Programma della conferenza

Sessione
Sessione 3 - Panel 2: Politica, movimenti, attivismo
Ora:
Giovedì, 22.06.2023:
17:15 - 19:15

Chair di sessione: Michele Sorice
Luogo, sala: Aula 18

Secondo piano, Dipartimento di Scienze Politiche Palazzo Del Prete, P.zza Cesare Battisti 1

Presentazioni

I valori socialisti cinesi alla guida dell’engagement globale. Le affordances di stato nella Platform Society

Valeria Donato

University of Urbino, Italia

Tanto per la velocità della sua diffusione che per la sua provenienza (Wagner, 2022), TikTok ha saputo rappresentare un unicum in un ambiente mediale ancora profondamente dominato dai caratteri occidentali, spaziali e valoriali.

Difatti, è indubbio che la quasi totalità delle piattaforme della comunicazione afferiscono al contesto statunitense, determinando così ambienti modellati da visioni e culture altamente situabili e ideologicamente prodotte (Papacharissi et al., 2013). TikTok, invece, essendo stata pensata e costruita all’interno del contesto cinese, ha saputo conquistare il successo planetario a partire, proprio, dalle caratteristiche cinesi (Wagner, 2022). O per meglio dire, a partire dalla sua aderenza alle peculiarità culturali, politiche ed ideologiche, del Paese.

Se, infatti, le applicazioni tecnologiche devono dirsi mezzi di comprensione culturale (Papacharissi, 2010), non stupisce che siano ben presto state lette in termini di potere tanto per sua la distribuzione ed esercizio (Brey, 2008) che, quindi, in termini di soft power (Gillespie, 2016). Nell’ultimo decennio gli studiosi del soft power hanno a lungo dibattuto sul ruolo delle piattaforme come mezzi stessi del potere statale; soprattutto in ragione della corrispondenza identitaria e valoriale tra queste ed i rispettivi paesi di origine (Hayden, 2016).

In tal senso, Bjola e Holmes (2015) hanno suggerito di valutare la svolta tecnologica del soft power. Partendo, infatti, dalle evidenze sugli effetti della tecnologia sulle teorie del potere e dell'influenza (Castells, 2007), per gli studiosi la riflessione sull’impatto della rete e delle sue parcellizzazioni significava dover ripensare al senso e alla forma del potere statale e dei suoi caratteri di influenza. Significava, in altre parole, riflettere sul ruolo immaginifico del potere immateriale, aderendo cioè ad una idea del soft power da leggersi in chiave performativa (Guzzini, 2011; Nisbett, 2016).

Ciò, infatti, risultava particolarmente vantaggioso, soprattutto in conseguenza alle modificazioni promosse dalla platform society: tanto in termini di infrastrutture geopolitiche che di identità culturali e risorse istituzionali (van Dijck et al., 2018).

Se i servizi di social networking, dunque, hanno determinato il nascere di nuove modalità di relazione, il soft power doveva inscriversi all’interno delle piattaforme così da articolarne le modalità in cui tali relazioni si costituiscono, tanto in termini ambientali che valoriali.

Pertanto, il presente lavoro si propone di investigare il rapporto tra TikTok ed il soft power culturale cinese, in particolare analizzando se e come TikTok incorpori, diffonda e globalizzi le caratteristiche cinesi. Si vorrà, infatti, approfondire l’aderenza tra le affordances della piattaforma e le peculiarità culturali e valoriali della Cina; o meglio, il rapporto tra dimensione politica e dimensione comunicativa, attraverso la triangolazione tra valori, medium e affordances.

A partire, infatti, dalla volontà di Bytedance di ri-accentrare il proprio sviluppo tecnologico nella guida dei valori fondamentali del socialismo (Xu & Flew, 2022), si intenderà investigare il rapporto tra questi e le affordances di TikTok già evidenziate dal lavoro di Zhao e Wagner (2022): la de-contestualizzazione spazio-temporale dell’esperienza, la percezione del controllo e della accuratezza algoritmica e la glocalizzazione della viralità.

Per far ciò ci si è chiesti che tipo di riferimenti politici, culturali e valoriali afferenti al soft power cinese TikTok incarna, codifica e diffonde all’estero e come queste peculiarità modificano i modi di intendere ed interpretare il soft power cinese o, più in generale, i caratteri del potere statale moderno. Attraverso, dunque, un’analisi approfondita della letteratura relativa al contesto socioculturale dei valori cinesi, si è adottato un approccio di platform ethnography (Bonini & Gandini, 2020), così da poter meglio osservare l’aderenza tra questi e le peculiarità della piattaforma.

Investigare le tecnicalità di TikTok, quindi, offre un’opportunità nuova per comprendere come evolva e si consolidi il potere dello Stato nell’epoca delle piattaforme.



“Non è un mondo per giovani”…ma i social sì! L’appropriazione generazionale del climate change e dei social media in FridaysForFuture-Roma.

Francesca Belotti, Arianna Bussoletti

Sapienza Università di Roma, Italia

La ricerca affronta il tema dell’attivismo giovanile per il clima a partire dall’esperienza deə attivistə di FridaysForFuture-Roma, analizzandone le rappresentazioni sociali del cambiamento climatico e le pratiche d’uso dei social media.

Il quadro teorico-concettuale mette a dialogo la teoria delle rappresentazioni sociali (Moscovici 1988; Bauer e Gaskell 1999; Wagner 2007; Castro 2014 tra ə altrə) con la letteratura sul mediattivismo digitale (Bennett e Segerberg 2012; Bakardjieva 2015; Trerè 2019; Mattoni, 2020 tra ə altrə). L’impianto metodologico valorizza opportunità e limiti di una ricerca qualitativa “multimethod” (Morse 2003; Anguera et al. 2018), condotta con una postura epistemica trasformativa (Mertens 2007; Tuhiwai-Smith 2016).

Nello specifico, abbiamo combinato osservazione partecipante ed etnografia digitale, così da sfruttare la complementarità dei significati che emergono dai diversi contesti online e offline di osservazione/interazione (i.e., “etnografia multimodale”, Dicks et al. 2006). Inoltre, abbiamo condotto 4 focus group online onde esplorare i processi di sense-giving deə attivistə entro il dispiegarsi delle loro interazioni (Stewart e Shamdasani 2014, 2017). Il consenso è stato raccolto in modo iterativo, nel rispetto dell’effettiva volontà deə attivistə a partecipare nonché delle loro prassi organizzative (Nairn et al. 2020).

Dai risultati emerge che ə “Fridays” percepiscono il cambiamento climatico come una crisi socio-ecologica che viene da lontano e ha effetti sul futuro, e che riguarda tutto e tuttə; ma anche come un problema generazionale i cui costi ambientali, sociali ed economici saranno pagati soprattutto daə giovani. Inoltre, ə attivistə abitano i social media come ambienti costitutivi dell’attivismo, in cui prassi politiche e mediali si definiscono a vicenda; ma anche come ambienti propri deə giovani e caratterizzati da stili comunicativi differenziati per età.

Qui discutiamo nello specifico il processo di appropriazione generazionale della vertenza climatica che ricalca una concezione altrettanto generazionale dei social media.

Il campo rappresentazionale del cambiamento climatico si snoda lungo l’opposizione tra critica del sistema scolastico, e promozione di pratiche alternative di autoformazione proprie delle mobilitazioni studentesche. Il nucleo centrale di questa rappresentazione, addensato intorno alla logica diagnosi/prognosi, si declina come un conflitto intergenerazionale che imputa le cause della crisi climatica aə adultə, mentre addebita effetti e risposte/soluzioni aə giovani. Anche i meccanismi di ancoraggio e oggettivazione attraverso cui ə “Fridays” familiarizzano con il climate change sono connotati in chiave generazionale in quanto ineriscono alla quotidianità e agli ambiti di prossimità di adolescenti e ventenni.

Specularmente, i social media vengono vissuti come ambienti giovanili che richiedono specifiche competenze digitali e stili comunicativi, marcando così veri e propri confini tra generazioni di attivistə. Chi è più giovane è consideratə comunicatorə più capace in quanto social media user che “assorbe” l’efficacia delle piattaforme, rivendicandola come propria. Così, ə “Fridays” sfruttano l’efficacia della connective action per riscattare l’agency politica giovanile, spesso derubricata come slacktivism perché online. In questa dinamica, prende forma l’identità di FridaysForFuture come movimento di/per giovani, animato da “bravə ragazzə” che studiano e poi protestano in modo creativo e innocuo. Consapevoli della legittimazione sociale che tale immagine assicura loro, ə “Fridays” adottano strategie politico-comunicative coerenti, sia nelle dinamiche di organizzazione/interazione interna, sia nelle attività pubbliche di protesta.

Questi risultati contribuiscono agli studi che considerano l’attivismo digitale come forma di lotta tra le altre e come moto legittimo di partecipazione politica giovanile, aggiungendo un approfondimento esplicativo di come la connotazione generazionale di una vertenza modelli concretamente gli usi dei social media. Inoltre, i risultati nutrono la letteratura sulle rappresentazioni sociali, incorniciando il contributo di tali piattaforme digitali nel posizionamento di un movimento giovanile. Infine, il nostro lavoro promuove e dialoga con le pratiche trasformative di ricerca sperimentate finora, offrendo spunti per un ragionamento critico sulla professione.



Primavere possibili: luoghi, pratiche e narrative della crisi climatica nelle azioni di protesta di Ultima Generazione

Valentina Cappi, Lorenza Villani

Università di Bologna, Italia

Il cambiamento climatico è oggi uno dei fenomeni meglio referenziati nella storia della scienza (Danowski, Viveiros de Castro 2017). Il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) ha dichiarato inequivocabile la natura antropogenica dell’aumento di temperatura globale del pianeta di 1,2°C rispetto all’età preindustriale.
Confinato prima all’interno dei dibattiti specialistici delle scienze climatologiche, poi a lungo assente dall’agenda dei media e della politica per ragioni di indolenza e a causa di un’azione di occultamento da parte dell’industria dei combustibili fossili (Oreskes 2022), il cambiamento climatico gode oggi di una grande abbondanza di discorso pubblico. L’Organizzazione delle Nazioni Unite, alcuni politici e i media internazionali sempre più spesso lo inquadrano attraverso la categoria della crisi o dell’emergenza sottolineando la necessità di un’azione urgente (Pinto, Gutsche, Prado 2019). Tuttavia le politiche, a livello nazionale e internazionale, e le pratiche individuali e collettive sembrano ancora guidate dal “business as usual” (Giddens 2015) e la comunicazione della crisi climatica «arranca nel descrittivo arrestandosi sulla soglia del performativo. […] non centra l’obiettivo, non fa fare» (Pacini 2022: 103). Claim-makers della questione climatica sono oggi istituzioni internazionali, organizzazioni governative e non-governative, artisti, politici, atleti, intellettuali e attivisti (Boykoff 2011; Corner, Clarke 2016). Con mezzi diversi costoro cercano di sensibilizzare ed esortare all’azione climatica governi e società civile. Se è noto che le azioni richieste per contrastare un ulteriore innalzamento della temperatura della Terra consistono nella drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica e nell’emancipazione dai combustibili fossili, affrontare le cause radicali della crisi climatica richiede un cambiamento culturale, di paradigmi e di immaginario, una metamorfosi dell’idea e della realtà del mondo (Beck 2017), una presa di distanza dalla cultura dell’Antropocene, basata su un’idea di natura estraibile all’infinito, sul mito dello sviluppo capitalistico e su relazioni di potere diseguali tra umani e umani e non-umani (Van Aken 2020; Cappi 2023).
È proprio questo immaginario che gli/le attivisti/e di Ultima Generazione sembrano voler rendere visibile (Melucci 1985) attraverso pratiche di disobbedienza civile nonviolenta che da luglio 2022 hanno avuto come arene anche noti musei italiani e come protagoniste alcune opere d’arte simbolicamente rappresentative di mondi attuali e mondi possibili.
Le azioni di protesta degli/lle attivisti/e, che chiedono ai rispettivi governi «impegni concreti nel contrastare il collasso climatico» (A22Network), sono riuscite ad attirare l’attenzione di istituzioni pubbliche, organizzazioni private - come l’International Council of Museums - e opinione pubblica, grazie a forme creative di protesta e ad una comunicazione strategica che ha guadagnato ampia visibilità anche nei media mainstream.
Gli studi sulla comunicazione hanno dimostrato che per aumentare la consapevolezza dei pubblici e promuovere l’impegno attivo su una determinata questione non basta fornire maggiore o migliore informazione, ma è più utile fare appello a valori, riferimenti, concezioni sulle quali le persone sono già sensibili (Ockwell, Whitmarsh, O’Neill 2009; Priest 2016; Lundgren, McMakin 2018; Sturloni 2018).
Quali immaginari e valori condivisi mettono in discussione gli/le attivisti/e di Ultima Generazione e quali immaginari e pratiche sociali mirano a generare? Di quali frame discorsivi e visuali fanno uso nella loro narrazione della crisi climatica? In che modo museo e opere d’arte diventano dispositivi attraverso cui veicolare questioni di giustizia climatica? Che relazione c’è tra azione di protesta e spettacolarizzazione mediale, in riferimento alle forme e agli oggetti della protesta? Quali sono i limiti e le opportunità della strategia comunicativa di Ultima Generazione?
Con l’obiettivo di rispondere a queste domande, questo paper presenta i primi risultati di una ricerca esplorativa condotta tramite interviste semi-strutturate a un campione di attivisti di Ultima Generazione in Italia e critical discourse analysis dei post che Ultima Generazione ha pubblicato sui propri canali social.



Patchwork scientifico e patchwork sincretico nelle pratiche discorsive di costruzione di sapere rifiutato dalla comunità scientifica nella scena Stop5G Italiana.

Simone Tosoni

Università Cattolica di Milano, Italia

Il paper proposto focalizza sulla scena italiana Stop5G per investigare le pratiche mediali e discorsive attraverso cui questa costruisce, stabilizza e in alcuni casi trasforma radicalmente un corpo di conoscenze condivise rifiutato dalla comunità scientifica: in particolare, quello relativo alla pericolosità degli effetti non termici delle radiazioni non-ionizzanti.

Per fare ciò adotta, da una parte, una prospettiva ispirata al Social Worlds Framework (SWF) proposto da Adele Clarke e da Susan Leight Star (2007) all’interno del campo degli STS: tale approccio muove all’idea di una co-costruzione tra discorsi e mondi sociali, per focalizzare sulle concrete pratiche discorsive attraverso cui saperi condivisi e mondi sociali prendono forma all’interno di una più ampia arena di attori sociali radunata attorno a un tema di pubblico interesse.

Dall’altra, intende indagare il ruolo giocato dai media, e in particolare dei media digitali, in tali pratiche discorsive (Couldry 2004), adottando una prospettiva ecosistemica che renda conto non solo della loro natura transmediale, ma anche della complessità dei fenomeni comunicativi che caratterizzano un’arena: da questo punto di vista, la sfera mediale può essere letta come un vasto ambiente interconnesso in cui discorsi e narrative interagiscono in modi plurali, a volte competendo tra loro, a volte adattandosi l’uno a l’altro, e a volte fondendosi e ibridandosi.

Attraverso un anno di osservazione etnografica multi-situata (online e offline), interviste a attivisti, e a focus group con diversi campioni di popolazione svolti tra 2019 e 2020, il paper mostra come siano identificabili quattro fasi a caratterizzare il mondo sociale della scena Stop5G, le sue pratiche discorsive, e i suoi saperi condivisi:

  • la fase degli appelli pubblici (2017-2018), che vede protagonisti gruppi di scienziati che contestano il sapere sui campi elettromagnetici ufficialmente accettato dalle istituzioni pubbliche;
  • la fase degli attivisti (2018-2020), dove un numero crescente di cittadini organizzati in gruppi locali prende parte al mondo sociale e all’arena, portando avanti e rilanciando le pratiche discorsive adottate nella fase precedente;
  • una fase intermedia all’inizio della crisi pandemica (Febbraio-Aprile 2020), dove le pratiche discorsive del mondo sociale iniziano a mostrare rilevanti trasformazioni, in particolare per rendere conto della natura del virus e della relativa malattia;
  • la fase pandemica (fino alla fine del 2020, quando l’osservazione è terminata), quando i discorsi del mondo sociale, pur con qualche rilevante eccezione, prendono una svolta populista, quando non cospirazionista.

Come verrà mostrato, queste fasi segnano il passaggio da forme di costruzione discorsiva del sapere condiviso basate su strategie di “patchwork scientifico” (che selezionano e canonizzano, all’interno di una letteratura strettamente scientifica, risorse in controtendenza rispetto al sapere accettato dalla più ampia parte della comunità scientifica), ad approcci basati su strategie di “patchwork sincretico”, attraverso cui sono prodotte narrative plurali che ibridano risorse scientifiche a kulturkritic, cospirazionismo, e spiritualismo new age.

Tali risultati intendono contribuire al dibattito sui limiti del paradigma dell’emergenza proposto per la conferenza in un duplice modo: innanzitutto, segnalando come un inquadramento del tema della contestazione alla scienza ufficiale in termini di semplice disinformazione e circolazione di fake news non sia in grado di rendere conto della complessità del fenomeno, mancando di riconoscere la legittimità di alcune delle istanze avanzate dalla scena Stop5G; in secondo luogo, segnalando i limiti del paradigma dominante con cui i media studies stanno oggi inquadrando il tema della circolazione di sapere rifiutato dalla comunità scientifica: ossia, riproponendo un modello superato degli effetti forti dei media, che correla la diffusione di credenze e comportamenti irrazionali alla esposizione di fake news (Anderson 2021; Tosoni 2021).



Are we actually polarized or are we simply told, and believe, we are?

Augusto Valeriani1, Sergio Martini2

1Università di Bologna, Italia; 2Università di Siena, Italia

Polarization is everywhere. Elites, citizens, and election campaigns are widely described as more polarized than ever. Scholarship has indeed demonstrated that, especially in the U.S. context, divisions between political subjects have grown significantly overtime. However, it is impossible to ignore how the term “polarization”—and the discussion around it—has been hyped in the public debate, and especially in the media, all around the world. Interestingly, such hype has travelled also to contexts very different in terms of political and media systems compared to the United States where the polarization craze has started.

The media, especially in contexts characterized by a high level of political parallelism such as Italy (Hallin and Mancini 2004), have strong incentives to represent politics as a polarized realm (Mazzoleni and Schulz 1999). Long-term properties of media logic have been recently paired by other elements pushing toward the representation of politics as polarized. For example, it has become common practice for journalists to look at social media searching for “man in the street” quotes (Ross and Dumetrescu 2019), and it has been demonstrated that those who hold extreme political positions are more active and vocal on social media (Barberà and Rivero 2015).

However, media coverage of politics as a realm of conflicts and incivility between hyper-partisans could bring citizens to stereotyped representations of political ingroups and outgroups (Cappella and Jaimeson 1997), to a general perception that most people are positioned on opposite political extremes, and that differences are impossible to overcome (Druckman et al. 2021). As a result, mass polarization could also be seen, at least in part, as a self-fulfilling prophecy resulting from media coverages guiding these perceptions (Jamieson and Romer 2014).

Media framing of partisan citizens as highly polarized and engaging in uncivil exchanges on social media, can thus affect partisan hostility, attitudes and behaviors towards out-partisans online and offline, as well as toward the news. Conversely, following the same idea of polarization as a self-fulfilling prophecy, correction or disconfirmation of prejudices and biases toward political others could positively impact evaluations of out-partisans’ political good faith, openness to political discussion, as well as political behaviors online and offline.

We address these puzzles in two survey experiments based on data collected in mid-January 2023 on samples (N=1,500 each) from an online panel representative of the Italian population based on quota related to sociodemographic variables.

Building on seminal studies (Levendusky and Malhorta 2016; Druckman 2018), in study 1 we present results from a between-subject 2x2 (plus control) experiment in which we expose participants to political news, manipulating the framing of the existing distance between partisans (high vs. low) on policy issues and of the typical political exchanges (civil vs. uncivil) between users on social media. We test hypotheses related to perceived distances between partisans and normative vision of the political space, as well as appetite for political news.

Similarly to previous studies (Ruggeri et al. 2022, Voelkel et al. 2022), in study 2 we manipulate negative and inaccurate representations of political out-partisans using a between-subject design in which participants are exposed either to a tweet showing cross-partisan solidarity by an outgroup member and inviting to ruminate over it, or by inviting them to guess the strength of out-partisans’ negative reaction on a political decision by ingroup political elite and then by providing information on the actual reaction taken from an academic study. We test hypotheses related to evaluation of out-partisans’ political good faith, openness to social interaction and political engagement online and offline.

Testing these hypotheses contributes to literature on a political phenomenon currently under the spotlight by adding nuances on its scope, causes, consequences, and antidotes.