War never changes
Matteo Jacopo Zaterini
Università del Salento, Italia
Negli ultimi anni, diversi lavori hanno fatto progredire in modo significativo lo studio del videogioco come mezzo espressivo. In “Beyond Choices: The Design of Ethical Gameplay”, Sicart (2013) mette in evidenza la connessione tra il nucleo procedurale del gioco e il suo strato di rappresentazione audiovisiva, così come il ruolo attivo dei giocatori nel processo di costruzione del significato. Il suo modello analitico è parzialmente ispirato all'ingegneria semiotica dell'interazione uomo-macchina di De Souza (2005); tuttavia, nel suo modello, la semiotica finisce però per essere essenzialmente separata dalla struttura procedurale del gioco ("livello procedurale" contro "livello semiotico", Sicart 2013). A partire dal modello proposto da Sicart, con l’intento di proporre un’analisi integrata dei vari aspetti caratterizzanti il medium, l’obiettivo del paper è quello di proporre un’analisi etnografica di Metal Gear Solid di Hideo Kojima (1998) a partire dai tre elementi fondamentali che caratterizzano l’opera: il game design, la narrazione, le modalità di interazione. Ognuna di queste caratteristiche verrà esplorata con l’obiettivo di recuperare il modo con cui l’autore rappresenta la guerra nello scenario immaginario proposto. Questa operazione è resa legittima partendo dal presupposto che essendo il videogioco è un oggetto culturale (Griswold, 1987), può essere studiato come oggetto sociale (Carzo e Centorrino, 2002). Questo espediente intellettuale, per quanto artificiale, offre l'opportunità di comprendere il gioco da un punto di vista eccentrico, il cui scopo collaterale è quello di mostrare le potenzialità dell'immaginazione sociologica quando viene impiegata al di fuori dei confini del suo abituale campo di indagine (Longo 2006).
La propaganda bellica dentro al paesaggio urbano di Kiev: pratiche ecofemministe intersezionali per costruire presupposti di pace
Marilu Mastrogiovanni
Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Italia
Questo lavoro prova a porsi, nel framework metodologico della Grounded Theory, nell’intersezione tra sociologia visuale, teorie decoloniali, femminismo intersezionale e sociologia del paesaggio urbano.
Utilizzando la tecnica dell’osservazione partecipante, dello shadowing con “soliloqui itineranti” (Frisina, 2016), delle interviste semistrutturate, si è provato ad incorporare, nelle pratiche stesse di ricerca, l’attività sul campo, la multisensorialità, la spazialità e la temporalità che caratterizzano l’esperienza del paesaggio della guerra, e della comunicazione della guerra attraverso il paesaggio urbano, privilegiando lo sguardo di genere.
La ricerca visuale presenta i primi risultati di un’esplorazione transdisciplinare ibrida (Cardano, 2022), ancora in corso, all’interno di due comunità di ecofemministe italiane, condotta con un approccio partecipativo e cooperativistico (Panciroli, 2019). In base a tale approccio, le attiviste ecofemministe sono state chiamate ad assumersi la responsabilità di essere co-ricercatrici; la ricercatrice è stata chiamata a seguire le attiviste a Kiev dall’8 al 14 luglio 2022, partecipando alla “Marcia per la pace” organizzata dal neonato Mean, Movimento europeo di azione non violenta, anch’esso oggetto di studio. Nel corso della ricerca sul campo a Kiev si è testata l’opportunità di poter elaborare un approccio metodologico flessibile, capace di cogliere nella prassi “ontologica” femminista (Clarke, 2015) di autonarrazione delle co-ricercatrici, la complessità, la drammaticità, la provvisorietà degli eventi come momenti di “messa alla prova” (alcuni colloqui si sono svolti nei bunker antiaereo, la notte) se non di vera e propria sperimentazione sul campo delle proposte pacifiste ecofemministe elaborate in maniera cooperativistica.
Lavorare sulle, e con-le attrici sociali, dunque sulla loro riflessività; sulle, con, e attraverso le- loro narrazioni e autonarrazioni, ha alimentato «reciproche comprensioni» tali per cui la «sorellanza» (Lagarde, 2006, 2009, 2014) è diventata il passaporto di quella «identità terrestre» (Morin 2001) di Moriniana memoria, in cui si sono rispecchiate le attiviste ucraine incontrate a Kiev: una pratica ecofemminsita di prevenzione dei conflitti.
Il rapporto circolare tra le attrici sociali, il paesaggio e l’ambiente, in una circolarità che ancora una volta è metodo di appercezione collettiva ma anche elemento identitario, la «Matria» (Marchetti, 2021), sono state le lenti attraverso le quali è stato osservato, insieme alle attiviste, il paesaggio urbano di Kiev, cogliendone e analizzandone gli “artefatti” (Pauwels, 2015) come strumento di propaganda bellica da una parte ed espressione di una logica di potere patriarcale e capitalista dall’altra: un modello oppositivo-duale a cui le ecofemministe contrappongono quello circolare basato sulla “conoscenza situata” (Haraway, 1991) e reciproca, su cui costruire mondi possibili e presupposti di pace (Langer, 2005).
La ‘Benedizione’ della Chiesa Ortodossa Russa dell’Invasione dell’Ucraina: L’Ortodossia Russa dalla Tradizione al Fondamentalismo
Marco Guglielmi
Università degli Studi di Padova, Italia
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022 ha rappresentato uno spartiacque nella storia dell’Unione Europea (UE). Alcuni commentatori politici ipotizzano sia già in corso una terza guerra mondiale, mentre altri cronisti sono più cauti ma non per questo ottimisti rispetto alla risoluzione del conflitto. In tale drammatico contesto, il supporto dell’azione militare voluta dal governo di Vladimir Putin da parte della Chiesa Ortodossa Russa (COR) ha avuto (e ha tutt’ora) una rilevanza non secondaria.
Nei decenni precedenti, l’ortodossia orientale era considerata dalla maggior parte degli studiosi occidentali come una religione poco influente nella vita politica dei suoi paesi. Tuttavia, dopo quasi cinquanta anni di feroce repressione religiosa, tali chiese hanno maturato velocemente un rapporto privilegiato con lo stato e uno spazio maggioritario nella sfera pubblica. A partire dagli anni Novanta, esse si sono dimostrate delle importanti forze conservatrici e tradizionaliste nell’arena politica dei loro paesi.
In questa presentazione verrà analizzato il caso della ‘benedizione’ da parte della COR dell’invasione dell’Ucraina come un esempio emblematico del rapporto irrisolto dell’ortodossia cristiana con la modernità. Basandosi su un quadro critico elaborato mediante i più importanti studi sociologici sulla suddetta religione, la presentazione evidenzierà l’emergere di un intenso quanto sfaccettato fondamentalismo nella COR degli ultimi due decenni. In particolare, tale chiesa sembra alimentare dei processi religiosi contrapposti a quelli di modernizzazione sperimentati più recentemente dalla chiese ortodosse nei paesi che hanno aderito all’UE.
La prima sezione della presentazione si sofferma sul rapporto ancora controverso delle chiese ortodosse con la modernità e i suoi sviluppi (Makrides 2012). Attraverso le principali ricerche di sociologia culturale e della religione vengono esposti i vari approcci difensivi di queste chiese verso le sfide contemporanee. In tale scenario, la COR mostra di perseguire un approccio anti-moderno che ‘rifiuta’ il mondo contemporaneo (Agadjanian 2017), mentre le chiese appartenenti all’UE appaiono sviluppare degli approcci più critici e selettivi verso i mutamenti sociali.
La seconda sezione esamina il crescente ruolo geopolitico assunto dalle chiese ortodosse a partire dagli anni Novanta. Alcuni recenti studi sociologici e politologici sull’argomentano ricostruiscono la peculiare azione della COR sia come strumento di soft-power per il ministero degli esteri russo sia nello sviluppo di un network tradizionalista transnazionale che favorisce polarizzazioni a livello geopolitico (Stoeckl 2020). Dal quadro emerso, la tipologia dei rapporti tra chiesa e stato in Russia appare distante dal modello della democrazia liberale sperimentato dai paesi a maggioranza ortodossa nell’UE (Leustean 2018).
La terza parte della presentazione studia le specifiche posizioni della COR sull’invasione dell’Ucraina. Secondo queste analisi, la COR mostra di mantenere un rapporto controverso con la modernità, di cui lo stato nazione è uno dei più celebri prodotti, e di prestarsi a continue strumentalizzazione statali in ambito geopolitico. In altre parole, la COR sembra fallire nella sfida di gestire in maniera quanto meno ‘prudente’ una situazione difficile come una guerra d’aggressione perpetrata dal proprio stato, abbracciando invece un fondamentalismo di stampo anti-moderno che conferma quanto argomentato nelle prime sezioni.
La quarta sezione approfondisce ulteriormente il fondamentalismo religioso che sta attraversando la Chiesa Ortodossa Russa inquadrandolo più chiaramente dal punto di vista analitico (Pace 2016). Inoltre, dimostra come in questa parabola fondamentalista la COR stia realizzando, in simbiosi col governo russo, una “geopolitica religiosa” (Sturm 2013) nelle relazioni internazionali e a un’“organizzazione militare religiosa” (Adamsky 2019) nell’ambito strategico.
In conclusione, la presentazione sostiene che il recepimento selettivo da parte della COR di alcuni processi di modernizzazione, e quindi potenzialmente di certi aspetti dell’integrazione europea, potrebbe rinnovare le sue relazioni con lo stato dentro e fuori i confini nazionali, così come rimodulare la sua recente traiettoria fondamentalista e il suo supporto all’invasione dell’Ucraina.
Rotte undocumented verso l'Europa e risposte dal basso. La rete di solidarietà ai migranti sull’isola di Gran Canaria
Luca Giliberti
Università di Parma, Italia
Nell’Europa della “crisi dell’accoglienza” (Rea et al., 2019) i confini emergono in modo sempre più cruciale come un "campo di battaglia" (Ambrosini 2018). Territori attraversati da migranti undocumented si trasformano in contesti di sosta forzata in situazioni di forte vulnerabilità. Le politiche di “proibizionismo migratorio” (Den Heijer, Rijpma e Spijkerboer 2016) non bloccano le rotte migranti, ma le rendono più pericolose e aumentano ferimenti e morti lungo i confini europei. Sui territori di confine europei da qualche anno a questa parte, in modo progressivo, sono emersi gruppi della società civile che si sono auto-organizzati per il supporto ai migranti in difficoltà sul proprio territorio, fornendo loro cura, ospitalità e sostenendone il viaggio, oltre a denunciare le violenze delle politiche migratorie (Giliberti 2020).
La parola “solidarietà” diviene termine comune sia in termini emic – utilizzato costantemente dagli attori protagonisti sui diversi nodi di confine – che etic, al centro di una crescente letteratura interdisciplinare che, all’interno degli studi sulle migrazioni e sulle frontiere, costruisce la prospettiva dei Solidarity Studies (Giliberti, Potot 2021; Birey et al. 2019; Filippi, Giliberti e Queirolo Palmas, 2020; Bauder, 2020; ObsMigAM, 2020). Concetto fondativo della letteratura in scienze sociali a partire dalla riflessione primigenia di Durkheim (1933), poco esplorato negli ultimi decenni (Alexander 2014), diviene una nozione di riferimento nelle contemporanee borderland europee per riferirsi a chi prova a supportare i migranti in transito.
La pandemia, oltre a imporsi come momento costitutivo delle politiche migratorie contemporanee (Giliberti e Queirolo Palmas 2021), ha avuto un ruolo chiave nella ristrutturazione delle rotte migratorie. Negli ultimi anni si assiste a un nuovo protagonismo della rotta atlantica e delle isole Canarie (Spagna) come luogo di approdo partendo da luoghi come Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania, Senegal. La causa principale va ricercata nel processo di impermeabilizzazione del passaggio marittimo del Mediterraneo occidentale durante la pandemia, con la chiusura temporanea di Ceuta/Melilla (Gabrielli 2021).La gestione emergenziale del flusso a Gran Canaria si protrae per lungo tempo attraverso forme di accoglienza improvvisata in accampamenti (“Muelle de la verguenza”), alberghi vuoti per la crisi pandemica, fino all’istituzione di veri e propri “centri di emergenza”.
Di fronte alle condizioni spesso disumane di questi centri e al rischio di deportazione, una parte dei migranti rifiuta la ricollocazione istituzionale, fuoriuscendo dal sistema di accoglienza e restando per strada (Godenau e Zapata Hernández 2022). Come risposta alla importante presenza di migranti undocumented che vive per strada, un segmento ampio e molto eterogeneo della società civile canaria – solo in parte legato ai movimenti sociali locali – si espone in prima persona nell’attività di supporto ai migranti, ospitando a casa propria, comprando i biglietti aerei per la Spagna, fornendo servizi di vario tipo per la causa. Da un lato contro-governance delle mortifere politiche migratorie europee, dall’altro mobilitazione di territorio legata a altre esperienze locali di lotta (Giliberti 2021), le reti di solidarietà divengono risposta dal basso alla crisi dell’accoglienza sulle rotte verso l’Europa, oltre che cartina di tornasole per l’analisi delle migrazioni contemporanee.
Il contributo analizza l’esperienza della solidarietà in una delle rotte alla ribalta nella mobilità undocumented verso l’Europa, esplorando tre elementi chiave: chi sono gli attori solidali, cosa dicono (i discorsi), cosa fanno (le pratiche). La ricerca etnografica sull’isola di Gran Canaria, iniziata nel marzo 2022 e conclusasi nel febbraio 2023, condotta in modo immersivo in diversi soggiorni di ricerca, e accompagnata dalla realizzazione di un documentario etnografico[1], si è avvalsa delle tecniche di osservazione partecipante all’interno dell’universo della solidarietà, oltre che di interviste semi-strutturate a solidali, migranti e abitanti dell’isola.
[1] Main-land, un documentario di José González Morandi, prodotto dal Laboratorio di Sociologia Visuale dell’Università di Genova: https://www.youtube.com/watch?v=b-NgGU-ZORM&t=655s
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