Trasformazione della struttura familiare in Puglia. Indagine socio-demografica e prospettive future.
Raffaella Rubino
Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Italia
Le trasformazioni sociali e culturali avviate negli ultimi trent’anni hanno condizionato profondi cambiamenti nei processi di formazione della famiglia occidentale. Tale processo risente del rinvio delle tappe (uscita dalla famiglia di origine, formazione dell’unione, arrivo del primo figlio) e dell’emergere di nuove forme di vita familiare. Sono in aumentano le traiettorie incomplete e quelle caratterizzate da unioni libere o da periodi di vita autonoma e i percorsi di formazione della famiglia risultano più diversificati di un tempo.
L’analisi prende le mosse dai dati Istat che permettono di ricostruire l’ossatura del presente contributo attraverso la disponibilità di un patrimonio informativo ricco su individui e famiglie e sulle ricostruzioni territoriali delle Regioni italiane. Tuttavia, la complessità della lettura dei fenomeni demografico-sociali e il loro intreccio hanno reso indispensabile ricorrere anche allo sfruttamento di altre fonti esaustive. Tenendo conto dei principali indicatori demografici di nunzialità e fecondità internazionali e nazionali, l'indagine intende fornire informazioni sulle trasformazioni familiari in Puglia al fine di supportare politiche propositive rivolte ad una tipologia “nuova” di famiglia.
In Italia durante gli ultimi vent’anni, al numero di famiglie progressivamente aumentato è corrisposta una progressiva riduzione della dimensione familiare, con un aumento delle famiglie unipersonali e una contrazione di quelle numerose. L’ampiezza familiare media è attualmente di 2,3 componenti a fronte dei 2,6 componenti che costituivano la famiglia appena vent’anni fa, e le famiglie unipersonali, che oggi rappresentano un terzo del totale delle famiglie (il 33,2%), sono cresciute di quasi 10 punti rispetto al periodo 2001-2002 (24%). D’altra parte, anche le famiglie numerose – ovvero quelle con cinque o più componenti – che oggi rappresentano poco più del 5% del totale, hanno mostrato un sensibile calo passando dal 7,1% del biennio 2001-2002 all’attuale 5,1%.
La regione Puglia registra una dimensione media dei componenti di 2,5 leggermente superiore rispetto al dato nazionale (2,3 componenti). In Puglia la quota di famiglie unipersonali rappresenta quasi un terzo della popolazione, registrando – insieme alle altre regioni del Sud – un incremento maggiore rispetto alle regioni del Centro e del Nord Italia. Mentre, la quota più alta di famiglie con almeno cinque componenti si regista al Sud (6,4%), ma è in diminuzione.
La gran parte delle famiglie pugliesi è formata da un unico nucleo familiare. Si tratta soprattutto di coppie con figli (55,7%) e di coppie senza figli (29,5%). Raggiunge circa il 15% la quota delle famiglie formate da un nucleo monogenitore. Le famiglie senza nucleo rappresentano complessivamente il 30% del totale e sono costituite per la quasi totalità da persone che vivono da sole. Le famiglie composte di due o più nuclei restano una tipologia residuale.
I dati Istat anticipano una marcata trasformazione della struttura familiare sia in termini di struttura che di dimensione. Il confronto tra la popolazione al 2021 e quella prevista al 2041, mostra i cambiamenti demografici e sociali che si prevedono nei prossimi venti anni. Il calo delle famiglie con nuclei deriva dalle conseguenze di lungo periodo delle dinamiche socio-demografiche in atto: l’invecchiamento della popolazione, con l’aumento della speranza di vita, genera infatti un maggior numero di persone sole; il prolungato calo della natalità incrementa le persone senza figli, mentre l’aumento dell’instabilità coniugale, in seguito al maggior numero di scioglimenti di legami di coppia, determina un numero crescente di individui e genitori soli.
Il contesto pugliese presenta specificità e caratteristiche che ci suggeriscono di osservare nuovi modelli familiari. Tale scenario pone una serie di sfide alle politiche di sviluppo locali e regionali di tipo innanzitutto culturale e sociale. Superare il paradigma emergenziale potrebbe significare osservare il mondo che ci circonda in modo nuovo, senza rispondere a crisi con crisi.
Genitorialità invisibile, genitorialità intensiva: un’analisi delle pratiche famigliari nelle famiglie omogenitoriali
Giulia Selmi
Università di Parma, Italia
Questo articolo esplora il processo del ‘fare e disfare’ (doing e undoing) l’identità e i legami familiari delle famiglie omogenitoriali in Italia dalla prospettiva delle pratiche familiari (Morgan 1996, 2011; Bertone e Satta 2021), inquadrando cioè la genitorialità come un processo quotidiano che emerge dall'interazione sociale piuttosto che l'assunzione di un ruolo o come esito di un processo di sviluppo individuale. Superando un approccio comparativo che analizza le differenze e le somiglianze tra famiglie composte da persone omosessuali e quelle composte da persone eterosessuali in termini di funzionamento o struttura, questa prospettiva permette di spostare l'attenzione sulle pratiche quotidiane attraverso le quali i genitori dello stesso sesso costruiscono la propria identità genitoriale in relazione al partner e alla prole, ma anche agli altri significativi quali le famiglie di origine, gli amici e i conoscenti, e i/le professionisti/e, soprattutto nei servizi educativi e sanitari (insegnanti, medici di base, pediatri, ostetriche, eccetera).
Questo processo di ‘fare famiglia’ è sempre situato e, nel caso italiano, deve fare i conti con due vincoli specifici, sia socioculturali che materiali: da un lato, il fatto che ‘l'eterosessualità obbligatoria’ (Rich 1980) continua a essere ciò che definisce la "normalità", delimitando i confini di appartenenza e di esclusione dalla nozione stessa di famiglia (Richardson 2000). Dall'altro, la struttura eteronormativa delle relazioni famigliari si riflette nella legge: i legami di filiazione tra genitori non eterosessuali e i loro figli non sono pienamente riconosciuti, e il genitore senza legami biologici non ha né diritti né doveri.
In questo contesto, i genitori dello stesso sesso e i loro figli devono navigare quotidianamente in uno scenario complesso e ambivalente, negoziando visibilità e invisibilità, talvolta persino esistenza e inesistenza, sia in termini relazionali che legali. Come sottolinea Gabb (2011), il processo di rendere visibile e intellegibile la propria famiglia attinge alle narrazioni familiari disponibili, incorporate nelle rappresentazioni dominanti di ciò che è famiglia che circolano nell'ambiente sociale. Questo articolo analizza i processi di ‘family display’ (Finch 2007) di 16 famiglie omogenitoriali di prima costituzione, ovvero con figli generati all’interno della coppia, ed esplora il modo i genitori si rendono visibili in diversi contesti sociali e relazionali (ad esempio, i servizi educativi per la prima infanzia, il pediatra, eccetera), sfidando i vincoli specifici dell'Italia ed elaborando strategie di resistenza per rivendicare il riconoscimento. Le narrazioni dei genitori evidenziano un approccio di "genitorialità intensiva" (Hays 1996, Faircloth 2014), caratterizzato da un elevato investimento nella cura e nel benessere dei figli attraverso l'impegno economico, un'attenta decisione sull'ambiente educativo, la partecipazione al processo di socializzazione del bambino al di fuori della famiglia. L'analisi dei i dati suggerisce che per i genitori LGB italiani che si trovano ad affrontare un ambiente ostile, la genitorialità intensiva, come modello culturale di genitorialità dominante nelle società neoliberali occidentali (Wolf 2011), supera lo spazio privato per diventare una strategia sociale di esibizione della propria competenza familiare e genitoriale per negoziare visibilità, potere e diritti nella sfera pubblica.
Dal punto di vista metodologico, il paper si basa sulla ricerca multimetodo FamilyLives condotta tra il 2015 e il 2019. Attraverso interviste individuali, interviste di coppia e la compilazione di mappe emozionali e diari genitoriali (Gabb 2008, 2009), la ricerca ha raccolto dati relativi alle esperienze e pratiche famigliari di 16 nuclei (11 formati da donne lesbiche, 5 da uomini gay) con bambini di età compresa tra i 4 mesi e gli 11 anni concepiti attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita all’estero. I dati sono stati analizzati come corpus complessivo attraverso un approccio di grounded theory (Charmaz 2014).
“La privacy è sopravvalutata”. Percezioni e pratiche di gestione della privacy nelle famiglie italiane con bambini dagli 0 agli 8 anni
Lorenzo Giuseppe Zaffaroni, Giovanna Mascheroni, Gaia Amadori
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Italia
I dati personali dei genitori e, in misura crescente, dei bambini, sono ampiamente raccolti, archiviati e analizzati dalle aziende attraverso una gamma sempre più ampia di dispositivi connessi a Internet: smart TV, piattaforme di video on demand, altoparlanti intelligenti, dispositivi indossabili, giocattoli connessi e altri dispositivi 'smart'. Come fenomeno sempre più mediatizzato, la genitorialità comporta una crescente responsabilità relativa alla gestione della privacy dei bambini e, in senso più ampio, legata alla gestione della complessità delle tecnologie guidate dai dati nella vita quotidiana. Le ricerche esistenti, tuttavia, non enfatizzano a sufficienza la natura situata delle pratiche, delle percezioni e delle aspettative relative alla privacy, ossia il modo in cui esse emergono nell'interazione tra i membri della famiglia, la loro cultura, e i tipi di media messi a disposizione nella casa. Queste relazioni richiedono di essere analizzate entro lo svolgimento – spesso irregolare e imprevedibile – della vita familiare quotidiana. È quindi fondamentale comprendere come le famiglie sviluppino, negozino o abbandonino strategie di gestione della privacy, intendendo queste ultime come pratiche di creazione di significato socialmente situate ed emergenti nell’interazione quotidiana.
Lo studio si basa sui dati raccolti attraverso interviste in profondità condotte nel contesto di una ricerca longitudinale con metodi misti, della durata di tre anni, con 20 famiglie, e i loro bambini di età compresa tra 0 e 8 anni, residenti nell'area metropolitana di Milano. Il campione di famiglie partecipanti varia per composizione familiare, background culturale e status socioeconomico. Le interviste sono state codificate e analizzate secondo la metodologia della Constructivist Grounded Theory (Charmaz, 2014).
I risultati mostrano che le famiglie adottano diverse strategie di privacy, mobilitando diversi significati e facendo ricorso a diversi immaginari tecnologici. Attraverso l’elaborazione dei dati, costruiamo due idealtipi complementari di famiglie, caratterizzate da pratiche, credenze e atteggiamenti diversi relativi alla privacy: i nuclei familiari “orientati alla privacy” e i “realisti della sorveglianza” (da “surveillance realism”, in Hintz et al., 2018). Il primo idealtipo è caratterizzato da strategie di mediazione prevalentemente restrittive, come l’evitamento di contenuti, siti e piattaforme ritenuti non adatti, o il rifiuto di utilizzare dispositivi basati sui dati. Il secondo idealtipo include pratiche e percezioni della privacy che legittimano e, progressivamente, naturalizzano la sorveglianza e la profilazione online – ad esempio, secondo la logica di “non avere niente da nascondere”. Nel complesso, i 'realisti' minimizzano, o ignorano, le conseguenze sociopolitiche della datizzazione.
A livello empirico, la maggior parte delle famiglie può essere collocata entro i due idealtipi, in quanto esse condividono una consapevolezza – seppur parziale e spesso contraddittoria – della privacy e delle sue implicazioni. Le famiglie partecipanti tengono conto dei rischi commerciali e della protezione delle informazioni sensibili, ma minimizzano le conseguenze politiche e sociali della datizzazione. Inoltre, emergono con chiarezza le implicazioni dei diversi legami che si sviluppano tra le culture familiari, le pratiche mediali datizzate – come quelle orientate alla cura (Lupton, 2020) – e l’accettazione, la negoziazione o il rifiuto degli immaginari di sorveglianza (Lyon, 2018). Confrontando i due tipi ideali, sosteniamo che una classificazione dualistica permette di enfatizzare, attraverso l’analisi comparata dei dati, le contraddizioni, le tensioni e le problematiche che sorgono nella vita familiare in riferimento alla gestione della privacy.
Contenitori, attivatori, incubatori: spazi giovanili e narrazioni del cambiamento
Daniele Morciano, Anna Fausta Scardigno
Università degli Studi di Bari, Italia
Le pratiche di educazione non formale rivolte ai giovani hanno tradizionalmente avuto come campo-base uno spazio fisico di incontro e socialità, come nel caso dei Centri di Aggregazione Giovanile (L. 285/1997) o i centri socioeducativi per adolescenti (L. 328/2000). A partire dal rafforzamento del ruolo delle Regioni in materia di politiche giovanili seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, in alcuni territori si è osservata una specifica attenzione verso lo sviluppo di una nuova generazione di spazi giovanili non più in prevalenza mossi da finalità di prevenzione del disagio, bensì alimentati da una cultura del “fare” volta a incoraggiare la partecipazione diretta dei giovani nell’ideazione, disegno e attuazione di progetti. Esperienze regionali come gli Hub culturali in Piemonte, le Officine dell’arte nel Lazio e i Laboratori Urbani Giovanili in Puglia rientrano in un fenomeno più ampio di pratiche di rigenerazione urbana a forte partecipazione giovanile, come quelle sostenute dall’ANCI con Generazioni Creative o dai programmi per la valorizzazione dei beni culturali di Fondazione con il Sud e Dipartimento per le politiche giovanili. Questi nuovi spazi tendono a operare da una parte come contenitori di risorse (attrezzature, informazioni, reti di scambio, materiali di auto-apprendimento ecc.), dall’altra come ambienti di attivazione di capacità ed energie che usano quelle risorse per concretizzarsi in progetti (di cittadinanza attiva, inclusione sociale, arte e cultura, innovazione sociale ecc.) finendo, quindi, per fungere da incubatori progettuali. Nel tempo prendono vita al loro interno collettività attive alimentate da valori e visioni alternative (ma non necessariamente in conflitto con) la cultura mainstream. Una mappatura realizzata in Puglia, ad esempio, ne ha esplorato l’ancoraggio ai valori dei beni comuni, la produzione culturale di critica e impegno sociale, la decrescita, il fai-da-te e il riuso, l’artigianato digitale (Morciano, 2019).
Questa presentazione si basa su una ricerca valutativa realizzata in Puglia su 8 di questi spazi giovanili con l’obiettivo di intercettare gli effetti di cambiamento che i giovani avvertono su se stessi e nel contesto territoriale in cui lo spazio opera, cercando di capire in che modo nella loro esperienza questi cambiamenti sono attribuibili alla possibilità di frequentare lo spazio e di utilizzarne le risorse (Cooper et al., 2019). La ricerca si è basata su biografie focalizzate (Guidicini, 2004) di 151 giovani raccolte e analizzate in collaborazione con gli operatori degli spazi. Tra gli effetti di cambiamento individuati rientrano la creazione di nuove opportunità di lavoro, il senso di connessione con la comunità locale, le capacità di scelta e autotederminazione, la relazione con le diversità (per età, cultura, identità di genere ecc.), lo sviluppo di nuove competenze trasversali. La ricerca, inoltre, ha identificato alcuni possibili meccanismi generativi di cambiamento, come la densità relazionale degli spazi, la loro neutralità ideologica o politica, la natura orizzontale delle relazioni giovani-adulti sul piano decisionale, l’apprendimento in situazioni reali.
Una lettura complessiva dei risultati ha aperto il campo a possibili prospettive teoriche per la ricerca futura, in particolare su come questi spazi riescono ad essere spontaneamente vissuti dai giovani come Terzi luoghi (Oldenburg, 1999) dove motivazioni, idee e spinte innovative si attivano grazie allo stimolo a non restare più chiusi nel proprio bozzolo autoreferenziale, ma neanche del tutto condizionati da aspettative e pressioni istituzionali, in quello sforzo di integrazione tra soggettività individuale e struttura sociale che continuerà per tutto l’arco della vita. Nella presentazione si rifletterà anche sui limiti e le potenzialità di questi spazi nelle azioni di contrasto verso gli effetti di lungo termine della pandemia sui giovani, in forza di un background culturale e di esperienza già sviluppato prima dell’emergenza pandemica e che si presenta come possibile risorsa nell’attuale fase di ricostruzione.
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