Programma della conferenza

V Convegno Nazionale SISCC “Mondi possibili. Tra crisi, conflitti e pratiche creative” / Bari, 22-23 giugno 2023

Il convegno della SISCC intende esplorare le complesse relazioni fra crisi e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità delle nuove pratiche creative e culturali di disegnare nuovi scenari e ipotizzare nuovi mondi possibili. Per andare oltre il paradigma della crisi e della emergenzialità, bisogna pensare e operare in modo nuovo senza rispondere a crisi con crisi e a emergenze con post-emergenze. Quali fenomeni di questo tipo sono oggi visibili?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 4 - Panel 6: News e digitale
Ora:
Venerdì, 23.06.2023:
9:30 - 11:30

Chair di sessione: Rolando Marini
Luogo, sala: Aula 22

Secondo piano, Dipartimento di Scienze Politiche Palazzo Del Prete, P.zza Cesare Battisti 1

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Presentazioni

Discriminazione intelligente o artificiale? Un’analisi dell’interazione tra redazioni online locali e logiche algoritmiche di Google nella diffusione di immagini stigmatizzanti di immigrati.

Francesca Ieracitano1, Francesco Vigneri2

1Sapienza Università di Roma, Italia; 2Università Lumsa di Roma, Italia

I Critical Algorithms studies evidenziano l’esistenza di forme di discriminazione implicite (Beer, 2016; Nakamura, 2002) o esplicite (Noble, 2017, Grasham, 2023) che i sistemi algoritmici concorrono a perpetuare verso alcuni gruppi sociali, tra cui gli immigrati (Sandvig et al, (2016).

Gli intermediari dell’informazione hanno un peso importante in questi processi (Gillespie, 2107a; 2017b). Nelle redazioni online, la fiducia che i giornalisti ripongono sugli algoritmi è dimostrata dalla credibilità che essi attribuiscono ai sistemi automatizzati nel produrre notizie, rispetto al lavoro umano svolto dagli stessi colleghi (Jung et al. 2017). Il “robot journalism” (Van Dalen, 2012) viene percepito dai giornalisti come un’opportunità che potrebbe rendere il giornalismo più umano, poiché l’automatizzazione di attività di routine potrebbe restituire loro più tempo per l’approfondimento dei contenuti delle notizie (Carlson,2018).

Pochi studi, tuttavia, hanno esplorato l’interferenza di tali processi e gli effetti non intenzionali che le logiche SEO e algoritmiche -integrate nei processi di newsmaking- possono produrre quando le notizie affrontano temi socialmente sensibili, come l’immigrazione (Autori, 2020). Questa interazione merita di essere indagata affrancando gli algoritmi da una capacità riflessiva, di cui non dispongono (Kilingen &Svensson, 2018), e prendendo, piuttosto, in considerazione il ruolo spesso inconsapevole, e a tratti invisibile, che esercitano tanto fattori socio-culturali, quanto professionisti, come i giornalisti (Gillespie, 2017).

Obiettivo: Indagare i processi di distorsione involontaria e di negoziazione tra le routine produttive delle redazioni online locali e gli algoritmi di Google Images che sono alla base delle rappresentazioni discriminanti e stigmatizzanti delle più grandi comunità di immigrati presenti in Italia.

Domande di ricerca:

  1. Come l’interazione tra giornalisti e algoritmi genera forme di discriminazione e oppressione più o meno involontarie verso le comunità di immigrati presenti in Italia?
  2. Se e quanto i giornalisti digitali sono consapevoli e/o inconsapevoli delle conseguenze sociali che i loro input determinano?
  3. Come il loro immaginario algoritmico interferisce con le routine produttive?

Metodo:

Approccio qualitativo: tecnica dell’intervista semi-strutturata integrata con tecnica del Thinking aloud e somministrazione di stimoli. Le interviste sono sottoposte a thematic analysis (Braun, Clarke, 2012)

Partecipanti: Direttori e SEO-strategists (11 soggetti) di 10 redazioni online locali, in quanto fonti di immagini stigmatizzanti di immigrati emerse tra i primi risultati di ricerca di Google Image.

Risultati: Temi principali:

1 Inconsapevolezza e deresponsabilizzazione verso la discriminazione algoritmica

Gli intervistati si dichiarano inconsapevoli delle dinamiche discriminanti di Google nelle quali sono coinvolti. “È un dato che mi ha sorpreso clamorosamente”(direttore_G); “Personalmente sono molto dispiaciuto di questo discorso”(direttore_B). Altri si deresponsabilizzano affermando di non sentirsi parte del sistema che sfugge al loro controllo. “Sicuramente non è responsabilità della redazione, è Google che risponde alla sua interrogazione, non siamo noi” (direttore_C).

La discriminazione è un processo a due vie. Alcune redazioni attribuiscono le ragioni delle immagini discriminanti fornite Google all’interazione fra pubblico e algoritmi. L’interesse degli utenti per quelle immagini li porta a produrre molte visualizzazioni e a farle indicizzare meglio. Per gli esperti Seo, il motivo dipende dall’interazione tra articoli e algoritmi: “Il punto non è tanto quante persone hanno visto quell’articolo, ma quanti articoli esistono con quella keyword” (Seo_strategist_D)

L’impatto dell’immaginario algoritmico sui processi di newsmaking

Per le redazioni, Google è un’entità dai mille volti: “il lettore ideale”, “un grillo parlante” “un giudice pronto a bacchettarti” “Google domina e scaccia”. In base a queste visioni cambiano le strategie di interazione con esso nella produzione e diffusione delle notizie. Le strategie SEO vengono viste come una pratica non etica che farebbe mettere da parte l’attenzione alla notizia e alla sua qualità. Il rifiuto di sottostare alle regole SEO costituisce un’arma per sconfiggere il potere di Google, per non finire per assomigliare agli algoritmi stessi.



Il conflitto nel conflitto: (in)visibilità di genere nell’informazione digitale sulla guerra in Ucraina. Uno studio est-euroasiatico su Google News

Camilla Folena

Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Italia

La letteratura su genere e media ha rilevato come l’informazione giornalistica proponga un modello di notiziabilità tendenzialmente basato su una concezione maschile di mondo, sostanziandone le strutture di potere nella società (Tuchman 1978; Rodgers, Thorson 2003; Farci, Scarcelli 2022). Le narrazioni mediatiche nel panorama informativo contribuiscono ad una continua marginalizzazione delle donne nella sfera pubblica (Ross 2009; Bracciale 2010), minando la visibilità dei contributi che apportano alla società, indebolendo di conseguenza la democrazia (Ross, Carter 2011).

Il Global Media Monitoring Project stima una crescita del 3% ogni quinquennio della presenza femminile nell’agenda mediatica e l’aspettativa di accresciuti spazi di libertà per le donne negli ecosistemi digitali risulta in gran parte disattesa. Le più recenti rilevazioni mostrano infatti come le notizie che circolano negli ambienti digitali non includano maggiormente le donne rispetto ai media tradizionali (WAAC 2020). La letteratura indica come le architetture digitali del web tendano a rinforzare relazioni di potere già esistenti piuttosto che depotenziarle, normalizzando e riproducendo pratiche proprie della società maschilista (Kendall 2002). In questo senso, rimane attuale l’intuizione di Haraway (1995) circa l’assunzione di un approccio cyber-femminista come modalità per riconcettualizzare, negli ecosistemi digitali, una dimensione pubblica e politica per le donne (van Zoonen 2010).

Considerando il genere una costruzione sociale di performance esteriori (Butler 1999; Hall et al. 1997) – e come l’approccio intersezionale (Crenshaw 1989) si possa coniugare con l’approccio decoloniale (Arruzza et al. 2019; Vergés 2019) agli studi culturali e comunicativi (Shome, Hegde 2006) – lo studio indaga l’informazione aggregata dall’online intermedia gatekeeper Google News (Ducci et. al 2021) sul conflitto russo-ucraino, comparando i flussi informativi di cinque paesi selezionati lungo un continuum geopolitico est-euro-asiatico: Georgia, Italia, Polonia, Serbia e Turchia. Per far emergere e comparare narrazioni e rappresentazioni (Elliott 2005; Hall et al. 2013) di genere, svelando le molteplici forme di oppressione a cui le donne sono costrette, anche qualora esercitino forme di leadership e potere (Buonanno 2015; Belluati 2020).

Tre le domande di ricerca:

1. Nell’informazione digitale sul conflitto russo-ucraino, come sono rappresentate le donne?

1.1. Emergono figure aventi ruoli specifici?

2. Le rappresentazioni di genere confermano o sconfessano gli stereotipi legati ai ruoli?

3. Quali differenze emergono tra narrazioni e rappresentazioni raccolte nei diversi paesi?

La metodologia si basa su mixed methods. L’informazione sul conflitto è stata raccolta selezionando, antecedentemente lo scoppio della guerra, sei queries tramite Google Trends (Ørmen 2016). La raccolta dati è effettuata manualmente con geolocalizzazione VPN imitando utenti da ciascun paese (Fernando et al. 2014), minimizzando tutti i fattori endogeni che è possibile tenere sotto controllo (Rogers 2013; Xing 2014). I dati sono raccolti seguendo uno short burst model (Brügger 2011) adatto per eventi sensazionali (Hannak et al. 2013), con due rilevazioni che costituiscono una finestra di osservazione longitudinale. La prima è avvenuta ad inizio invasione (24-02/11-03 2022), la seconda dopo sei mesi di conflitto (31-08/15-09 2022). Titoli e sottotitoli (Tankard 2001; de Vreese 2005) delle prime cinque notizie aggregate da Google News in ogni Paese (Pan et al. 2007), per un totale di 4.400 notizie, sono stati tradotti, archiviati ed esaminati.

L’analisi quantitativa riconsegna dati sulla presenza di genere nell’informazione raccolta. Sotto il profilo qualitativo, seguendo un approccio discorsivo (Van Dijk 2017) che ricerca le relazioni di potere tra generi (Fairclough 2003) lo studio porta alla luce le principali figure di donne presenti nel dibattito, il loro ruolo nella società; e le narrazioni dominanti di genere che emergono dai corpora testuali. La ricerca cerca di contribuire con pratiche creative alla democratizzazione di forme e pratiche della comunicazione (Kraidy 2006) attraverso l’osservazione di spazi liminali online dove vulnerabilità e diseguaglianze sociali tendono a riprodursi (Krijnen, Van Bauwel 2015).



Il ruolo delle piattaforme nell’ecosistema giornalistico: modelli innovativi di business e comunicazione nei media italiani

Christian Ruggiero1, Luca Serafini2, Mauro Bomba1

1Sapienza Università di Roma; 2Università di Napoli Federico II

La transizione digitale ha generato una sempre maggiore dipendenza delle testate giornalistiche dalle grandi piattaforme (van Dijck et al., 2018; Nielsen & Gantner, 2022). In questo contesto, è particolarmente interessante concentrare l’attenzione su due dimensioni: da un lato, il mutamento dei confini del campo giornalistico, investito da dinamiche di boundary work sempre più pervasive (Deuze, Witschge 2018; Splendore, 2017); dall'altro, la crisi dei tradizionali modelli di business, dal momento che la sostenibilità economica dei mezzi di informazione è fortemente legata a forme di monetizzazione provenienti da pubblicità su piattaforme web e social (Abramson, 2019).

La “piattaformizzazione” dell’informazione investe dunque l’identità editoriale dei soggetti che convivono nell’ecosistema del giornalismo contemporaneo (Anderson, 2013), incentivando da un lato strategie di preservazione delle “regole del gioco” che definiscono l’appartenenza al campo giornalistico tradizionalmente inteso (Bourdieu, 1979; Sorrentino, 2006), dall’altro processi di adattamento di tali regole alle logiche dei digital media. Questa seconda strategia è tipicamente appannaggio di soggetti “nuovi entrati” nell’ecosistema dell’informazione, spesso outsider rispetto alla professione strettamente intesa, il cui contributo oscilla tra la disruption del campo tradizionalmente inteso e la volontà di preservare alcune delle pratiche sedimentate allo scopo di ottenere una “legittimità giornalistica” sia verso i propri lettori che nei confronti degli altri attori del sistema (Stringer, 2018).

Alla luce di precedenti esperienze di ricerca che hanno analizzato tali dinamiche avendo come oggetto di studio un “capostipite” della digital disruption giornalistica come Buzzfeed (Tandoc Jr, 2018), ci proponiamo di indagare il possibile intreccio, nel campo giornalistico, tra modelli di news production e di business di soggetti pienamente ancorati alla logica delle piattaforme e soggetti caratterizzati da un mix di canali di delivery del prodotto news (Ruggiero et al., 2023). Nella prima tipologia rientreranno Will Media Italia e Factanza; nati rispettivamente nel 2020 e nel 2019, si caratterizzano entrambi come progetti giornalistici diffusi quasi esclusivamente sui social media, volti a fornire informazione di qualità in maniera semplice e accessibile alle giovani generazioni. Nella seconda tipologia rientreranno invece The Post Internazionale e Domani, che in tempi recenti hanno deciso di affiancare alla produzione di contenuti digitali un “ritorno” al medium cartaceo, con l’obiettivo di configurare nuovi percorsi di interazione con lettori e inserzionisti pubblicitari e di (ri)acquisire indipendenza editoriale nel nuovo ecosistema informativo.

Oggetto specifico dell’indagine saranno le strategie di queste differenti tipologie di soggetti volte a ridefinire la propria presenza nel campo giornalistico. Una prima parte del lavoro prevedrà un’analisi del contenuto di un campione della produzione di ciascun soggetto coinvolto, volta a individuare argomenti e formati caratterizzanti, in un’ottica di boundary work, e presenza di forme di branded content e native advertising (Ferrer-Conill et al., 2021). Le evidenze così raccolte saranno poi messe alla prova attraverso interviste semi-strutturate a membri delle diverse realtà oggetto d’analisi, al fine di indagare in che modo le strategie innovative sul fronte del business si leghino a una creazione di contenuti dettata da logiche propriamente giornalistiche e non “di piattaforma” (avendo come riferimento la riflessione già da tempo avviata in riferimento alla preservazione della funzione giornalistica di prodotti in cui siano presenti forme di native advertising, i.e. Schauster et al., 2016).

Ciò consentirà di scattare una fotografia aggiornata delle tensioni che attraversano il campo giornalistico contemporaneo, e di tentare di inquadrare tali tensioni entro una logica ecosistemica che riesca a mettere a fattor comune le dinamiche di trasformazione/preservazione delle “regole del gioco” di una professione, quella giornalistica, in profondo mutamento, garantendo così la sopravvivenza del sistema informativo.
Questo abstract si riferisce a una ricerca in corso destinata, tra le altre cose, a rispondere a una call for papers della rivista Media and Communication.



“Generic Visuals in the News”: Il ruolo delle immagini generiche nel giornalismo digitale e nella cultura pubblica

Giorgia Aiello1, C.W. Anderson2, Helen Kennedy3

1Università di Bologna, Italia; 2Università di Milano Statale, Italia; 3University of Sheffield, UK

Questo paper riporta una ricerca finanziata dall’Arts and Humanities Research Council nel Regno Unito, che è stata condotta in partnership con il Financial Times, la BBC e il gruppo Reach PLC. In questo studio abbiamo indagato il ruolo che i ‘generic visuals’, le immagini generiche, svolgono nell’assemblare pubblici (cf. Warner, 2002), cioè nel riunire gruppi di persone attorno a interessi e preoccupazioni comuni, nell’attivare i cittadini a interessarsi (o meno) di particolari questioni, nel rendere possibili (o meno) varie forme di partecipazione, e nel diffondere o inibire la diffusione della disinformazione. Immagini come fotografie di stock e visualizzazioni di dati semplici, ovvero elementi visivi ‘generici’ che hanno forme e formati standardizzati, circolano con sempre maggiore frequenza nei media (Aiello et al., 2022). Nonostante la nostra crescente esposizione a questo tipo di immagini, si sa molto poco del ruolo che esse svolgono nella comunicazione giornalistica. La maggior parte degli studi sulle immagini giornalistiche si concentra sulla spettacolarità di fotografie iconiche oppure di visualizzazioni di dati di fattura sofisticata. Di conseguenza, la massa di immagini banali che ci circonda quotidianamente rimane misconosciuta e poco studiata.

Studiando molteplici aspetti del ‘circuito della cultura’ (Du Gay et al. 1997), tra cui la produzione, l’uso e la diffusione di immagini generiche, le loro caratteristiche semiotiche e la loro funzione progettuale, nonché i modi in cui ne parlano le persone comuni, abbiamo esaminato i modi in cui queste immagini ‘assemblano il pubblico’, proprio come si dice siano in grado di fare altri aspetti dei media e della comunicazione politica. Da un lato, abbiamo analizzato i processi attraverso i quali le fotografie e le visualizzazioni di dati vengono prodotte e utilizzate nei media giornalistici. Basandoci su 16 interviste in profondità con designer e giornalisti della BBC, del Financial Times e dei tabloid del gruppo Reach PLC (come il Daily Mirror), in questo studio abbiamo documentato i meccanismi formali e le routine lavorative attraverso le quali le immagini generiche appaiono nella stampa in una varietà di formati, il modo in cui i produttori mettono in relazione l’uso di queste immagini con le diverse concezioni del pubblico a cui sono destinate e i modi in cui essi giustificano le loro pratiche rispetto a ciò che concepiscono come ‘buon giornalismo’. Dall’altro lato, abbiamo condotto 35 interviste con un gruppo di lettori di quotidiani online per analizzare i modi in cui le persone comuni attribuiscono dei significati alle immagini generiche. Abbiamo chiesto ai partecipanti di parlare del loro consumo di notizie online e del loro punto di vista sulle immagini giornalistiche, discutendo immagini tratte dal database del nostro progetto e immagini che i partecipanti hanno portato con sé o che hanno scelto durante l’intervista navigando su un quotidiano da cui spesso ottengono le notizie.

Sulla base dei risultati delle nostre interviste con produttori e membri del pubblico, sosteniamo che, grazie alla loro abbondanza, alla loro circolazione in rete e alla loro flessibilità, le immagini generiche possono essere viste come risorse comunicative fondamentali per la ‘cultura pubblica’, o ciò che Hariman (2016) definisce come “l'involucro di pratiche comunicative all’interno del quale si forma l’opinione pubblica”. Proprio perché non sono né spettacolari né memorabili, le immagini generiche offrono al pubblico spesso distratto dei media digitali l’opportunità di associare la propria vita personale a questioni più ampie in modi banali, fornendo quindi gli strumenti visivi per collegare la vita pubblica e quella quotidiana. Il ‘lavoro’ che le immagini generiche fanno per assemblare pubblici può essere infine ricondotto a una serie di preoccupazioni e speranze espresse sia dai produttori sia dai membri del pubblico per quanto riguarda la credibilità e il futuro del giornalismo digitale.