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Sessione 5 - Panel 1: Genere
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Digital Self Representation & Stardom’s images: modelli e pratiche creative di costruzione del genere tramite l’immagine corporea Università Pegaso, Italia - SAE Institute I social media, definibili come tecnologie del sé (Foucault, 1992) o come contesti socio-tecnologici (Boccia Artieri, 2013), sono responsabili, insieme a tutta l’industria culturale, dei cambiamenti che riguardano la costruzione e la circolazione delle rappresentazioni sociali, incluse quelle di genere (tra gli altri Poggio, 2021). Il processo è da intendersi circolare: le auto-rappresentazioni, che prendono la forma di testi, immagini o combinazioni degli stessi, diventano prodotto culturale, determinando, tramite le logiche di gradimento che governano i social, l’affermazione di trend espressivi e di nuovi modelli culturali; al tempo stesso esse sono il risultato del sedimentarsi di immagini condivise precedentemente circolate anche – non solo – all’interno dei social media (Tiggermann, Anderberg 2020). Il genere, collocabile all’interno di questi circuiti comunicativi e risultante di processi condivisi di costruzione sociale (Connell 2002, Poggio 2006, Poggio 2021), trova nel corpo una delle sue principali ‘evidenze’, intese come la parte visibile e oggettivata della rappresentazione stessa. In questo senso, è estendibile alle piattaforme digitali social la definizione di tecnologie di genere proposta da De laurentis (1987). Parafrasando l’espressione utilizzata da West e Zimmerman (1987), per identificare il ruolo dell’azione sociale nella definizione del genere - doing gender – potremmo estendere la stessa al corpo, doing body, per identificare l’importanza degli usi e dei modi di “farsi corpo” nelle relazioni e più in generale nello spazio sociale. Il paper si propone di condividere alcune delle evidenze di una ricerca empirica che ha come principale obiettivo quello di investigare il ruolo delle auto-rappresentazioni delle artiste in ambito musicale sulla rappresentazione di genere della femminilità e sui suoi relativi immaginari. Più nello specifico il lavoro empirico intende verificare a) quali e quanti modelli di icone corporee (Pozzi, 1994) siano presenti nella comunicazione social per immagini, da parte di artiste musicali che occupano la scena italiane b) le ricadute sul percepito e sull’agito di giovani ragazze e ragazzi (18-25), users delle medesime piattaforme. L’impianto metodologico è organizzato intorno a due momenti: l’analisi visuale di 983 post estratti dall’osservazione di 10 profili di artiste italiane pubblicate nell’arco di un periodo di 9 mesi; la conduzione di 40 interviste (20 maschi-20 femmine) con giovani millennials, con foto-stimolo (Faccioli, Losacco, 2013). I risultati del lavoro interpretativo sulle immagini hanno determinato la proposizione di un modello organizzato intorno a due assi: il primo, volto a identificare le strategie di copertura o disvelamento del corpo (cover/discover); il secondo, relativo invece al contesto dell’immagine stessa (stage/backstage). L’analisi delle interviste, ancora in fieri, è finalizzata a testare il modello sulle strategie comunicative intorno al corpo e il sedimentato delle relative rappresentazioni. Già le prime evidenze mostrano il prevalere di letture non sessualizzate e normalizzate, anche dei corpi più esposti, associando a queste strategie significati come quello dell’emancipazione, della libertà di espressione e della piena consapevolezza del proprio corpo. In misura minoritaria, emerge il riconoscimento di un atto di protesta contro il sistema patriarcale. Se questi sono i significati connessi alla lettura della condivisione di questi contenuti visuali da parte dello star system al femminile, differente è la ricaduta sulle pratiche nelle quali il desiderio di aderire a queste icone corporee (Pozzi, 1994) non trova riscontro nelle pubblicazioni sui loro profili per ragioni connesse al pensiero e peso del giudizio esterno, soprattutto della community più vicina (territorialmente). L’analisi delle interviste al sotto-campione maschile ha permesso di testare il peso e i confini del giudizio sociale gendered che pesa sulle strategie comunicative visuali legate al corpo. Crisi del maschile e contro-narrazioni: linguaggio artistico e Critical Studies on Men and Masculinities Università degli Studi di Bergamo, Italia Da fine Ottocento a oggi, in corrispondenza dell’ingresso più evidente delle donne nella scena sociale e, in particolare, nel mondo del lavoro, con posizioni non esclusivamente subalterne - la retorica della “crisi della mascolinità”, in Italia ma non solo, torna ciclicamente (Ciccone 2019; Fidolini 2019; Pacilli 2020): gli uomini si femminilizzano, la loro fertilità è in calo, sono depressi e frustrati - e per questo spesso reagiscono con violenza; per non parlare della scomparsa del ruolo paterno, spesso additata come causa di problematiche sociali. Il luogo comune, ma anche una letteratura ‘popolarmente autorevole’, vuole gli uomini disorientati dalla perdita di ruolo e di identità e minacciati da una sessualità femminile disinvolta e aggressiva. Anziché valorizzare il carattere ambivalente del concetto di crisi - che insieme al rischio del peggioramento dello status quo contiene anche possibilità di cambiamento, trasformazioni, rinascite creative - si dà così spazio a una visione depressiva e ripiegata e si ingloba la vita di ogni singolo maschio nella perdita di efficacia e di senso di un sistema simbolico collettivo (il patriarcato). Solo minaccia, senza potenzialità trasformativa. La categoria della ‘crisi del maschile’ diviene ciclicamente “fonte di spinte revansciste e reazionarie, ispirate alla ricostruzione di un ordine perduto, messo in discussione dalla modernizzazione, dalla secolarizzazione e dall’irruzione di nuove soggettività” (Ciccone 2019: 93). In autori e movimenti che rimpiangono e rivendicano una sorta di identità maschile perduta ricorre l’idea che gli uomini debbano difendersi e tutelarsi rispetto ai cambiamenti. La crisi, così intesa, non solo impedisce il generarsi di nuove narrazioni, ma si conferma anche come antico costrutto discorsivo, funzionale al perpetrare una visione egemonica e gerarchica di maschi e femmine (Burgio 2012). Utilizzarla, dunque, non è operazione neutrale. Invece, moltiplicare frames interpretativi, sguardi, punti di vista, narrazioni, immaginari... apre possibilità di pensiero nuovo e pratiche trasformative. Particolarmente euristiche sono quelle visioni che, coltivando nuove prospettive, si colorano di guadagni e vantaggi (non solo di perdita di potere) anche per i maschi, se pur non a scapito di altre soggettività - donne, maschilità non egemoni, altre minoranze -, se pur senza assicurarsi “dividendi patriarcali” (Connell 1995, 2006) impliciti. Sviluppare e ampliare modelli e categorie interpretative mette a disposizione dei soggetti, maschi e femmine, rappresentazioni diversificate del momento presente (e futuro). La quantità, ma soprattutto la qualità delle forme per esprimere l’esperienza maschile oggi incide sull’esperienza stessa del cambiamento e sulla sua percezione, se è vero che anche l’inadeguatezza delle categorie esistenti contribuisce al fatto che le reazioni maschili al cambiamento socialmente più visibili assumono forme involutive (Cannito et al. 2021). Da questo punto di vista ritengo che più del logos accademico, in crisi di creatività (Manzotti 2023) aiutino i linguaggi artistici; per questo è interessante prendere in considerazione, come possibili buone pratiche, alcuni esempi di intreccio tra riflessione critica sulle maschilità e forme creative di ricerca e disseminazione dei risultati. Innanzitutto, una duplice collaborazione tra una ricercatrice e un’illustratrice/performer concretizzatasi in un libro poi trasformato in un video, per rendere tridimensionale l’esperienza di spaesamento di un maschio ‘fuori tempo’ e del suo viaggio di scoperta di sé attraverso immagini pluriverse e contro-narranti (Bamberg 2004). Poi, una performance teatrale che suggerisce un percorso a maschi e femmine (adolescenti ma anche adulti) che porta oltre la sola denuncia della cosiddetta ‘maschilità tossica’ (Kupers 2005; Botto, Filippi 2022), per esplorare realtà antiche, ma anche eu-topicamente (Jedlowski 2017) future e possibili, di mondi gilanici (Eisler 1987), dove il dominio è sostituito dalla mutualità, la gerarchia dall’uguaglianza (hooks 2022). Maschi, femmine e soggettività non binarie, insieme. E dove accademia e creatività collaborano per accogliere crisi e metamorfosi (Beck 2017) come occasioni ri-generative. Come nascono gli stereotipi di genere ed età legati all’uso delle tecnologie digitali? Un viaggio esplorativo nelle convinzioni degli/delle italiani/e 1Sapienza, Università di Roma, Italia; 2Università LUMSA (Roma, Italia); 3Universitat Oberta de Catalunya (Barcellona, Catalogna, Spagna) Questo paper affronta il problema del sexism e dell’ageism nel campo delle ICT da un’angolatura specifica. Esso dà conto del tentativo di “spacchettare” gli stereotipi di genere ed età relativi all’uso delle tecnologie digitali, ricostruendo a ritroso i processi che spesso portano a stigmatizzare le donne e le persone anziane come poco competenti o disinteressate alla tecnologia, e gli uomini e i/le giovani come esperti/e o più inclini ad essa (Comunello et al., 2017, 2022). L’obiettivo è comprendere come nascono e si consolidano tali stereotipi, e da quali retoriche e cornici interpretative sono caratterizzati. Il quadro teorico attinge alla letteratura su gender e ICT (Van Oost, 2003; Ganito, 2010; Krijnen & Van Bauwel 2021, tra altri/e) e a quella su generazioni e ICT (Domínguez-Rué & Nierling, 2016; Barbosa Neves & Vetere, 2019; Peine & Neven, 2021, tra altri/e), includendo contributi relativi al gender essentialism (Rangel & Keller, 2011; Brescoll et al. 2013, tra altri/e) e all’age essentialism (Viterbo, 2021; Weiss et al., 2019 tra altri/e) in quanto fenomeni che retroalimentano stereotipi e discriminazioni. Nel disegnare la ricerca, abbiamo privilegiato una metodologia qualitativa che garantisse l’interattività necessaria a esplorare le dimensioni più resistenti degli stereotipi di nostro interesse e la loro matrice. Nello specifico, il focus group online sincrono ha permesso di cogliere atteggiamenti, opinioni e credenze dei/delle partecipanti nel dispiegarsi delle loro interazioni (Stewart & Shamdasani, 2015). Ne abbiamo condotti sei, con persone italiane di genere maschile e femminile appartenenti a due coorti di età lontane nel tempo (20-30 e 65-75 anni). Per ogni fascia di età, abbiamo composto un gruppo di sole donne, uno di soli uomini e uno misto, per cogliere dinamiche di complicità/contrasto tra i generi. Nella selezione dei/delle partecipanti, abbiamo incluso persone provenienti da contesti urbani e non urbani del Nord, Sud e Centro Italia, in modo da rispecchiare la diversità dei setting socioculturali in cui le pratiche d’uso delle ICT prendono forma. La traccia della discussione prevedeva tre stimoli.
Dall’analisi delle conversazioni emergono forti stereotipi di genere e di età relativi sia alle pratiche d’uso dei media digitali, sia alle carriere di studio o lavoro scientifico-tecnologico. I/Le partecipanti tendono a spiegare tali stereotipi in termini prevalentemente essenzialisti: certi tratti psico-fisici (es., forma mentis, livello di sensibilità, fisiologia o plasticità cerebrale) distinguerebbero le donne dagli uomini, e le persone anziane da quelle giovani, secondo una sovrageneralizzazione che riduce le diverse propensioni e scelte o i diversi livelli di competenza a meri dati biologico-genetici o a quella che viene considerata l’essenza naturale di ciascun gruppo sociale. Riguardo al genere, tuttavia, alcuni/e partecipanti riconoscono la matrice socioculturale del sexism nel campo scientifico-tecnologico, provando così a contrastare le derive essenzialiste delle conversazioni. Non può dirsi altrettanto rispetto all’età: nessuno/a tratta l’ageism come costrutto socioculturale. Questa differenza deriva, probabilmente, dalla diversa visibilità che il dibattito pubblico dà alle disuguaglianze di genere e d’età: il lavoro di sensibilizzazione sulle prime, che ha permeato il senso comune, è mancato in relazione alle seconde, al punto che la discriminazione delle persone anziane è pressoché naturalizzata. Tuttavia, gli stessi discorsi sul genere dei/delle partecipanti dimostrano che promuovere consapevolezza circa le disuguaglianze non è comunque sufficiente a decostruire a monte gli stereotipi. Giovani che (si) raccontano: transizioni, identità e differenze University of Salerno, Italia La gioventù rappresenta un momento cruciale del “corso di vita” (Cavalli, 1997; Saraceno, 2001; Spanò, 2019), contraddistinto da una pluralità di transizioni, strategie di adattamento, forme di relazione e identità (Facchini, 2005; Pitti e Tuorto, 2021). Lungo il processo di crescita dei giovani, l’intreccio di questi fattori genera situazioni di paura, smarrimento e sfiducia, ed è talvolta attraversato da esperienze di marginalità e disagio sociale. Assumendo come elemento cardine la complessità che caratterizza il vissuto giovanile, il presente paper analizza parte dei risultati dell’approfondimento svolto in Italia nell’ambito del progetto A.S.K.(ING) YOU(TH). Developing Competencies for CreativeYouth work Practice, finanziato dal Programma Erasmus+ e condotto da un gruppo di ricerca dell’Università di Salerno, partner italiano del progetto. L’obiettivo generale del progetto è quello di utilizzare la scrittura creativa per esplorare i vissuti giovanili, al fine di offrire a chi lavora con (e per) i giovani in contesti educativi non formali (youth workers), le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per “guidare” i processi educativi e di socializzazione dei giovani (Schild et al., 2017; Morciano, 2021; Ord et al., 2022), in particolare in quei contesti caratterizzati da condizioni di marginalità e svantaggio sociale. Il progetto ha coinvolto scrittori, youth workers e ricercatori di tre paesi: Italia, Malta e Slovenia. Per ciascun Paese, il progetto ha previsto la raccolta di scritture creative prodotte da scrittori professionisti, giovani scrittori amatoriali e youth workers, ciascuno chiamato a narrare e descrivere la propria rappresentazione della giovinezza. Per l’Italia sono state raccolte un totale di 12 storie: 7 prodotte da giovani scrittori amatoriali, 2 prodotte da scrittori professionisti e 3 da youth workers. I racconti sono stati analizzati attraverso un’analisi di contenuto realizzata attraverso una scheda di rilevazione condivisa con i partner del progetto. A partire dai più ampi risultati ottenuti dall’analisi dei racconti, il paper dedica attenzione specifica alla rappresentazione della complessità dei percorsi di transizione che caratterizzano l’esperienza dei giovani, evidenziando, in modo particolare, gli aspetti legati al modo in cui la diversità e le disuguaglianze sociali incidono sulla narrazione della costruzione biografica e dell’esperienza dei giovani. La scelta di concentrarsi su questo aspetto deriva dall’importanza che gli viene attribuita nei racconti degli scrittori italiani, nei quali i concetti di diversità, marginalità e inclusione sociale si muovono spesso in modo parallelo. A partire da questo elemento di fondo, le 12 scritture creative si soffermano su temi quali il rapporto con il proprio corpo, la disparità e le identità di genere, il pregiudizio sociale, la rivendicazione dell’autonomia lungo processi di riaffermazione di sè. Per ciascun tema emerso, nel corso del paper saranno presentati degli estratti dei racconti che descriveranno le evidenze principali, come, ad esempio, la poca autostima di chi non si sente in linea con i canoni estetici dominanti, il condizionamento sociale che deve affrontare chi si appresta ad intraprendere un percorso di transizione o l’intreccio tra disparità di genere e differenze etniche. L’analisi dei racconti ha evidenziato che, per gli scrittori italiani coinvolti nel progetto, il bisogno e la necessità di diffondere il valore e il riconoscimento della diversità costituiscono elementi non negoziabili. Ne risulta, per chi lavora con i giovani, la necessità di tenere primariamente in considerazione il potenziale che la diversità può esprimere, ovvero il bisogno di individuare strumenti e strategie capaci di cogliere la complessità delle vite dei giovani e pianificare interventi capaci di favorire l’inclusione dei giovani “ai margini”. La digital disconnection come disvelamento delle diseguaglianze di genere e delle forme di squilibrio di potere tra le giovani generazioni in Italia Sapienza Università di Roma, Italia Numerosi studi evidenziano come la relazione degli utenti con le tecnologie e le piattaforme digitali renda visibili, talvolta amplificandole, numerose forme di diseguaglianze sociali e di squilibrio di potere (Zuboff, 2015; Beer, 2017; Kirkpatrick, 2017). Ad oggi, tuttavia, risultano poco esplorate le forme di diseguaglianza che emergono quando gli utenti decidono di prendere le distanze da tecnologie e piattaforme digitali attorno alle quali si strutturano gli attuali modelli di società occidentale. Le pratiche di digital disconnection sono sempre più diffuse (Lomborg, Ytre-Arne, 2021) e si situano in una tradizione di forme di resistenza mediale e tecnologica (Syvertsen,2017; 2022; Kaun, Trere, 2020). Questo esperienze evidenziano una capacità di agency maturata dagli utenti nei confronti delle tecnologie digitali e delle piattaforme. Anche nel contesto della digital disconnection, tuttavia, possono evidenziarsi forme di diseguaglianza, quando queste pratiche coinvolgono utenti di genere diverso. Diversi studi hanno già evidenziato come la digital disconnection venga attuata in modo diverso da utenti di diverso genere (Franks et al., 2018; Nguyen, 2021), ma non è stato ancora messo in luce se e in che termini queste differenze si traducano in (o amplifichino) diseguaglianze presenti nella società o ne aggiungano di nuove. Obiettivo: Il contributo esplora le differenze di genere che emergono durante un’esperienza di “smartphone deprivation” vissuta da giovani utenti italiani. Lo studio, focalizzandosi sulle differenti concettualizzazioni dell’esperienza e sullo squilibrio di potere che ne emerge, è guidato dalle seguenti domande di ricerca: RQ1: Ci sono differenze di genere nelle esperienze di digital disconnection? RQ2: Quali significati assume l’idea, condivisa dai partecipanti, di un “ritorno all’autenticità”? Ci sono differenze tra i ragazzi e le ragazze? RQ3: Quali forme di squilibrio di potere emergono in riferimento alle diverse relazioni che ragazzi e ragazze instaurano con e attraverso le tecnologie digitali? Metodo: In uno studio qualitativo, 57 studenti italiani, 35 femmine e 22 maschi dai 13 ai 25 anni, hanno partecipato ad un’esperienza di privazione dello smartphone per 7 giorni, compilando un diario (Milligan & Bartlett, 2019), i cui testi sono stati sottoposti a thematic analysis (Braun & Clarke, 2012) Risultati. I principali temi emersi dall’analisi sono: 1. Aspettative e speranze legate all’esperienza di digital disconnection Complessivamente, i partecipanti considerano la privazione dello smartphone come una forma di “ritorno all'autenticità”. I ragazzi tendono a percepirlo come un’occasione per “immergersi nella natura”, “vivere le relazioni in modo più profondo” e tornare a un’epoca “pre-tecnologica”. Le ragazze, invece, percepiscono l’esperienza come una liberazione da “catene” relazionali. “Rinunciare allo smartphone e ai social sarà anche una liberazione da tutte le persone che dovranno contattarmi e sapranno di non poterlo fare. Per esempio, mio padre e mio fratello mi chiedono sempre dei favori” (R19f), “Probabilmente, mi sentirò molto più rilassata e libera nelle mie azioni” (GC17F). 2. Sentirsi sicuri vs sentirsi al sicuro Durante l’esperienza di privazione dello smartphone, i ragazzi hanno percepito un aumento della fiducia e una maggiore sicurezza in se stessi, mentre le ragazze hanno percepito una sensazione di pericolo e insicurezza nei confronti del mondo esterno. Durante la settimana di disconnessione, molte ragazze hanno addirittura rinunciato a uscire la sera: “mi preoccupa anche il fatto di dover uscire, per esempio con il cane, da sola senza avere un modo per chiamare qualcuno in caso di pericolo” (B19f). 3. Divenire consapevoli di comportamenti controllanti veicolati dalle tecnologie La settimana di disconnessione ha condotto molti ragazzi a prendere coscienza del proprio atteggiamento controllante: “(la mia ragazza) è isterica per questa cosa dello smartphone... Dice che non voglio chiamarla. Le ho fatto leggere la mail della professoressa... È strano per me vederla così insicura; prima quello che controllava ero io” (P19 m). |