Il panel intende mettere in connessione le principali proposte epistemologiche emerse dal femminismo negli ultimi due decenni, in particolare nel loro saper discutere una nuova visione del soggetto umano in un ambiente sempre più dominato dall’accelerazione della tecnica e dalla crisi climatica (Longino, 2001; Pinnick, Almeder, 2003; Harding, 2008). Nel complesso, nonostante le importanti differenze interne, le epistemologie femministe sono impegnate nell’immaginare una visione non nichilista e apocalittica del rapporto tra umano, scienza, tecnologia e ambiente avanzando proposte politiche alternative. Il loro scopo è quello di andare oltre la visione tradizionale androcentrica, occidentalocentrica e antropocentrica, capace di inglobare le potenzialità dell’altro culturale e del non-umano, ma superando anche una visione della tecnica come mero strumento. Dal pensare una politica del conflitto e del mutamento sociale non hobbesiana, attenta alle vulnerabilità sociali e materiali, al pensare un rapporto non meramente strumentale e basato sullo human ehancement della tecnologia, il contributo delle epistemologie di genere alle trasformazioni sociali si focalizza sulle pratiche di costruzione della conoscenza, proponendo strade e ambiti di riflessione innovativi e sempre più ascoltati soprattutto all’interno dei movimenti giovanili.
Più che presentare specifiche ricerche sul campo, il panel si propone di offrire una discussione teorica ragionata delle più influenti autrici in questo ambito (quali ad esempio Butler, Braidotti, Haraway, Barad, Suchman, ecc.) che si posizionano al centro dei dibattiti più cruciali della contemporaneità e dell’immaginazione di nuovi mondi possibili, dall’ambiente alle nuove sfide portate dall’accelerazione tecnologica, e che con i loro temi dialogano a distanza una con l’altra. Lo scopo delle presentazioni raccolte in questo panel è quello di mettere in luce i punti in comune tra le posizioni di queste studiose e di analizzare in che modo la loro discussione sintetizza un nuovo immaginario politico e culturale, focalizzandosi sulla situazionalità del soggetto conoscente, tema centrale tanto in ambito scientifico (ad esempio nella nozione di situated knower) quanto nella critica culturale (con il tema della standpoint theory).
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Per un mondo possibile non necropolitico: epistemologie femministe e interconnessioni
Paola Rebughini, Università degli Studi di Milano
Come suggerisce il filosofo Achille Mbembe (2019), la necropolitica è l’effetto collaterale della modernità, ormai non più riducibile alla sola sfera occidentale, e include la politica di potenza degli Stati, un sistema economico la cui crescita è basata su un consumo di risorse non sostenibile, il continuo espandersi di strati di popolazione la cui esistenza si riduce a mera sopravvivenza o a forme di “lento morire” (Berlant, 2006), un’accelerazione della tecnologia che sempre più sfugge a un controllo pienamente democratico. Il pensiero critico di genere e la sua epistemologia in particolare è nel suo insieme impegnato a immaginare soluzioni diverse a questa impasse, superando l’autoreferenzialità del soggetto moderno e introducendo una forte componente etica, capace di evidenziare la vulnerabilità degli individui e le loro relazioni di interdipendenza. La prima relazione di questo panel ha dunque un carattere introduttivo e attraverso alcune delle voci più autorevoli del femminismo contemporaneo occidentale e non solo – in particolare Judith Butler, Gayatri Spivak e Rosi Braidotti – delinea il percorso di un’epistemologia di genere situata, non dualistica, interconnessa e impegnata a riflettere intorno a una soggettività post-prometeica e sostenibile, dove interdipendenza, vulnerabilità, interazione, situazionalità, diventano le parole chiave di un nuovo linguaggio politico. Rispetto alle presentazioni successive – più centrate sull’epistemologia femminista della scienza e sulle sue ricadute pratiche – questa prima presentazione ricostruisce il quadro più propriamente politico del contributo femminista a una sociologia della conoscenza basato sul riconoscimento della pluralità e intersezionalità dei poteri che costruiscono il nostro agire (genere, classe, nazionalità, educazione, ecc.) e che non operano mai distintamente, né possono essere analizzati separatamente. Pertanto questioni come genere, postcolonialità, culture del rapporto tra umano e natura, non possono corrispondere ad altrettante epistemologie separate ma vanno messe in discussione a partire dalle loro interconnessioni (Butler, 2020). Riconoscere il proprio punto di vista e la sua parzialità, il suo prospettivismo, nel costruire conoscenza è il punto di partenza per immaginare mondi possibili non più permeati da una visione nichilistica.
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La pluralità necessaria nella costruzione della conoscenza: l’apporto del femminismo nella epistemologia della scienza
Assunta Viteritti, Università La Sapienza, Roma
Pluralità, polisemia e superamento del pensiero binario e oppositivo sono alcune delle sfide poste alle epistemologie della conoscenza in tutti i campi. Obiettivo del contributo è di proporre una riflessione attorno a questo passaggio di visione nelle scienze contemporanee e in quelle sociali in particolare. Tre sono i concetti che propongo per accompagnare una riflessione che vuole andare incontro a un pensiero affermativo nell’ambito delle scienze sociali provando a percorrere la strada di una riflessione laterale e aggiuntiva rispetto a quella della crisi e del pensiero critico. Si tratta di tre concetti che provengono dal pensiero di tre studiose che molto stanno influenzando il pensiero scientifico contemporaneo. Il primo concetto, preso in prestito dalla ricca concettualizzazione di Donna Haraway, è quello di situated knowledges (1988): la conoscenza non può mai essere oggettiva, è impossibile vedere il mondo (o qualsiasi cosa) da un punto di vista neutrale ed esterno, dobbiamo accettare di rinunciare alla finzione dell'oggettività e alla fantasia che l'onniscienza sia possibile. Questo implica di assumere un posizionamento locale, situato, periferico e sempre affermativo, dialogante e interconnesso con le pluralità delle culture, delle specie e dei generi. Il secondo concetto preso in prestito dal lavoro di Karen Barad è quello di intra-azione (2007), uno strumento concettuale che ci aiuta a pensare la non separatezza tra oggetti e soggetti della conoscenza. Abbiamo bisogno di pensare l'inseparabilità ontologica tra gli agenti e i fenomeni della conoscenza. I fenomeni o gli oggetti non precedono la loro interazione ma emergono e sono prodotti dalla loro interazione. La conoscenza è l’effetto di un avvolgimento tra soggetti e oggetti della conoscenza. Il terzo concetto, ripreso dal lavoro di Karin Knorr Cetina (1999), è quello di culture epistemiche, le conoscenze sono effetti culturalmente situati, prodotti dalla condivisione di linguaggi, oggetti, discorsi, regole, che definiscono e ridefiniscono nella pratica spazi, codici e geografie del sapere. La domanda che tiene insieme i tre concetti riguarda il posizionamento dei ricercatori (ricercatrici) e degli esperti (esperte) davanti al mondo e al modo in cui si produce conoscenza. Pensare alla conoscenza come azione situata aiuta a guardare in modo non assolutistico e non neutrale ai processi di costruzione della conoscenza; l’intra-azione aiuta a vedere come coloro che fanno ricerca, che producono conoscenza, sono sempre coinvolti e aggrovigliati (entangled) nei modi in cui le conoscenze sono costruite; le culture epistemiche aiutano a guardare a come i saperi, le discipline, le conoscenze, le comunità di esperti sono l’effetto nel tempo di epistemologie pratiche, sempre costruite a partire dalle specificità storica, culturali e sociomateriali dei campi di ricerca.
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Situare la tecnoscienza, preservare la molteplicità. Appunti per una lettura di alcune sfide contemporanee
Giuseppina Pellegrino, Università della Calabria
Questo contributo al panel intende proporre alcuni concetti derivanti dagli STS di matrice femminista (Suchman, 2007; Star, 1990; Mol, 2002) come possibili chiavi di lettura della tecnologia contemporanea (algoritmi, AI).
Il primo frame teorico esaminato è quello di Lucy Suchman che nel 1987 (lo stesso anno de La scienza in azione di Latour) introduce il concetto di azione situata per inquadrare l’interazione uomo-macchina e il progressivo emergere di nuove retoriche e pratiche della scienza dell’artificiale. L’azione che avviene tra umani e macchine è sempre azione situata che conduce a riconfigurazioni di questa relazione. Occorre dunque guardare alle azioni compiute tanto dalle persone quanto dalle cose e agli esiti che questa riconfigurazione comporta nell’ambito del rapporto tra umani e macchine, che si tratti di algoritmi, chatbot (Chat GPT) o di tipi di apprendimento delegato ai non umani a partire dall’umano (Machine Learning).
Ma algoritmi e AI sono, a ben guardare, non solo l’esito di azioni situate, ma anche di sistemi di classificazione che danno luogo a nuove infrastrutture basate su standard vecchi e nuovi e a nuove ecologie della conoscenza. Temi cruciali negli studi di Susan Leigh Star, che si interroga sugli orfani e i mostri delle infrastrutture dell’informazione, che emergono da molteplici appartenenze e marginalità messe a tacere dal potere degli standard. Tenendo presente che le classificazioni sempre includono ed escludono, è possibile avere uno sguardo critico e propositivo sugli algoritmi che stereotipizzano in modi imprevisti ed imprevedibili il mondo e generano nuove, potenti forme di esclusione dell’alterità definita dallo standard come categoria residuale (si pensi ai bias incorporati dalle tecnologie di AI per il riconoscimento facciale a scopi di prevenzione e punizione del crimine).
Una ulteriore “figura” della molteplicità e dell’eterogeneità è quella del corpo, in riferimento allo studio etnografico condotto da Annemarie Mol sull’arteriosclerosi. Da questo studio emerge come non solo la tecnologia, ma anche il corpo sia multiplo, nelle attivazioni della malattia che emergono dall’interazione tra medico e paziente, che portano ad una nuova “ontologia della pratica”. Questa configurazione della molteplicità, che emerge dall’ambito della cura sanitaria, può essere fruttuosa per comprendere quanto importante sia in senso lato “prendersi cura” dell’AI nel senso di dare valore all’azione ordinaria della sua manutenzione e riparazione, concetti anche questi cari agli STS di matrice femminista (e non solo).
Ciò che accomuna i concetti e le autrici proposte è il frame della situatedness e della molteplicità/eterogeneità, esclusa e silenziata dalla modernità purificante, binaria e standardizzata, ma oggi più che mai, di fronte ad una tecnoscienza così pervasiva e ibrida come l’AI, orientamento da preservare e praticare.
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Inter-azioni umano-macchina, dal manifesto cyborg all’Altro digitale: dialoghi nella costruzione di nuove ecologie
Ilenia Picardi, Università degli Studi di Napoli Federico II
Questo contributo indaga l’emergere di nuove ecologie digitali, esplorando metafore e modelli sviluppati da studiose STS per superare la contrapposizione della dualità umano-macchina (naturale-artificiale) e ricostruire traiettorie co-evolutive di umani, artefatti robotici e digitali, intelligenze artificiali.
La tappa inziale di questo percorso è centrata sulla metafora del cyborg introdotta da Donna Haraway per sottolineare le capacità performative della tecnoscienza che, infrangendo limiti biologici, consentono di evadere ogni forma di razionalità dicotomica (maschile/femminile, culturale/naturale), e creare nuovi significati, nuove entità, nuovi mondi (Haraway 1991).
Se all’inizio degli anni Novanta, la corrente cyberfemminismo ha proposto immaginari popolati da identità ibride che rifiutano i confini corpo-materia-macchina per rovesciare le gerarchie patriarcali, successivamente gli studi STS hanno teorizzato un rapporto di reciproco modellamento tra genere e tecnologia, analizzando il genere nella tecnologia e il genere della tecnologia, ma anche il genere come prodotto della tecnologia. La prospettiva tecnofemminista di Judy Wajcman (2004) descrive gli artefatti tecnologici sia come l’elemento condizionante, sia come prodotto delle relazioni di genere. Queste possono essere materializzate nella tecnologia, mentre la mascolinità e la femminilità a loro volta acquisiscono significato e carattere attraverso la loro iscrizione e incorporazione nei dispositivi tecnologici. Nell’approccio social shaping i dispositivi tecnologici hanno una dimensione di genere in quanto collocati in sistemi sociotecnici informati da relazioni di genere. Lo sviluppo della robotica e della IA sono casi emblematici che mostrano come le pratiche di genere possano essere riprodotte, rafforzate o messe in questione attraverso l’introduzione di nuovi dispositivi nei sistemi sociotecnici pre-esistenti. In tal senso va analizzata , ad esempio, l’agency discriminatoria attuata da algoritmi che riflettono valori e bias incorporati nei dati da cui l’IA apprende.
L’interdipendenza tra umanità e macchine digitali è sottolineata da Helga Nowotny (2022) che evidenzia la flessibilità adattiva in entrambi i lati di questo rapporto. La co-operazione tra umanità e corpi dotati di IA, l’Altro digitale, predispone la creazione di ecosistemi caratterizzati da una costante rinegoziazione di tempi sociali e tempi digitali, e dove la linearità dell’esperienza temporale – caratteristica dell’età moderna – è spezzata dal carattere predittivo di algoritmi che attribuiscono al futuro la possibilità di incidere sul presente. La proposta tracciata nel disegno di tali curve co-evolutive di esseri umani e esseri digitali, dunque, è ostacolare l’avvento di un futuro predeterminato, chiuso dal e sul presente, per curarne invece la struttura aperta e plurale, perché future matters e, come sostiene Nowotny, ha bisogno di saggezza.