Le crisi degli ultimi decenni hanno dimostrato che la vulnerabilità è in aumento a causa delle trasformazioni socioculturali e naturali. Tenendo conto della definizione delle Nazioni Unite, si può anche affermare che in determinati periodi storici alcune fasce di popolazione – già considerate vulnerabili (poveri, disabili, migranti, bambini, anziani e giovani) – lo siano di più. Gli effetti delle crisi, infatti, non sono identici per tutti gli individui e i gruppi, e ciò non solo per il livello di coinvolgimento (diretto o indiretto) ma anche per la capacità dell’individuo e della società di resistere ai loro effetti negativi attraverso azioni resilienti.
Se una cosa ci ha insegnato la pandemia da SARS-CoV-2 è che le ferite collettive richiedono strategie collettive per uscire dalla condizione di crisi o di emergenza. Ma per ferite collettive non si possono considerare sono quelle dovute a pandemie o disastri (emergenze) ma anche tutte quelle che si registrano con l’ampliamento del divario delle disuguaglianze che porta sempre più parti di popolazioni, in gran parte del mondo, al di sotto della cosiddetta soglia di povertà. Assegnare un ruolo centrale alla partecipazione, alla mobilitazione e all’empowerment della comunità (con tutte le sue componenti), fare ricorso a risorse “compatibili” culturalmente reperite nei luoghi in cui questi fenomeni si verificano significa agire a livello individuale, familiare, e sociale.
Il maggiore problema post-pandemico non sarà, dunque, tornare a una pseudo ‘normalità’, ma sarà ridisegnare un nuovo sistema dei bisogni tale che non si debba più scegliere tra rilanciare l’economia e salvare vite umane (si vedano gli effetti della pandemia). Ciò richiede un cambio di paradigma della lettura dei mutamenti della società che deve essere attuato. Probabilmente non è un caso che alcuni movimenti e associazioni si siano mobilitate per una “società della cura” dove il riferimento alla cura non è solo legato alle condizioni di salute ma al benessere generalizzato dell’individuo come membro di una comunità.
Questi elementi rappresentano il filo conduttore del panel e si ritrovano − in maniera più o meno esplicita − nelle relazioni che seguono una logica a “imbuto”, dal più generale ai casi specifici. La relazione, Per una cultura della solidarietà sociale nel paradigma della crisi, si focalizza sulla solidarietà sociale all’interno del paradigma della crisi evidenziando l’eventuale presenza di pratiche creative all’interno delle realtà di terzo settore e ONG impegnate in attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Le pratiche connesse alla cura dei migranti sono anche oggetto della relazione, Crisi dell’accoglienza e cura. Corpi migranti tra narrazioni e pratiche di resistenza, che attraverso la narrazione dei migranti cerca di andare oltre la retorica dominante trasformando i “corpi migranti” (oggetti di cura) in portatori di istanze storico-sociali, politiche e culturali in grado di produrre forme di resistenza e risposte alla crisi umanitaria che contraddistingue il fenomeno migratorio.
Il persistente stato di crisi ha anche accentuato le trasformazioni e le difficoltà delle famiglie e delle loro funzioni principali, aspetti affrontati nelle altre due relazioni: la relazione, Le trasformazioni della famiglia e una nuova cultura dell’abitare in tempo di crisi, partendo dalle trasformazioni delle famiglie, affronta le problematiche connesse alle nuove e differenti forme dell’abitare che si presentano come mutamento culturale. La relazione, Famiglie e pratiche di cura tra le generazioni in Italia: opportunità e sfide dopo la crisi pandemica, infine, prendendo in esame i dati della Wave 8 di SHARE, Corona Survey 1 e 2, relativi al contesto italiano, si concentra su come i caregiver e i beneficiari di assistenza che vivono in casa hanno affrontato la situazione. L'obiettivo è capire come la pandemia abbia cambiato l’esperienza di cura all'interno della famiglia, tra le generazioni e oltre (parenti e non parenti).
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PER UNA CULTURA DELLA SOLIDARIETA' SOCIALE NEL PARADIGMA DELLA CRISI
Mattia Zunino - Luiss di Roma
Incertezza e sfiducia rappresentano sempre di più due degli elementi costitutivi del nostro tempo, così come la sensazione di vivere in un periodo storico in cui gli eventi sono ricondotti alla sorpresa e alla preoccupazione che è tipica degli imprevisti. Prima la crisi sociosanitaria generata dalla pandemia da covid-19, poi le conseguenze della Guerra in Ucraina, hanno contribuito a catalizzare e rafforzare la tendenza, già largamente presente, di declinare l’azione politica non come conseguenza di una scelta tra diverse opzioni, ma come azione tecnica priva di alternative che si rende necessaria in ragione dello stato di emergenza. In questo processo di depoliticizzazione le narrazioni di eccezionalità e complessità della situazione fungono da giustificazione per l’intervento di un élite tecnocratica per la quale, spesso, il fine giustifica i mezzi. Si tratta di una dinamica che, spesso a prescindere da una dimensione valoriale definita, tende a sacrificare il principio di corresponsabilità della scelta politica.
In questo contesto va sviluppandosi un dualismo rilevante. Da una parte gli attori tradizionali della partecipazione politica appaiono sempre di più come soggetti subalterni al processo descritto e, troppo spesso, si rivelano quindi incapaci di proporre un modello alternativo tanto in termini valoriali quanto in termini creativi di un pensiero che sia capace di ipotizzare un diverso mondo possibile. Dall’altra parte, sempre più spesso, assistiamo a iniziative che sembrano andare in una direzione diversa: pratiche di cittadinanza partecipativa, organizzazioni del mondo del volontariato, dell’associazionismo, del terzo settore, a livello territoriale e non solo, che, riscoprendo la dimensione del conflitto, vanno mettendo in atto una sorta di “resistenza” che può essere ricondotta alla dimensione della solidarietà sociale all’interno della quale il principio di corresponsabilità, qui inteso come il processo del farsi carico delle conseguenze delle proprie azioni nel tempo e nello spazio, costituisce uno degli elementi centrali.
L’obiettivo che si propone questo paper è quello di indagare la dimensione della solidarietà sociale all’interno del paradigma della crisi e, in particolare, di evidenziare l’eventuale presenza di pratiche creative capaci di spingersi oltre lo schema dominante che tende a sacrificare il principio di corresponsabilità dell’azione in ragione di una risposta emergenziale allo stato di crisi. Per farlo saranno approfondite due prospettive. Da una parte quella delle ragioni che spingono i soggetti a impegnarsi in attività e pratiche riconducibili alla dimensione della solidarietà sociale dall’altra quella del processo comunicativo messo in atto da organizzazioni collettive attive nel terzo settore e in iniziative di carattere umanitario. A questo scopo saranno assunte come casi oggetti di studio alcune realtà italiane del terzo settore e organizzazioni non governative impegnate in attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. L’analisi sarà condotta attraverso interviste semi strutturate a volontari e attivisti e mediante un processo di analisi del contenuto della comunicazione ufficiale prodotta.
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CRISI DELL'ACCOGLIENZA E CURA. CORPI MIGRANTI TRA NARRAZIONI E PRATICHE DI RESISTENZA
Giovanna Russo – Università degli Studi di Bologna
Analizzare il fenomeno migratorio come processo strutturale ed epocale la cui importanza va oltre la dimensione quantitativa, è da tempo un dato acquisito anche all’interno della società italiana. L’immigrazione di cittadini provenienti da Paesi Terzi è ormai anche nel nostro paese una “migrazione di popolamento” (Idos, 2022) che acquisisce anno dopo anno una crescente visibilità sociale ed innesca, inevitabilmente, nuove modalità di relazione tra l’immigrato e le Istituzioni deputate all’accoglienza, alla cura e all’integrazione nel tessuto socio-culturale locale.
L’analisi del fenomeno migratorio diviene inoltre ancora più significativa se inquadrata nel contesto di riferimento in cui si svolge, ovvero un mondo segnato dalla pandemia globale da un lato – quella stessa che ha messo in ginocchio le economie più fragili e provocato crisi profonde nei sistemi sociali, economici, culturali dei cosiddetti Paesi moderni avanzati – (tra cui anche l’Italia), a cui si è poi sovrapposta – dall’altro – una sanguinosa guerra di invasione alle porte orientali del Vecchio Continente che ha «prodotto 6 milioni di sfollati interni e inondato il continente di 10 milioni di profughi soltanto in parte rientrati in patria» (Di Sciullo, 2022: 12). Dunque un contesto segnato da una generalizzata consapevolezza della dimensione quotidiana del rischio con relative implicazioni individuali e collettive (Beck, 2000; Mangone, 2021), che si inserisce appieno nel più ampio framework della crisi, ritenuta ormai la dimensione sistemica più diffusa del nostro vivere sociale (Davis, 2019).
In quest’ottica è possibile rileggere le politiche migratorie e l’efficacia dei meccanismi di accoglienza e di integrazione che non sempre si sono trasformate in buone prassi, realizzando una sorta di trattamento discriminatorio istituzionalizzato verso i corpi migranti fatto di accoglienza “selettiva” piuttosto che di accettazione diffusa. L’attenzione ai corpi migranti pone l’accento sulla conoscenza fisica, sulla materialità del corpo come prospettiva privilegiata di indagine della soggettività migrante, sulla loro dislocazione forzata nei borderscape – paesaggi di confine; nei termini di Wilcox (2015) – e sui dispositivi di controllo della migrazione. La scelta del corpo permette di focalizzare non tanto (non solo) lo statuto di “non-persone” (Dal Lago, 2004), o di vite di scarto” (Bauman, 2005) solitamente correlato alla narrazione mediatica dei migranti, bensì il suo essere portatore di istanze storico-sociali, politiche e culturali determinate in grado di produrre forme di resistenza e risposte alla crisi umanitaria che da sempre contraddistingue il fenomeno migratorio.
Per l’analisi di tali dinamiche il paper si basa su una indagine qualitativa svolta sul campo nel 2019 (tramite lo svolgimento di 30 interviste semi-strutturate), relativa alle prassi interne ai centri Hotspot italiani (luoghi adibiti all’identificazione e allo smistamento dei migranti, collocati prevalentemente in Sicilia e Puglia) a cui si affianca l’analisi di resoconti di associazioni e organizzazioni di monitoraggio della migrazione collocati nel Centro Nord Italia. Alla base l’idea di andare oltre la retorica dominante che consente la trasformazione dei corpi migranti in oggetti di cui disporre liberamente, verso un nuovo orizzonte di “promozione della vita” (Wilcox, 2015).
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LE TRASFORMAZIONI DELLA FAMIGLIA E UNA NUVOA CULTURA DELL'ABITARE IN TEMPO DI CRISI
Francesca Cubeddu - Università degli Studi di Roma Tre
In Italia si sta assistendo, secondo i dati Istat, a una crescita del numero delle famiglie, a causa dell’aumento dei nuclei singoli e monoparentale. Sono aumentate nel biennio 2020/2021 le persone che vivono sole, coppie non coniugate, famiglie riconosciute, famiglie composte da un nucleo con un solo genitore e figli, ma anche le persone che vivono in famiglie senza nucleo o famiglie estese: nuove forme famigliari (dati Istat, 2022), che contano al 2020/2021 9.402, rispetto alle 7.157 del 2010/2011. Un mutamento sociale che identifica un mutamento culturale, della stessa famiglia e anche un mutamento della forma di abitare. La condizione delle famiglie in Italia, analizzando i dati Istat, incentivata dalle crisi economiche e dalla emergenza sanitaria da Covid-19 ha comportato, un peggioramento della condizione di vulnerabilità e di povertà.
Dal 2019 al 2022 vi è stato un aumento della popolazione in condizione di povertà per via della recessione economica, data dalla perdita del lavoro e dalla chiusura di molte attività. Inoltre, la popolazione italiana è sempre più anziana e si ha sempre di più l’esigenza di non vivere sole. Difatti, anche come dimostrano i dati sono sempre di più le persone anziane che coabitano con altre famiglie o con altri nuclei. Così come le persone più giovani o le persone immigrate che decidono di trovare altre soluzioni abitative. Un processo di mutamento della cultura dell’abitare in cui per esigenza non solo abitativa ma anche economica e sociale. Nuclei che per necessità ed impossibilità economica vivono in un’unica abitazione mostrando come lo stesso concetto di abitare muti per via di un mutamento socioculturale dei soggetti. Sono diverse oggi le modalità di abitare che si sono andate costituendo, anche riconosciute giuridicamente. Nuove soluzioni abitative alternative e nuove forme di convivenza, fra le quali l’Housing Sociale, un’edilizia residenziale sociale. Fra le altre forme esistono e si stanno diffondendo in Italia situazioni come il cohousing, la coabitazione solidale, i condomini solidali e la coabitazione giovanile. Diverse forme di abitare che si stanno diffondendo nelle diverse città in Italia. Un esempio è la piattaforma, promossa dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, dedicata alla ricerca delle soluzioni abitative di emergenza e temporanee, nello specifico di Housing Sociale e di edilizia residenziale sociale. Sono esempi di emergenti culture abitative espressione della nuova situazione sociale.
L’intervento vuole esaminare le nuove forme abitative presenti in Italia esaminando quelle che sono le problematiche sociali e economiche, effettuando anche un’analisi secondaria dei dati.
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FAMIGLIE E PRATICHE DI CURA TRA LE GENERAZIONI IN ITALIA: OPPORTUNITA' E SFIDE DOPO LA CRISI PANDEMICA
Marta Scocco - Università degli Studi di Macerata
Il caregiving è un'esperienza di vita associata all'invecchiamento e ai ruoli di genitori e figli adulti. La natura della relazione tra i caregivers familiari, professionali e il destinatario dell'assistenza è incorporata nella loro interazione e nelle complesse dinamiche influenzate da variabili interne ed esterne che inibiscono o facilitano la condizione di assistenza.
Con uno sguardo più ampio, il modo in cui una società si prende cura dei suoi familiari ne riflette i valori più intrinsechi. In Italia, la famiglia attraverso il processo di socializzazione, continua a modellare i ruoli di caregiving, ad insegnare abilità di caregiving ai suoi membri, come anche atteggiamenti di responsabilità per la cura di parenti e non parenti. Tuttavia, il cambiamento sociale ha modificato profondamente la natura del caregiving stesso. Le variazioni nella demografia della popolazione, nella tecnologia medica e nella definizione stessa di famiglia, più ampia, hanno creato un crescente bisogno di caregiver multi-qualificati e specializzati.
In questo contesto, l'emergenza pandemica ha evidenziato ulteriormente le lacune di un sistema globale, in cui le diseguaglianze sociali tendono a crescere in maniera esponenziale, sottolineando, soprattutto in Italia, quanto siano rilevanti i legami e le relazioni familiari nella cura e nel sostegno dei membri. Secondo i dati ISTAT pubblicati nel 2018, sono più di 7 milioni (pari a circa il 15% della popolazione) gli italiani impegnati nel caregiving informale, a favore cioè di propri familiari. La maggior parte ha più di 50 anni, uno su cinque più di 60.
Dall'inizio del 2020, le relative misure di controllo epidemiologico emanate in tutto il mondo hanno fortemente influenzato il benessere dei cittadini europei in termini economici, sociali e sanitari. I contatti sociali, le interazioni, la possibilità di fornire assistenza agli altri e di ricevere assistenza da persone al di fuori della propria famiglia sono stati interrotti.
Sembra quindi più che mai interessante interrogarsi su quali sono le principali conseguenze apprese dall'esperienza pandemica in Italia. Quale idea di cura all'interno delle famiglie italiane? Quali relazioni tra le generazioni (anziani che aiutano i genitori con i bambini e gli adulti che aiutano i loro genitori)? Questo modello è ancora sostenibile o è auspicabile ridisegnare un nuovo sistema dei bisogni? Quali sono le principali sfide e opportunità post-pandemiche?
Il presente lavoro, prendendo in esame i dati della Wave 8 di SHARE, Corona Survey 1 e 2, relativi al contesto italiano, si concentra su come i caregivers e i beneficiari di assistenza hanno affrontato la situazione. L'obiettivo è capire come la pandemia abbia cambiato l'esperienza di cura all'interno della famiglia, tra le generazioni e oltre (parenti e non parenti). I risultati emersi mostrano la complessità e l'entità dell'onere fronteggiato dai caregivers familiari e dai beneficiari dell'assistenza in relazione alle conseguenze indesiderate delle misure di controllo epidemiologico relative alla Covid-19, ma anche aspetti specifici riguardanti le strategie di assistenza intergenerazionale.