Programma della conferenza

Sessione
Sessione 5 - Panel 6: Teorie
Ora:
Venerdì, 23.06.2023:
15:00 - 17:00

Chair di sessione: Paolo Terenzi
Luogo, sala: Aula 22

Secondo piano, Dipartimento di Scienze Politiche Palazzo Del Prete, P.zza Cesare Battisti 1

Presentazioni

La comunicazione imperfetta. Malintesi, silenzi, malfunzionamenti

Gabriele Balbi

USI Università della Svizzera italiana, Svizzera

Questo paper cercherà di riassumere le tesi di un libro appena pubblicato ("La comunicazione imperfetta. Ostacoli, equivoci, adattamenti", Einaudi 2023).

Il libro nasce da un progetto: quello di osservare e analizzare con attenzione fenomeni che spesso sono tenuti ai margini delle scienze della comunicazione, e di muovere proprio da tali fenomeni per analizzare da un punto di vista differente, i dialoghi, gli scambi, i messaggi umani nel loro insieme. La comunicazione è infatti condizionata sempre da malintesi, malfunzionamenti tecnici, problemi derivanti dalla lacunosità o sovrabbondanza dell’informazione, silenzi, segreti mantenuti o rivelati e altre forme più o meno deliberate di messaggio indiretto, obliquo. La comunicazione è un processo movimentato, spesso non lineare, in cui i vari partecipanti si devono confrontare, aggiustare il tiro, adattarsi.

Tutti questi aspetti sono stati spesso relegati in secondo piano o accantonati, se non esplicitamente negati, da gran parte delle ricerche, delle teorie o dei testi di riferimento in materia di comunicazione nell’ultimo secolo e mezzo. Partendo da un'analisi archeologica di alcune di queste ricerche, questo contributo vuole poi focalizzarsi su quattro assi: i malintesi, i malfunzionamenti, gli squilibri dati da una comunicazione abbondante o scarsa, i silenzi e quindi l'apparente assenza di comunicazione.

Gran parte degli studi sulla comunicazione relega questi aspetti della vita quotidiana in secondo piano oppure li considera come incidenti o errori fortuiti, da eliminare quanto prima per ristabilire una “buona” connessione e un dialogo fruttuoso. Altri autori ne fanno invece la dimostrazione che la comunicazione in sé è un mito e che ogni dialogo ribadisce di fatto l’impossibilità di comprendersi. Questo contributo imbocca una terza strada, decisamente diversa e pone tutti questi elementi (nei loro paradossi, negli effetti contrastanti che producono e negli aggiustamenti che richiedono) al centro di una nuova teoria della “comunicazione imperfetta”. Una teoria che si focalizza sul complesso delle azioni, dei rimedi non sempre efficaci e degli itinerari quasi mai del tutto lineari che chi comunica segue per adattarsi agli ostacoli, alle occasioni, all’imprevedibilità di cui è fatto il vivere.

Il contributo vuole quindi introdurre e avanzare questa nuova teoria, incrociando approcci teorici presenti e passati che hanno messo al centro gli errori e le presunte imperfezioni comunicative e avanzando una riflessione sulle "reali" dimensioni comunicative del presente.

Basato su un consistente corpus di letteratura secondaria sulle teorie della comunicazione, il contributo prende in considerazione un vasto insieme di fonti come film, serie TV, canzoni, poesie, pubblicità o proverbi.



Visioni creative. Oltre gli ordinamenti del mondo

Pier Paolo Bellini

Università del Molise, Italia

Non esiste esperienza senza aspettativa: questo dato della condizione umana è all’origine di una irriducibile e constante tendenza a trascendere lo stato di cose presente. Diverse indagini e teorie sociologiche (in collaborazione e a volte in contrasto con altre discipline) hanno indagato le conseguenze soggettive e sociali di questo fenomeno: se ne è così individuata la radice nel dinamismo delle “aspirazioni”, approfondendone sia gli aspetti “pre-riflessivi”, sia quelli di carattere socioculturale.

Sul primo versante, si è arrivati così a stabilire (in una linea ideale di autori che va da Merleau-Ponty a Franco Crespi fino a Hans Joas) che l’azione creativa è resa possibile da “aspirazioni pre-riflettenti” depositate nel corpo stesso, o meglio nello sviluppo delle “relazioni tra corpi”.

Sul secondo versante, invece, si è indagato il processo attraverso il quale il contesto socioculturale viene a interagire con il dinamismo strutturale dell’aspirazione, stabilendo che la realtà alternativa immaginata è sempre “situata”, che prende forma nella cultura, che prevede complessi e anche fortuiti vincoli di “accessibilità” alla conoscenza e ai suoi strumenti: la psicanalisi parla, in maniera promettente, di “gruppo interno”, un “noi” che si deposita nel soggetto che interagisce con il suo ambiente vitale.

Un terzo elemento è da tempo messo in campo nello studio dei processi creativi e della capacità immaginativa: il concetto di “eccentricità” costitutiva dell’uomo, che lo differenzia dagli animali e lo proietta al di là del “dato” naturale. La creatività sarebbe in questo caso la strada più efficace per delineare ciò che è di là del limite, ciò che non esiste ancora.

I linguaggi artistici sarebbero, in questa prospettiva, le forme comunicative meno inadeguate a questa “approssimazione” a quel “qualcosa di più della mera esistenza” (per dirla à la Adorno), qualcosa di più “degli ordinamenti del mondo cui gli uomini sono irrimediabilmente vincolati”.

Viene analizzato uno studio di caso sulla produzione del gruppo writer Boa Mistura nelle favelas di San Paolo del Brasile, come esemplificazione di visioni narrative e artistiche di mondi possibili e come forme di comunicazione e pratiche culturali creative: nella loro attività, gli aspetti legati alla spinta delle aspirazioni soggettive, all’influenza dei vincoli socioculturali e del loro superamento prendono forma estetica ed efficacia comunicativa. L’esperienza descritta è anche valida attestazione di un ultimo aspetto della potenzialità “visionaria” della produzione creativa: la sua dimensione collettiva.

Per alcuni sociologi (in epoche diverse), l’essere parte di un “mondo di altri” implica il fatto che la sfera del “Noi” sia “ingenuamente presupposta”: in una linea ideale che va da Schütz a Duvignaud, fino a Joas, la “socialità primaria”, la “Weness” è alla base di ogni capacità umana di azione, in particolare di quella creativa. Diversi approcci psicologici e psicoanalitici, d’altra parte, parlano di agire creativo come “sfida alla separazione tra il sé e l'altro”.



"Soggetti" in crisi. La costruzione del "soggetto" tra singolarizzazione e soggettivazione.

Silvia Cervia

Università di Pisa, Italia

I processi di transizione ambientale, digitale, economica, energetica e sociale hanno subito, con la pandemia, dinamiche di accelerazione contribuendo a rendere più evidenti, da un lato, le dinamiche in atto di riarticolazione tra soggettività e organizzazione sociale mostrandone l’ineludibile interconnessione e, dall’altro, ridefinendo le stesse cornici di possibilità del discorso pubblico.

Uno degli aspetti più rilevanti che connotano tale processo, e sui cui il contributo intende soffermarsi, è il modificarsi stesso del senso attribuito alla individualizzazione, che da aspirazione universalizzante alla cittadinanza assume sempre più la dinamica di una soggettivazione che passa da una culturalizzazione delle divisioni sociali in modelli di stili di vita che dismettono grandi narrative per valorizzare narrative singolarizzate.

Quale diventa il rapporto tra individuo e società in un contesto di ridefinizione delle aspettative, dei conflitti e delle rivendicazioni tipiche del concetto di modernità (Wagner 2012)?

Per rispondere a questa domanda il contributo considera l’ambivalenza dei processi di singolarizzazione in atto, che da un lato può essere intesa come il farsi sociale e consapevole del soggetto, all’insegna di una identità critica soggettiva (Touraine 1998, 1997), e, dall’altro, come non unidirezionale ricostruzione di senso a partire dalla differenziazione di soggetti che non si definiscono per il posto occupato nei processi economici ma nella dimensione culturale (Reckwitz 2020). Una prospettiva che, prendendo avvio dal processo di individualizzazione già analizzato da Beck, si distacca significativamente da quest’ultimo proiettandosi verso un modello di costruzione individuale non razionalistico-riflessivo di tipo generalista.

La classica nozione di progresso viene superata sottoponendo a critica la tendenza all’auto-realizzazione di ciascun individuo che aveva contraddistinto la classica promessa del progetto sociale e politico della modernità (Reckwitz 2020). Una crisi dell’autorealizzazione che si affianca e interseca ad altre due crisi. Da una parte la crisi del riconoscimento, inscindibilmente legata alla logica della realizzazione individuale e, dall’altra, la crisi della politica nella sua capacità di controllo della società, a causa della frammentazione del dibattito pubblico all’interno di sfere pubbliche autonome, separate e conflittuali, in cui l’obiettivo perseguito è quello di ottenere un riconoscimento sulla base della similarità culturale e non di classe sociale (Reckwitz 2020).

Raccogliendo la sfida posta dalla call, il contributo prende in considerazione le potenzialità della proposta filosofico-pedagogica di Biesta (2013, 2020) che identifica nelle pratiche educative la possibilità di invertire i processi neoliberisti contemporanei.

Il contributo analizza criticamente le cornici teoriche e concettuali della nozione di “soggetto” in Biesta, sulle quali l’Autore sviluppa la centralità della nozione di “soggettivazione” rispetto a quello di “socializzazione” e, a partire da queste, considera le implicazioni di tale prospettiva rispetto alla formazione dell'identità nella vita politica, culturale ed economica (Biesta 2011).



Giovani, generazioni e processi educativi. Rileggere Karl Mannheim per interpretare la crisi

Maurizio Merico1, Andrea Casavecchia2

1Università degli Studi di Salerno, Italia; 2Università degli Studi Roma Tre, Italia

Siamo immersi in un tempo critico che comporta radicali processi di trasformazione sociale: un tempo che sembra potersi caratterizzare nei termini di una “svolta brusca” (Casavecchia 2022a) o comunque segnato da cambiamenti che provocano una profonda “metamorfosi” (Beck 2017).

Rispetto a questi elementi, a oltre 75 anni dalla scomparsa, l’elaborazione sociologica proposta da Karl Mannheim offre spunti di riflessione, strumenti interpretativi e categorie di analisi utili a operare una Diagnosi del nostro tempo (Mannheim 1943) e identificare – in un’epoca che sembra riproporre elementi di contesto drammaticamente analoghi a quelli in cui egli operava (Casavecchia 2022a) – alcuni nodi tematici capaci di riannodare il rapporto Tra crisi e ricostruzione (Canta 1997; 2006).

Su questa base, il paper si propone di “rileggere” il contributo di Karl Mannheim assumendo come nodo tematico l’analisi del rapporto tra fenomeni generazionali, protagonismo giovanile e processi educativi (Mannheim 1928; Mannheim e Stewart 1962).

Evidenziando un’indiscussa carica di anticipazione, lungo il percorso analitico che lo porta a riflettere sulle questioni della sociologia della conoscenza e della pianificazione democratica (Mannheim 1935; 1943; 1950; 1952), Mannheim intercetta alcune chiavi di lettura (ancora) utili a comprendere il rapporto tra dinamica generazionale e mutamento socio-culturale, riconoscendone il carattere processuale, intimamente plurale e differenziato (Woodman e Bennett 2015; Merico 2018).

A partire da questo quadro generale, il paper si concentra su due aspetti (sovente) trascurati dell’elaborazione di Mannheim: l’attenzione che dedica al ruolo dei giovani e la riflessione sviluppata sui processi educativi.

Da un lato, egli paragona la figura del giovane a quella dell’outsider, offrendo così una prospettiva che sollecita a riconoscere tanto gli effetti che la trasformazione determina sulle successive generazioni, quanto le potenzialità del protagonismo giovanile, ovvero il contributo (necessario) che i giovani possono offrire ai processi di mutamento (Merico 2019; Casavecchia 2022a).

D’altro lato, Mannheim elabora una proposta sociologica che – nel riferimento al concetto di “società educante” – intercetta un ruolo trascurato dell’educazione (Gili 2017): ne risulta una prospettiva capace di identificare la dimensione plurale e policentrica dei fenomeni educativi (Besozzi 2017; Merico e Scardigno, 2022), come pure il ruolo decisivo svolto dalle agenzie educative nell’accompagnare e orientare nella crisi, offrendo strumenti affinché i giovani siano in grado affrontare la complessità (Morin 2001) e possano dare vita a personalità democratiche (Casavecchia 2016; 2022).

Il pensiero di Mannheim ci porta, così, a poter rileggere il rapporto soggetto-società in modo dialettico e dinamico, riscoprendo alcune chiavi interpretative utili ad affrontare in senso costruttivo le “svolte brusche” determinate dalle crisi. A questo proposito, nella parte finale del contributo saranno proposte esemplificazioni utili a meglio comprendere alcuni processi che accompagnano i cambiamenti generazionali vissuti nel nostro tempo: le esperienze di mobilità (Merico e Quarta, 2021), il nuovo impegno partecipativo dei giovani (Barrett e Pachi 2019; Casavecchia 2022b), il rapporto con la diversità (Casavecchia 2018; Roudometof 2019) e la (ri)definizione del “continuum dell’educazione” (Merico e Scardigno 2022a; 2022b).