Bari "Aldo Moro", Italia
La Global Convention on the Recognition of Qualifications concerning Higher Education (UNESCO, 2019) esorta ad assicurare a tutti gli individui il diritto di vedersi riconosciute le precedenti esperienze di apprendimento (in ambito formale, non formale e informale) in modo trasparente e non discriminatorio al fine di supportare realmente l’opportunità all’apprendimento permanente per chiunque, possibilità eque di accesso a istruzione superiore o di ricerca di occupazione.
Il presente contributo si interroga con un’ottica di genere e intersezionale (Crenshaw, K., 1989) sull’esistenza, a livello internazionale, e sulla validità di procedure di valutazione, riconoscimento e validazione di competenze acquisite precedentemente in un’ottica di continuum educativo (Merico; Scardigno; 2023), destinate prioritariamente a target sensibili (donne rifugiate, richiedenti asilo, persone con background migratorio) sui quali pressante può essere la “minaccia dello stereotipo” (Steele, Claude M. 1997) da parte di se stessi, della società, del valutatore, e di cui il capitale culturale spesso non è riconosciuto o valorizzato.
Valorizzare le soft skill di soggetti costretti a migrazioni è cruciale per rendere riconoscibile a livello sociale il bagaglio di risorse che portano con sé e le loro potenzialità, concorrendo ad una integrazione attiva e può avere conseguenze importanti sulle loro opportunità di vita, in particolare in ambito professionale e accademico, ma anche personale e sociale.
Il rischio che emerge, all’interno di una cornice in cui tende a predominare una razionalità neoliberista, è quello di una possibile configurazione delle competenze e della logica che le sostiene come dispositivi di soggettivazione e inferiorizazzione che mirano ad una economicizzazione di ogni aspetto dell’esistenza e a restituire una visione depauperata dell’umano. “Impresa di sé", “imprenditore di se stesso” (Gorz, 2003, Foucault, 2005), è la norma che sempre più viene interiorizzata dai soggetti agenti con conseguente esacerbazione della competitività, dell’individualismo, dell’autoreferenzialità, della massimizzazione dell’utilità individuale, della solitudine e del timore dell’alterità (d’Aniello, 2023).
Accanto al sistema religioso, familiare, giuridico, politico, dell’informazione, l’ambito dell’istruzione, quindi della valutazione e delle competenze, può essere letto come una forma di Ais (Apparato Ideologico di Stato, Althusser, 1976), con l’obiettivo predominante di riprodurre “forze produttive e rapporti di produzione”, un assoggettamento servile a dinamiche di potere dominanti e un’esposizione differenziata a varie forme di precarietà.
Indagare tali dinamiche con una prospettiva di genere e intersezionale e un approccio valutativo di tipo realistico e critico (Pawson; Tilley; 1997) consente di far luce negli interstizi, di soffermarsi su identità definibili come “incroci di dinamiche discriminatorie” o comunque portatrici di svantaggio e difficoltà, e di far emergere specifiche problematiche o successi, e, con uno sguardo costruttivista, mettere in evidenza ostacoli strutturali.
La ricerca prevede la realizzazione di una ricerca bibliografica mirata e l’analisi secondaria dei documenti al fine di ricostruire le pratiche e le esperienze internazionali più significative per la certificazione delle competenze delle donne migranti e uno studio comparativo delle pratiche analizzate.
Understanding society through politics of belonging: the case of Kurdish women in diaspora
Orkide Izci
Università di Bologna, Italia
May (2011) defines belonging as a sense of ease with oneself and one’s surroundings. Miller proposes that belonging is ‘the quintessential mode of being human [...] in which all aspects of the self, as human, are perfectly integrated – a mode of being in which we are as we ought to be: fully ourselves’ (2003: 218). This paper considers belonging an important aspect of being a person: it is ‘fundamental to who and what we are’ (Miller, 2003: 217). Belonging involves a process of constructing a sense of identification with one’s social, relational, and material surroundings (Miller, 2003) or ‘of recognizing – or misrecognizing – the self in the other’ (Leach, 2002: 287).
This paper analyzes the politics of belonging through meanings of a sense of home and sense of belonging found in the 19 biographical narratives of three-generation Kurdish-Alevi women who come from Northern Kurdistan and Turkey and live in the diaspora in Germany. This research focuses on the collective memories, life stories, migration experiences, and diaspora effect in making and re-making homes, sense of belonging(s), and identities from a gendered and inter-generational perspective. This intersectional study will show what it feels like to feel at home in terms of belonging and identities: what is home, how diaspora influences/forms/changes the idea of home, how the host country influences the concept of home, what are the inter-generational transmissions of the sense of home, belonging and identities?
The politics of belonging is a complex issue. It is more than everyday life structure and encompasses the relational, cultural, and sensory connections; in this sense, analyzing the ‘sense of home and belonging’ found in the narratives of Kurdish Alevi women in the diaspora shows transformation not only from one generation to other but it also indicates a broader social change within the societies they are linked to because experiences of belonging and identities are dynamic and sensitive to changes (Armbruster, 2002; May, 2011; Yuval-Davis, 2006) since self and society are interconnected and cannot be analyzed separately (Simmel 1964; Elias and Schröter, 2001; May 2011).
In this research, the biographical approach has been considered as more than just an interview method since narratives on belonging(s) and identities which are constituted within, not outside representation, arise from the “narrativization of the self” (Hall 1996:4). According to Apitzsch and Souti (2007) biographical research is interested in the ‘process-related’ and ‘constructive nature of life histories’, and it distances itself from identity models which regard identity as something static and rigid. Biographical methods offer a major understanding of the connections between agency, social structures, and processes: ‘‘how individuals experience the objectively structuring, empirically observable features that place them historically where they are’’ (Erben, 1998:14 in Woolley, 2009:18). For this reason, the biographic interview as research method is crucial in understanding the relationship between the self and the structure and the ‘embeddedness of the biographical account in social macro structures’ (Apitzsch and Siouti. 2007:7).
|