Nell’ultimo decennio la comunicazione pubblica istituzionale ha conosciuto una progressiva rimodulazione degli ambiti e delle pratiche di relazione con i cittadini, ridisegnando scenari possibili di innovazione, ma aprendosi anche a nuovi percorsi sfidanti e di riflessività professionale dei comunicatori pubblici (Canel, Luoma-aho 2019)
Su questo sfondo, gli obiettivi dell’inclusione e dell’engagement dei cittadini, da sempre fondamentali per la comunicazione pubblica, si sono resi ancora più evidenti nel processo di accelerazione dell’uso dei media digitali, impresso dall’emergenza pandemica (Faccioli et al. 2020; Ducci, Lovari 2021; Solito, Materassi 2021). Un’accelerazione che ha fatto riemergere la necessità di presidiare maggiormente le attività di comunicazione negli spazi digitali da parte dei comunicatori pubblici e di rimettere al centro l’importanza della gestione strategica della funzione di comunicazione nella PA a livello non solo nazionale, ma anche internazionale (D’Ambrosi 2019; OECD 2021).
Questi scenari di cambiamento e nuove pratiche che mostrano anche la messa in gioco di una rilevante dimensione creativa, spesso associata all’intraprendenza degli enti o dei singoli professionisti, sono tuttavia legati in maniera indissolubile ai contesti, ai saperi e alle culture organizzative in cui si trovano ad operare (Massa et al. 2022). Da un lato, dunque, si rileva un dinamismo e un’apertura all’innovazione della maggior parte delle amministrazioni, ma, dall’altro, emergono con evidenza limiti e fragilità, legati anche a forme di immaturità organizzativa e di resistenze al cambiamento, rintracciabili da sempre nel settore pubblico.
In questo cortocircuito, la possibilità di andare oltre il paradigma dell’emergenza e di sostenere queste nuove sfide è riconducibile allo sviluppo di un processo di riflessività (Giddens 1994) che si estenda all’intera attività di comunicazione di un ente pubblico e che ne ridefinisca le routine quotidiane. Una riflessività che riguarda la capacità di agency dei comunicatori pubblici, nell’implementare strategie e tecniche di comunicazione digitale tenendo conto dei punti di forza e delle criticità legate alla platformizzazione (Van Dijck et al. 2018; Bentivegna, Boccia Artieri 2019; Marinelli 2021), nello sperimentare nuovi linguaggi in sincronia con la società, nell’attivare processi partecipativi di innovazione democratica.
Il panel intende offrire dunque un percorso di riflessione critica sulle potenzialità che nuove pratiche creative potrebbero avere nel disegnare scenari possibili per la comunicazione pubblica, in un contesto caratterizzato da vincoli di carattere istituzionale e tecnologico.
In quest’ottica, i quattro contributi proposti sono incentrati su attività di ricerca di carattere teorico ed empirico e si focalizzano su alcuni ambiti innovativi della comunicazione nella PA.
Il primo è dedicato alle prospettive di genere nei linguaggi istituzionali, attraverso un’analisi delle complesse dinamiche tra regole, prassi e sviluppo di una dimensione creativa nelle pratiche comunicative di alcune regioni italiane.
Il secondo, è dedicato alla comunicazione visuale per l’inclusione del cittadino. A partire da una ricerca sulle infografiche digitali curate dal Ministero della Salute e dalle regioni italiane durante la pandemia, il contributo riflette sulla “ferialità” della produzione visuale, rilevando temi, linguaggi, funzioni narrative e registri linguistici nella fase post-pandemica.
Un approccio critico sull’uso dell’intelligenza artificiale nell’ambito della comunicazione pubblica, caratterizza il terzo contributo dedicato ad uno studio che esamina le pratiche di progettazione di alcuni chatbot nella PA italiana per osservare quali valori e logiche essi incorporino, quali tipi di utenti configurino, l’articolazione di mercati tra pubblico e privato, i modelli comunicativi, le soluzioni creative di fronte a scenari di crisi e vulnerabilità.
La quarta relazione analizza il ruolo della comunicazione pubblica e, in particolare, dei social media, nei processi di innovazione democratica, a partire da uno studio esplorativo del bilancio partecipativo del Comune di Bologna. Tale studio rileva soprattutto come l’uso dei social media istituzionali sia strategico per favorire l’engagement dei cittadini nei processi di co-progettazione.
|
Linguaggi istituzionali e prospettive di genere. Uno studio pilota sulle pratiche comunicative delle Regioni italiane, fra regole, prassi e creatività
Lucia D’Ambrosi, Sapienza Università di Roma
Gea Ducci, Università di Urbino Carlo Bo
Camilla Folena, Università di Urbino Carlo Bo
Marica Spalletta, Università Link Roma
Negli ultimi anni, caratterizzati da crisi prolungate e frequenti emergenze, è cresciuta l’attenzione nel dibattito pubblico verso le politiche gender sensitive (Unesco 2020; Commissione europea 2020), sollecitata da nuove forme di attivismo online (Pavan 2020; Jackson et al. 2020; Panarese et al. 2021) che spingono verso una dimensione più etica e responsabile della comunicazione pubblica. Questa prospettiva è chiaramente delineata nella missione “inclusione e coesione” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) italiano, nonché nella Strategia nazionale per l’uguaglianza di genere 2021-2026, che ribadisce l’importanza di riflettere su strategie e pratiche comunicative più inclusive e sensibili verso la diversity.
In Italia, il dibattito scientifico sulla prospettiva di genere nella comunicazione pubblica è emerso lentamente (Capecchi 2018; Faccioli 2020), privilegiando l’analisi della rappresentazione di genere nei media mainstream e in quelli digitali (tra i tanti Farci, Scarcelli 2022; Buonanno 2023). Allo stesso tempo, molti studiosi hanno affrontato il tema nella comunicazione politica (Belluati 2020; Saccà, Massidda 2021; De Blasio et al. 2022). Solo di recente, e in particolare durante la pandemia, si sono intensificati gli studi di genere nella comunicazione istituzionale (Lovari, D'Ambrosi 2022; Faccioli, D'Ambrosi 2023).
Questo diverso approccio al tema si intreccia con un graduale riconoscimento dell’attività di informazione e comunicazione istituzionale nella PA, accelerata anche dai processi di digitalizzazione (OECD 2021). L’uso dei media digitali ha mostrato un carattere innovativo nella ricostruzione dei rapporti tra istituzioni e cittadini, e questa tendenza è ulteriormente cresciuta durante la crisi pandemica (Solito et al. 2020; Spalletta et al. 2021; Massa et al. 2022); allo stesso tempo, sorgono nuove sfide rispetto allo sviluppo di competenze e capacità dei professionisti in un contesto caratterizzato da differenze regionali e esperienze frammentate (Ducci 2021).
Nel quadro teorico così delineato, il paper presenta i risultati di una ricerca pilota che, focalizzando l’attenzione sulle prospettive di genere, intende analizzare le complesse dinamiche tra adozione di regole, tendenza a replicare prassi consolidate e sviluppo di una dimensione creativa nelle pratiche comunicative di alcune regioni italiane. I case studies sono stati selezionati sulla base di criteri di rappresentatività geografica, sensibilità nei confronti delle gender issues, orientamento politico e livello di utilizzo dei social media.
In particolare, la ricerca si pone due principali obiettivi:
-
analizzare la relazione tra linguaggi istituzionali e prospettive di genere tanto nei media hypes (ovvero quelle giornate in cui le gender issues sono l’oggetto principale della comunicazione) quanto nell’ordinary coverage (ovvero, nella costante e ripetuta adozione di un approccio gender sensitive);
-
individuare i fattori di influenza che valorizzano e/o ostacolano tale relazione, distinguendo la dimensione endogena (legata specificamente alle pratiche comunicative) da quella esogena (es. rapporto tra struttura di comunicazione e vertice politico e/o amministrativo; autonomia e discrezionalità attribuite al comunicatore pubblico; riconoscimento del ruolo strategico della struttura di comunicazione da parte degli altri settori dell’ente [Grunig 2016]).
Dal punto di vista metodologico, la ricerca si avvale di un approccio mixed methods che integra diversi strumenti di analisi:
1) background analysis, per mappare le regioni italiane rispetto all’adozione di apposite linee guida per una comunicazione gender sensitive;
2) social media content analysis, per studiare le pratiche comunicative, con riferimento alle dimensioni verbale, visuale, audiovisiva, ecc.;
3) interviste in profondità ai professionisti della comunicazione, per analizzare la relazione tra linguaggi istituzionali, prospettive di genere e pratiche comunicative assumendo il punto di vista del comunicatore istituzionale.
Dai primi risultati emersi dalla ricerca si conferma l’esistenza di un delicato equilibrio tra il sistema di regole che disciplinano l'approccio gender sensitive e le modalità attraverso cui esso prende forma nelle prassi comunicative, anche in ragione del diverso impatto della variabile creativa nonché dell'empowerment dei professionisti della comunicazione pubblica.
|
Dall’emergenza alla quotidianità. La comunicazione visuale per l’inclusione del cittadino
Laura Solito, Università di Firenze
Letizia Materassi, Università di Firenze
La comunicazione pubblica è, per definizione, una comunicazione di interesse generale e ha, tra i suoi molteplici obiettivi, il compito di soddisfare i bisogni informativi dei cittadini. Di tutti i cittadini. Nel tentativo di raggiungere un fine così importante, lo sviluppo della comunicazione pubblica è stato da sempre accompagnato dalla ricerca e sperimentazione di linguaggi e strumenti innovativi. Tra questi, la narrazione visuale ha guadagnato negli ultimi tempi una crescente centralità e sembra aver assunto un’importanza sempre più strategica per l’inclusione del cittadino.
Capaci di accelerare processi cognitivi, comportamentali e relazionali (Ducci et al. 2019), i contenuti visuali – grafici, immagini, fotografie, fumetti, icone simboliche, video, ecc. – sono sollecitati, nel contesto italiano, dalle stesse linee guida ministeriali pubblicate dall’Agid - Agenzia per l’Italia digitale (2022) -, che invitano i comunicatori pubblici a servirsi di tali linguaggi per raccontare la propria amministrazione e semplificare l’esperienza d’uso dei cittadini. Infatti, è ormai consolidato che le immagini riescano ad attirare maggiormente l’attenzione, ad aumentare la comprensione di messaggi e contenuti complessi, a coinvolgere i pubblici (Fiorentino 2021; Lovari, Righetti 2020; McCaffery et al. 2012).
Sebbene le immagini accompagnino da tempo messaggi di pubblica utilità, trovano particolare proliferazione nel contesto digitale, dove sempre più spesso sostituiscono contenuti testuali, garantendo oltretutto il raggiungimento di elevati tassi di engagement dei pubblici (Luoma-aho et al. 2021; Steinfeld, Lev-On 2018). Per altro verso, a fronte di un’elevata produttività, ci si comincia a chiedere se la comunicazione visuale non possa essere correlata a fenomeni di disinformazione, ridondanza e disorientamento nella cittadinanza (Weikmann, Lecheler 2022).
Numerosi autori hanno da tempo messo in luce l’importanza di tali linguaggi in situazioni di emergenza (Siricharoen, Siricharoen 2018; Coombs 1995) che hanno progressivamente riguardato non solo eventi naturali o causati dell’uomo – terremoti, alluvioni, incendi, esondazioni, ecc. -, ma anche emergenze di tipo epidemico, di cui il COVID-19 rappresenta l’ultima, globale, manifestazione. Difatti, se l’efficacia della comunicazione ha valore per qualsiasi ambito istituzionale, ancor più evidente è la sua centralità nella comunicazione pubblica della salute, dove le informazioni devono dettare comportamenti urgenti o indispensabili, prevenire o correggere abitudini sbagliate, diffondere messaggi che devono essere visti, compresi e ricordati dai cittadini, indipendentemente dalla loro età, livello di scolarizzazione, cultura di appartenenza, competenza digitale (Lovari, 2017; Houts et al. 2006).
Partendo dai risultati e da un’analisi svolta nel contesto pandemico sulle infografiche prodotte e pubblicate attraverso i canali web e social dal Ministero della Salute e da 10 Regioni italiane (Autore, 2021), il presente contributo vuole oggi riflettere sulla “ferialità” della produzione visuale da parte delle stesse amministrazioni, rilevando temi, linguaggi, funzioni narrative e registri linguistici nella fase post-pandemica.
Se, infatti, nel governo dell’emergenza, la sperimentazione di nuovi linguaggi ha portato le istituzioni a cogliere le opportunità offerte dal digitale (Sorrentino et al. 2022) e dalla comunicazione visuale (Hamaguchi et al., 2020), oggi ci chiediamo in che modo tali pratiche creative siano rintracciabili e declinate nei contenuti prodotti quotidianamente, sui temi e per le campagne che riguardano i molteplici aspetti della salute dei cittadini.
Questo studio longitudinale, oltre a rilevare pratiche e sperimentazioni innovative mediante l’uso di comunicazioni visuali sui temi della salute, vuole riflettere sull’impatto professionale, organizzativo e relazionale che tale produttività comporta fuori dal contesto emergenziale.
|
Dentro i chatbot. Sguardi critici sull’intelligenza artificiale per la comunicazione pubblica
Francesca Comunello, Sapienza Università di Roma
Alessandro Lovari, Università di Cagliari
Alberto Marinelli, Sapienza Università di Roma
Leonardo Piromalli, Sapienza Università di Roma
L’accelerazione tecnologica durante la crisi pandemica ha reso ancora più evidente la pervasività delle tecnologie digitali (ICT) in ogni sfera della vita quotidiana (Beer, 2013; Elliott, Urry, 2010; Kitchin, Dodge, 2014) e negli spazi della comunicazione istituzionale (Ducci, 2017; Lovari, 2022). La penetrazione delle ICT è divenuta sempre più capillare variando anche nelle sue pratiche e interfacce – dai siti web, ai social media, fino ad arrivare ai più recenti interventi basati su intelligenza artificiale (IA) e realtà aumentata (AGID, 2018; Lovari, Ducci, 2022). Inoltre, le trasformazioni sociali innescate dal COVID-19 hanno mostrato l’urgenza di un’osservazione attenta sui processi di digitalizzazione nella comunicazione e sui mutamenti nelle logiche e culture organizzative nel campo professionale dei comunicatori pubblici (Massa et al., 2022).
Queste trasformazioni non si sviluppano tuttavia in mancanza di tensioni o ambiguità. Il discorso sulle tecnologie nel campo della comunicazione sembra infatti polarizzarsi attorno a retoriche semplificative di segno euforico oppure distopico. Sul primo versante, si rilevano narrazioni entusiastiche incentrate per esempio sugli spazi di creatività che l’IA può aprire per la comunicazione istituzionale, così come sui vantaggi per i cittadini in termini di personalizzazione e fruizione. Dall’altro versante, le criticità si focalizzano sui possibili effetti perversi dell’IA in termini di perdita di riconoscimento professionale, piattaformizzazione (Ducci, Lovari, 2021) e datificazione (Couldry, 2020).
Appare oggi particolarmente importante per i professionisti della comunicazione sviluppare forme di riflessività professionale (Schön, 1983) e di agency che consentano di impostare relazioni con le tecnologie che siano critiche, eque, responsabili e inclusive (Wagman, Parks, 2021). Secondo la letteratura critica nell’ambito dei platform studies e degli Science and Technology Studies, le ICT sono da considerare come soggetti sociali e politici piuttosto che meri strumento extra-sociali, accessori “naturali” nella vita collettiva o technical fix (Lupton, 2018). Da una parte, esse inscrivono particolari valori, modelli di governance e culture legate a visioni specifiche della comunicazione; dall’altra, esse (ri)configurano utenti, mercati, e relazioni (Gillespie, 2010; Gillespie et al., 2014; van Dijck et al., 2019).
In questo contesto, il caso dei chatbot/virtual assistant nella pubblica amministrazione appare di particolare interesse. Da una parte, essi appaiono come risorse, utili strumenti per la comunicazione pubblica istituzionale e come soluzioni per aumentare la relazionalità e la partecipazione dei cittadini. Dall’altra parte occorre considerare che la loro progettazione è un complesso processo di traslazione (Czarniawska, Joerges, 2011) che si realizza attraverso l’incorporazione di valori culturali e modelli organizzativi, l’articolazione di mercati, la configurazione di utenti e soggettività. Questi artefatti sono dunque inevitabilmente inscritti con – e in grado di (ri)produrre – determinati valori e idee che potrebbero interrogare e impattare sulle stesse finalità della comunicazione pubblica. Diviene quindi rilevante analizzare criticamente i chatbot e le soluzioni di IA nella PA per svelare valori, etiche e culture incorporate nel design di questi artefatti (Bowker, Star, 1999).
All’interno di un più ampio progetto di ricerca, questo contributo esaminerà le pratiche di progettazione di alcuni chatbot nella PA italiana per osservare quali valori e logiche essi incorporino, quali tipi di utenti essi configurino, l’articolazione di mercati tra pubblico e privato, i modelli comunicativi, le soluzioni creative di fronte a scenari di crisi e vulnerabilità. A tal fine, si è proceduto attraverso una mappatura dei principali chatbot nella PA italiana, seguita da interviste in profondità agli sviluppatori di IA e da un’analisi documentale su grey literature e contenuti promozionali. Attraverso tecniche di etnografia digitale (Pink et al., 2015) sono stati inoltre interrogati sistemi conversazionali di nuova generazione (ad esempio: ChatGPT, Bing Prometheus, ChatSonic) su questioni attinenti all’interazione con servizi pubblici. Nel seguito della ricerca saranno analizzati gli usi in pratica di queste soluzioni da parte dei comunicatori pubblici in Italia.
|
Il ruolo della comunicazione pubblica e dei social media nei processi di innovazione democratica. Uno studio esplorativo del bilancio partecipativo del Comune di Bologna
Stefano Spillare, Università di Bologna
Giulia Allegrini, Università di Bologna
La recente crisi dello Stato-nazione e del welfare-state, così come delle tradizionali forme della rappresentanza politica (Bekker 2007; Rosanvallon 2008) hanno reso sempre più necessaria la ridefinizione di un’inedita “cittadinanza societaria” e di un rinnovato ruolo della Pubblica amministrazione (PA) in termini di public engagement (Ducci 2017) e innovazione democratica (Arena 2006; Papadopoulos, Warin 2007; De Blasio, Sorice 2016).
Tale innovazione è da intendersi come processo generativo di “nuove istituzioni” e, al contempo, come “modi e luoghi per pensare collettivamente” (Donolo 1997). Si tratta, cioè, di istituire pratiche riflessive basate su una “relazionalità consapevole” (Ducci 2017) e su un processo di apprendimento reciproco tra istituzioni statali e cittadini, così come tra i cittadini stessi (Paltrinieri, Allegrini 2020).
Va da sé che il ruolo della comunicazione pubblica risulta in tale ambito strategico (Arena 2008). Soprattutto nei termini di una “comunicazione pubblica 2.0” (Lovari 2013) legata alle potenzialità abilitanti delle tecnologie digitali e dei social media (Lovari 2013; Lovari, Valentini 2020).
Linders et al (2012), ad esempio, parlano in tal senso di “we-government”, enfatizzando il ruolo dei media digitali nel contribuire a implementare, oltre agli aspetti informativi, anche forme di consultazione e di partecipazione sia orizzontale che verso le PA. In maniera analoga, Carpentier (2011) delinea diversi livelli di coinvolgimento attraverso i media digitali: dal più basilare “accesso”, alle più variegate forme di “interazione”, fino alla “partecipazione” vera e propria, nella quale l’utilizzo degli strumenti digitali si inserisce all’interno di una più ampia e articolata “infrastruttura” politico-amministrativa (Paltrinieri, Allegrini 2020; Voorberg et al 2014) finalizzate alla co-definizione delle politiche e alla partecipazione nella presa delle decisioni.
In Italia, tuttavia, troppo spesso i processi partecipativi risultano ancora poco diffusi, scarsamente formalizzati e pressoché privi di strumenti digitali abilitanti (Bartocci et al. 2016). Fanno eccezione, chiaramente, taluni casi virtuosi. Uno di questi è sicuramente quello del bilancio partecipativo (BP) del Comune di Bologna (Bartoletti, Faccioli 2016; Allegrini, Spillare 2021), città dalla lunga tradizione digitale: prima a dotarsi di una rete civica e ancora oggi tra le prime città in termini di digitalizzazione della PA (FPA 2022).
Proprio su tale case study intende quindi soffermarsi l’indagine qui presentata, cercando di mostrare:
a) la complessa ecologia comunicativa di cui si è dotata la PA al fine di implementare i processi partecipativi connessi al BP;
b) il ruolo specifico giocato dai social media e le forme di relazione caratterizzanti PA e cittadini;
c) il ruolo dei social media nella comunicazione, promozione e co-costruzione di senso dei progetti e del BP da parte degli engaged citizens coinvolti nei processi di co-progettazione.
Da un punto di vista metodologico l’analisi si avvale prevalentemente di un mix di strumenti qualitativi, quali:
· l’action research, che ha visto un coinvolgimento attivo nella ideazione, pianificazione, realizzazione dei processi partecipativi;
· la content analysis dei post istituzionali e dei commenti dei cittadini;
· interviste semi strutturate ai cittadini coinvolti nella co-progettazione del BP.
Le evidenze emerse mostrano come in tale contesto gli strumenti digitali vengono ampiamente integrati nel processo partecipativo all’interno di una strategia multicanale e multiaccesso (Allegrini, Spillare 2021) che prevede sia strumenti di azione (es. voto elettronico) che di informazione e comunicazione (rete civica e siti di social networking). Inoltre, la comunicazione a “doppio step” (Allegrini, Spillare 2022), che vede l’impegno comunicativo diretto dei cittadini coinvolti nella co-progettazione, evidenzia il loro ruolo di accountable actors verso la cittadinanza più in generale, ma anche criticità connesse al permanere dello iato tra agenda politica e agenda della società civile (Sorice 2022).