Programma della conferenza

V Convegno Nazionale SISCC “Mondi possibili. Tra crisi, conflitti e pratiche creative” / Bari, 22-23 giugno 2023

Il convegno della SISCC intende esplorare le complesse relazioni fra crisi e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità delle nuove pratiche creative e culturali di disegnare nuovi scenari e ipotizzare nuovi mondi possibili. Per andare oltre il paradigma della crisi e della emergenzialità, bisogna pensare e operare in modo nuovo senza rispondere a crisi con crisi e a emergenze con post-emergenze. Quali fenomeni di questo tipo sono oggi visibili?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 5 - Panel 3: Disabilità
Ora:
Venerdì, 23.06.2023:
15:00 - 17:00

Chair di sessione: Paola Rebughini
Luogo, sala: Aula Starace

Secondo piano, Dipartimento di Scienze Politiche Palazzo Del Prete, P.zza Cesare Battisti 1

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Presentazioni

Riscrivere la narrazione sulla disabilità: social media e pratiche di (auto)rappresentazione delle identità marginalizzate

Manuela Farinosi1, Filippo Trevisan2

1Università degli Studi di Udine, Italia; 2American University in Washington, D.C., USA

La rappresentazione della disabilità nei media è un tema di crescente interesse in ambito accademico e sociale. Numerosi studi hanno evidenziato come tale rappresentazione spesso rifletta e rinforzi gli stereotipi e le discriminazioni presenti nella società, essendo allo stesso tempo scarsa e insufficiente, e parziale e distorta (Nelson, 2003; Saito & Ishiyama, 2005; Zhang & Haller, 2013; Worrell, 2018). I protagonisti disabili nei media mainstream sono pochi e spesso raffigurati come individui fuori del comune, con aspettative e desideri diversi dai personaggi non disabili. I modelli tradizionali di rappresentazione sono caratterizzati da una polarizzazione che vede all’estremo negativo una visione assistenzialista, che presenta le persone disabili come vittime o individui da curare o “salvare”, e, all’estremo positivo, il paradigma abilista, che enfatizza la disabilità in un’ottica compensatoria e rappresenta il disabile come un “eroe” dotato di forza e coraggio eccezionali (Ellis & Goggin, 2015; Harnett, 2000; Beacom et al., 2016; Cameron et al., 2022). Nonostante significativi sforzi da parte di artisti, attivisti e organizzazioni per i diritti delle persone disabili (Trevisan, 2017; Carter-Long, 2022), affinché i media rappresentino la disabilità in maniera realistica ed accurata c’è ancora molto lavoro da fare (Stewart & Spurgeon, 2019; Garrisi & Johanssen, 2020; Foster & Pettinicchio, 2022).

Il nostro contributo si focalizza su uno dei tentativi in questa direzione e analizza la figura delle influencer disabili (Khamis et al., 2017). Data la novità del tema e la scarsa letteratura (Raun & Christensen-Strynø, 2021; Södergren & Vallström, 2022), abbiamo condotto uno studio esplorativo orientato a rispondere alle seguenti domande di ricerca: Come si (auto)rappresentano le influencer disabili? Come narrano la disabilità e attraverso quali strumenti e linguaggi? Come gestiscono le relazioni con i loro follower e con i vari brand con cui collaborano?

A partire da un’analisi della stampa internazionale, abbiamo selezionato 15 influencer donne con disabilità motoria, provenienti da diversi Paesi e specializzate in moda e bellezza. Abbiamo raccolto tutti i contenuti visuali e testuali (bio, caption, ecc.) pubblicati sui loro profili Instagram nell’arco di un anno (luglio 2021 - giugno 2022) (N=1.529) e li abbiamo analizzati quantitativamente e qualitativamente (Guest et al., 2012; Saldaña, 2016; Laestadius, 2017). Dall’analisi è emerso che la disabilità è centrale nella (auto)rappresentazione (Thumim, 2012; Tembeck, 2016; Hill, 2017; 2022) di queste influencer, essendo visibile in 8 foto su 10 e menzionata esplicitamente nel 75% delle bio e in quasi due terzi dei post. Anche se pochi sono i post (<8%) esplicitamente sponsorizzati, svariati sono i brand che vengono abitualmente taggati, finendo per generare una sovrapposizione significativa tra tematiche sociali e promozione commerciale. Nella narrazione che ne risulta, il tema della disabilità appare intrecciato non solo con moda e bellezza, ma anche – seppur meno frequentemente – con argomenti di più ampio respiro quali l'emancipazione femminile e altre questioni riconducibili all’emarginazione. Inoltre, la disabilità è generalmente inquadrata in due ottiche distinte, ma complementari: da un lato, ci sono i post che contribuiscono a un processo di “mainstreaming” promuovendo una visione delle persone con disabilità quale parte integrante della società; dall’altro i post – spesso in stile “diario” – che sostengono più direttamente l’emancipazione delle persone disabili tramite racconti autentici di vita quotidiana, consigli, e inviti ai follower affinché condividano le proprie esperienze nei commenti. In generale, l’analisi mostra un quadro complesso che sfida l'immaginario convenzionale sulla disabilità, non solo allontanandone la rappresentazione dagli stereotipi stigmatizzanti, ma anche promuovendo una maggiore comprensione e accettazione della diversità. Le istanze espressive individuali delle influencer disabili, veicolate dalle piattaforme social, possono essere interpretate come un vero e proprio strumento per restituire visibilità ad un gruppo sociale a lungo emarginato.



Per una pratica della cura. Migranti e disabilità: dall’invisibilità alla valorizzazione del capitale culturale

Maria Giulia Pascariello, Anna Fausta Scardigno

Università degli Studi di Bari, Italia

Il contributo si inserisce all’interno della ricerca “Disabilità, migrazioni e valorizzazione del capitale culturale” nell’ambito del Dottorato in Gender Studies dell’Università di Bari La ricerca intende ricostruire la rappresentazione culturale della disabilità e, nello specifico, il rapporto tra genere, migrazioni e salute mentale in una prospettiva intersezionale[1]. Le persone con disabilità con un background migratorio risultano pressoché invisibili sul piano sociale, istituzionale e nel dibattito pubblico, nonostante siano esposte a molteplici processi di discriminazione negativa, spesso implicita nelle prassi istituzionali (Colombo M., Tarantino C., Boccagni P., 2023). La scarsità degli studi in quest’ambito comporta il rischio di una possibile sottostima del fenomeno e delle sue implicazioni;[2] malgrado la carenza di dati, varie stime prodotte da organismi internazionali suggeriscono che si tratti di una popolazione non così esigua, specialmente tra i migranti forzati, i familiari ricongiunti, i richiedenti asilo o rifugiati e tra le stesse persone migranti lungo-residenti[3].
L’invisibilità onnipervasiva subita da questi gruppi sociali si traduce nell’impossibilità di una concreta rivendicazione di diritti e nell'inattuabilità di pratiche di inclusione e supporto. In questa cornice la domanda di ricerca si sofferma, attraverso la prospettiva metodologica dell’analisi critica del discorso (Weiss & Wodak, 2003), sui processi di costruzione e definizione di determinati gruppi sociali come estranei e, al contempo, stranieri, in quanto connotati da un’alterità umana e insieme geografica e culturale. Tale metodologia verrà impiegata per esplorare la connessione tra i discorsi e i rapporti di potere (Foucault, 1967) e il ruolo che le categorie mediche e politiche di salute e malattia (Foucault, 2015) rivestono ora nei processi di distanziamento e stigmatizzazione, ora nei processi di patologizzazione e vittimizzazione di determinati gruppi sociali; ci si propone, quindi, di indagare come le differenti rappresentazioni culturali della disabilità possano divenire veri propri regimi normativi in grado di condizionare la comprensione stessa della disabilità (Bernardini, 2013). Al contempo il contributo presenterà i risultati di una prima mappatura di studi internazionali e nazionali inerenti a pratiche di diversity managment (Zanfrini, 2023) basate sul processo di valorizzazione del capitale culturale (Bourdieu; Passeron, 1971) di migranti e rifugiati (Scardigno, 2019) rivolte alle PA e finalizzate al riconoscimento delle competenze delle persone con disabilità e background migratorio, in ambito educativo e sociale (Pitzalis, 2017). In questa direzione ci si propone di sviluppare nuove ipotesi di pratiche creative che coniughino il riconoscimento di bisogni specifici e di vulnerabilità ad una messa al centro del paradigma della cura e dell’interdipendenza: una pratica della cura che si traduca non in meri interventi di “adattamento” o in risposte emergenziali ad una crisi, ma in solide infrastrutture di welfare orientate ai bisogni collettivi (The Care Collective, 2021).

[1] Nell’ottica intersezionale i soggetti sono attraversati da molteplici assi di differenziazione sociale che si influenzano reciprocamente divenendo inscindibili e dando vita a configurazioni differenti. rappresenta un importante dispositivo analitico in base al quale interrogare i processi di categorizzazione sociale ed esplorare l’articolazione delle differenze che caratterizzano le esperienze individuali. (Crenshaw K. W., 1989; Collins; 2019).
[2] La carenza di informazioni sulle condizioni di vita delle persone migranti con disabilità è stata riconosciuta dall’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) e dalla stessa Unione Europea già nel 2016; lo stesso anno l’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali ha dichiarato una generale mancanza di procedure formali per identificare i migranti e i rifugiati con disabilità; per colmare la mancanza di dati e di informazioni sul tema nel 2017 la Commisione Europea ha promosso il progetto AMiD-Access to Service for Migrants with Disabilities (Griffo G., D’Errico L., 2023).
[3] Alcuni dati in merito disponibili in: https://www.migrationdataportal.org/themes/disability-and-human-mobility.



Microfoni aperti: la web radio universitaria come buona pratica di rappresentazione della disabilità

Elisa Spinelli

Università degli Studi della Tuscia, Italia

La radio ha un'importante funzione educativa, oltre che di intrattenimento e informazione. Offre infatti la possibilità di attuare «la regolazione con l'altro, l'armonia della diversità» (Menduni, 2001, p.78).
L'uso della radio in contesti didattici rivela la capacità di questo mezzo di abbattere qualsiasi tipo di barriera, utilizzando l'ascolto e la partecipazione attiva alla produzione. È possibile creare una comunità inclusiva fatta di accettazione, condivisione e riconoscimento dell'altro. Come affermava Berthold Brecht, una delle caratteristiche del linguaggio radiofonico è l'unicità della sensazione, dell'ascolto per la precisione, che da un lato può presentare dei limiti dal punto di vista comunicativo, non permettendo l'osservazione del non- verbale, riconosciuto come componente essenziale per la comprensione (McLuhan, 2008), ma dall'altro sviluppa l'immaginazione e processi emotivi profondi. Inoltre, seguendo le affermazioni di Menduni (2001), si può affermare che la radio risponde a diversi bisogni sociali e in particolare a bisogni di connessione, identità e partecipazione. La radio è quindi in grado di mettere in contatto persone lontane e, grazie allo streaming che permette di ascoltarle sul web, di poter accorciare ancora di più le distanze.

Questa proposta analizzerà l'uso della radio in un contesto universitario, attraverso la comunicazione informale e tra pari, con l'obiettivo di creare una comunità inclusiva che possa trasmettere concetti e valori inclusivi, affrontando le diverse tematiche con modalità di condivisione e riconoscimento dell'altro.
Nello specifico verrà analizzato, Open Mic Revolution, il primo programma e progetto radiofonico universitario tra gli atenei italiani, realizzato all'interno di una web radio universitaria, che dal 2019 al 2021 ha permesso di promuovere l'incontro tra persone diversamente abili, utilizzando la radio come strumento di condivisione e creazione di comunità di valori.

L'ascolto della radio, infatti, aumenta il senso di intimità tra chi ascolta e chi parla (McLuhan, 2008) plasmando un'esperienza esclusiva che attiva l'immaginario collettivo, e oggi questo aspetto è ancora più accentuato attraverso l'uso delle cuffie.
Questo approccio qualitativo, in grado di rappresentare una pratica efficace in termini di inclusione, si basa su alcuni obiettivi principali: sviluppare il senso di appartenenza, promuovere l'interazione collaborativa e positiva tra i membri del gruppo, migliorare le competenze comunicative, relazionali e digitali, nonché sviluppare competenze radiofoniche attraverso ascolto attivo.
La redazione di Open Mic Revolution, inoltre, è sempre stata mista: composta da giovani studenti/laureati con bisogni speciali insieme a persone "normodotate".

In questo biennio la sperimentazione radiofonica, considerando che la redazione del programma radiofonico si è trovata a gestire il lavoro da remoto per le restrizioni Covid, ha permesso di creare una forte condivisione di esperienze diverse: proprio perché rappresenta un modo diverso di incontrarsi alla pari, un opportunità di creare uno spazio intimo, anche se condiviso pubblicamente (Dolci, Vitale, & Orlando, 2017).
All'interno del progetto radio universitario, l'aspetto rilevante è stato proprio il fatto che gli studenti universitari con bisogni speciali hanno creato i contenuti dei prodotti radiofonici. Pertanto, seguendo quanto affermato da Bittencourt (2012), è stato possibile creare un processo di qualificazione sociale rendendo democratico l'uso delle tecnologie digitali.
Infatti, la realizzazione dell'inclusione digitale avviene quando anche utenti con bisogni speciali possono non solo accedere ma anche produrre informazioni sul web (Teixeira, 2010). Ovvero, affinché avvenga l'inclusione digitale, deve esserci un significato sociale nella produzione e non il mero utilizzo delle tecnologie, quindi un coinvolgimento e una partecipazione fin dall'atto creativo nella realizzazione del programma radiofonico.
In conclusione, il progetto sperimentale realizzato all'interno della radio universitaria della Tuscia ha permesso di creare concretamente una cultura integrata, elemento fondamentale per la cittadinanza consapevole e l'inclusione sociale.



Gli Avatar in lingua dei segni tra mondi possibili e applicazione sociale

Amir Zuccala'

Sapienza Università di Roma, Italia

Il presente contributo intende portare alcune riflessioni sulle “complesse relazioni fra crisi e pratiche creative” che si sviluppano nella tensione tra chi promuove progetti di ricerca dedicati alla creazione di avatar in grado di tradurre dalle lingue parlate/testi alle lingue dei segni, e viceversa, e i destinatari di tali progetti, ovvero le persone sorde. Attraverso l’analisi della letteratura di settore (Kipp et al. 2011; McDonald 2021; Walsh et al. 2022; Wolfe et al. 2022;) nonché degli obiettivi e attività dei progetti più recenti si mostrerà come la ricerca dedicata a tali sistemi si pone non solo come creazione di mondi possibili in risposta alle esigenze di accesso all’informazione e alla comunicazione da parte delle persone con disabilità uditiva, ma in un più ampio scenario in cui interagiscono i progressi - e la spinta di tali progressi - delle AI in tema di traduzione automatica e di generazione di strumenti di elaborazione del linguaggio naturale (cfr. ChatGPT e analoghi) e una certa “fascinazione” per le lingue dei segni, rappresentate come risposta risolutiva dell’accessibilità per le persone sorde.

Il tema dell’accessibilità è da diversi anni oggetto di attenzione, sia nella letteratura scientifica, soprattutto quella incentrata sula traduzione audio-visiva (Greco 2018; Gonzàlez 2021), che nei tavoli tecnici istituzionali dedicati all’abbattimento delle barriere, architettoniche e non solo, e nella stesura e sistematizzazione di normative. Nel caso delle persone sorde, in particolare in relazione al tema dell’accesso alla comunicazione e all’informazione, il più penalizzato dalla sordità, questa attenzione viene sollecitata da diversi processi: l’entrata in vigore di norme e raccomandazioni internazionali (es. Risoluzione 23/11/2016 “Sign language and professional sign language interpreters”); politiche linguistiche che promuovono le lingue segnate: in Italia con L. 69/2021 è stata riconosciuta la Lingua dei Segni Italiana; maggiore visibilità della lingua dei segni a seguito della pandemia da Covid19, che ha abituati alla presenza dell’interprete nei bollettini del Governo e della Protezione Civile, nonché in virtù di fenomeni mediatici di massa (es. "Sanremo in LIS”) che hanno fatto conoscere performer segnanti sui social e piattaforme di condivisione video.

Tale maggiore visibilità ha prodotto una sensibilizzazione dell’opinione pubblica e la costruzione di una rappresentazione delle lingue dei segni come risposta integrale alle esigenze di accessibilità delle persone con disabilità uditiva, resa ancor più efficace dalla sua automazione e diffusione nei servizi pubblici (TV, musei, trasporti), obiettivo della maggior parte dei progetti di ricerca dedicati allo sviluppo di avatar segnanti.

La sordità e le implicazioni che questa ha con il linguaggio è oggetto di rappresentazione sociale, volendo utilizzare le definizioni classiche della social representation theory (Moscovici, 1988; Wagner, 1995; Jodelet, 2003), prevalentemente polarizzata: da un lato una visione egemonica che considera la sordità un deficit individuale da curare, campo di interesse e intervento della medicina; dall’altro una rappresentazione polemica di un modello bio-psico-sociale in cui la sordità diviene risorsa generatrice di cultura, valori condivisi, identità collettiva (Padden, Humphreis 2006; Leigh 2009; Bauman, Murray 2010; Ladd 2003; Kusters et al. 2017).

Il corpo è il luogo privilegiato in cui questa polarizzazione si manifesta attraverso discorsi che pongono al centro le tecnologie di cura, come l’impianto cocleare - in termini mediatici “l’orecchio bionico” - o la comunicazione visivo-gestuale delle lingue segnate e le tecnologie per lo sviluppo di sistemi di traduzione e produzione automatica come gli avatar.

Obiettivo del presente contributo è evidenziare discorsi e retoriche presenti nei poli sopra descritti analizzando obiettivi e attività di progetti di ricerca dedicati a tale tema; se e come vengono coinvolte le persone sorde nei gruppi di ricerca e che ruolo giochino i media nelle dinamiche di rappresentazione tra tecnologie di cura e tecnologie della comunicazione.