Programma della conferenza

V Convegno Nazionale SISCC “Mondi possibili. Tra crisi, conflitti e pratiche creative” / Bari, 22-23 giugno 2023

Il convegno della SISCC intende esplorare le complesse relazioni fra crisi e pratiche creative, il corto-circuito fra emersione e anestetizzazione del conflitto sociale nonché le potenzialità delle nuove pratiche creative e culturali di disegnare nuovi scenari e ipotizzare nuovi mondi possibili. Per andare oltre il paradigma della crisi e della emergenzialità, bisogna pensare e operare in modo nuovo senza rispondere a crisi con crisi e a emergenze con post-emergenze. Quali fenomeni di questo tipo sono oggi visibili?

 
 
Panoramica della sessione
Sessione
Sessione 3 - Panel 6: Processi creativi
Ora:
Giovedì, 22.06.2023:
17:15 - 19:15

Chair di sessione: Gianmarco Navarini
Luogo, sala: Aula 22

Secondo piano, Dipartimento di Scienze Politiche Palazzo Del Prete, P.zza Cesare Battisti 1

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Presentazioni

La città (si)cura. Etnografia di una pratica di arte pubblica: il caso del quartiere di “Via del Campo” a Genova

Lorenzo Domaneschi1, Arianna Maestrale2

1Università Milano-Bicocca, Italia; 2Associazione culturale Mixta, Italia

La centralità della “creatività” come dispositivo per incentivare investimenti nelle aree urbane, combinata con le trasformazioni interne al campo dell’arte, ha portato alla istituzionalizzazione del campo dell'arte pubblica grazie al quale, una volta usciti dallo spazio e dalla giurisdizione di musei e gallerie, gli artisti individuano come ambito di elezione e sperimentazione specifico i muri, le strade e i quartieri della città. Tuttavia, queste pratiche si trovano spesso in una situazione di ambiguità strutturale stretta tra le poste in gioco e i criteri di azione interni al campo dell’arte e le richieste istituzionali che provengono dal mercato e dalle amministrazioni comunali, che tendono a riconvertire quelle stesse pratiche creative in risorse strategiche di marketing urbano e politico.

Da questo punto di vista, questo lavoro cerca di sfuggire ai consueti confini disciplinari che pensano queste pratiche artistiche tramite il linguaggio della sociologia e antropologia urbana e della sociologia dell’arte, cercando così di sfuggire al rischio di rafforzare l’idea di una separazione tra una componente artistica e creativa (una sociologia dell’arte nello spazio urbano) e una componente istituzionale di mercato o politica (una sociologia urbana dell’intervento artistico). Per sottrarsi a questa aporia, tramite un approccio practice-based, abbiamo individuato come oggetto di analisi le pratiche curatoriali di arte pubblica, dal momento che la figura del curatore impegnato fuori dagli spazi istituzionali dell’arte e calato nei quartieri urbani, rappresenta un esempio paradigmatico della complessità di intrecci e contraddizioni tra creatività, mercificazione e legittimazione politica appena descritti. Per riprendere la metafora del titolo, insomma, chi agisce in questa posizione diventa sia colui o colei che si cura del progetto artistico inserito in un’area urbana, sia, allo stesso tempo, colui o colei che è responsabile di rendere più sicura quella stessa area urbana socialmente vulnerabile.

Utilizzando un approccio di tipo case-study e attraverso una metodologia partecipata, la ricerca prende in esame il caso del Festival biennale di arte contemporanea “Divago”, ormai alla terza edizione, in un quartiere geograficamente centrale ma socialmente marginalizzato della città di Genova, da parte del collettivo di curatela Mixta, un’associazione culturale indipendente sia dai circuiti (di mercato) delle gallerie sia dai musei (gestiti dall’amministrazione pubblica). L’etnografia, cominciata come osservazione partecipante durante il primo anno di vita del festival da parte di uno degli autori, si è trasformata in partecipazione osservante (enactive ethnography) nella seconda e terza edizione del festival, combinando l’attività dei due autori: rispettivamente, una delle curatrici responsabili della progettazione del festival e il ricercatore responsabile della formazione in termini di etnografia urbana degli artisti selezionati per l’evento.

I risultati di questo particolare lavoro etnografico “longitudinale” possono essere riassunti in tre punti. Primo, produrre una thick decription di un progetto di arte pubblica, ricostruendo il percorso che porta dalla nascita fino ai suoi primi effetti sul quartiere in cui opera, allo scopo di restituire una mappatura empirica delle opportunità e delle contraddizioni della pratica di cura artistica nello spazio urbano. Secondo, cercare di rompere con le letture che contrappongono le pratiche creative a quelle di mercato o, in altri termini, pratiche estetiche e partecipazione sociale. Infatti, dal punto di vista della pratica curatoriale analizzata in questa sede, questa dicotomia risulta essere poco chiara o comunque raramente trattata come tale, non tanto perché non si presenti l’ambiguità tra istanze creative e necessità di inclusione sociale, bensì perché tale ambivalenza si frantuma e frastaglia in una miriade di situazioni contingenti, ciascuna con una diversa logica situata. Terzo, si invita ad aprire la riflessione sui metodi etnografici in quanto parte delle nuove pratiche di arte pubblica, così come a considerare sempre più le pratiche artistiche come uno strumento da inserire tra i metodi etnografici.



Videogioco e Artivismo: il medium videoludico come spazio di nuove pratiche culturali creative e sociali

Alfonso Amendola, Annachiara Guerra

Università degli Studi di Salerno

L’avvento dei media digitali ha trasformato nel profondo i processi comunicativi e le pratiche culturali.
In questo contesto di comunicazione e cultura, anche l’arte e la creatività hanno subito un cambiamento nel loro modo di comunicare ed esprimersi, nonché una trasformazione delle pratiche. Il rapporto tra arte, creatività e media, infatti, sin da quelli tradizionali, si è sempre espresso generalmente in due modi complementari fra loro. Da un lato, i media sono stati luoghi fertili attraverso cui arte e creatività hanno potuto comunicare ed esprimersi in varie forme. Dall'altro, entrambe hanno assorbito linguaggi, tecnologie e contenuti dei vari media per trasformare e innovare sé stesse, trovando così nuove possibili forme di sperimentazione e comunicazione. Si pensi alla video arte, nata nella seconda metà degli Anni Settanta, che trova nel medium televisivo – e dunque, in una dimensione tecnologica, nel dispositivo a tubo catodico – il primo importante spazio di rinnovamento della ricerca artistica, assumendo altre trame e prospettive (Amendola, 2012). Questo nuovo spazio, per l’epoca, ha comportato uno sviluppo di quel processo riguardante la partecipazione e la creatività sociale, processo che ha avuto poi una sua crescita esponenziale con l’avvento dei media digitali. La simultanea produzione e fruizione di contenuti dal basso in qualunque momento e luogo, in combinazione con le nuove forme artistiche e creative date da “nuovi schermi” – quindi dispositivi, quindi media – sempre più interattivi, ha comportato gradualmente la possibilità per ogni persona di comunicare, condividere e ascoltare liberamente pensieri, idee e tematiche. Questa combinazione ha influenzato il sistema dell’informazione sia in generale che in casi specifici, come il fenomeno dell’artivismo, ovvero l’utilizzo dell’arte, o comunque di una qualsiasi espressione artistica e creativa, per comunicare e sensibilizzare su una tematica sociale e/o politica. Negli ultimi anni l’artivismo ha intercettato un medium in particolare come canale incisivo e creativo per comunicare, ovvero il Videogioco. La scelta di ricorrere al medium videoludico è data dal fatto che è in grado di raggiungere un pubblico più vasto rispetto ad altri media, soprattutto in riferimento alle nuove generazioni, in particolare la Generazione Z, maggiore fruitrice del medium in questione. Le caratteristiche del videogioco quali interattività e immedesimazione fanno sì che il fruitore recepisca e comprenda attivamente messaggi sociali e/o politici, dal momento che è egli stesso a “muovere” l’opera, partecipando attivamente alla scoperta del contenuto del videogioco e diventandone protagonista. Inoltre, l'ampia varietà di stili grafici e meccaniche di gioco consente di veicolare anche lo stesso contenuto in modi sempre diversi e innovativi. Importante è anche la facilità di accesso per chiunque ai software per la creazione di videogiochi reperibili in Rete. Da questi elementi lo scopo di questo contributo, ovvero esplorare il videogioco come medium che incarna in maggior misura i concetti di partecipazione, pratiche culturali creative e sociali, nonché analizzarlo come attuale spazio di continua sperimentazione e riscrittura artistica sempre in fermento attraverso il fenomeno dell’artivismo. Questa tipologia di videogiochi vengono definiti politicalgame, subgames o giochi non funzionali e sono prodotti videoludici che si inseriscono al confine fra software art, media activism e net art, rientrando nel grande bacino della Game Art. Attuando un focus sul contesto italiano, si analizzerà il lavoro di alcuni gruppi come Molleindustria, collettivo milanese di programmatori nato nel 2003 che ha decostruito lo schema e il contenuto del linguaggio videoludico.



Cyber eggs. Le immagini del cibo tra creatività e tradizione

Giovanni Fiorentino1, Tito Vagni2

1Università della Tuscia, Italia; 2Università della Tuscia, Italia

Il paper si concentra sul lavoro creativo di Davide Scabin, cuoco piemontese, considerato tra i più rappresentativi chef della cucina d’avanguardia italiana, che nel 1998 realizza Cyber eggs, un piatto che reinterpreta un uovo, creando una sfera a base di caviale, tuorlo, scalogno e vodka, racchiuso all’interno di un guscio di pellicola alimentare.

L’opera di Scabin è un autentico gesto creativo con una intentio inscritta già nella forma assunta dagli alimenti assemblati per comporre il piatto, di fronte alla quale il fruitore si trova smarrito e allo stesso tempo incuriosito da una messinscena inedita, dall’assenza di una forma riconoscibile. Questo piatto, al pari di altre creazioni che la gastronomia internazionale ha creato e immesso nei circuiti alimentari e mediali, porta alle estreme conseguenze l’idea di Mery Douglas e Baron Isherwood secondo cui “dimentichiamo che i beni servano per nutrirsi, vestirsi e ripararsi; dimentichiamo la loto utilità e sperimentiamo invece l’idea che le merci servono per pensare, trattandole come se fossero un mezzo di comunicazione non verbale per la facoltà creativa dell’uomo” (1984, p. 69). L’intenzione dell’opera è infatti quella di intervenire sull’immediatezza dell’immagine: l’obiettivo è respingere l’immediata comprensione del fruitore, intorpidendo il senso della vista, divenuto invece fondamentale nelle nuove esperienze di consumo gastronomico (Benasso e Stagi 2021). Questa immagine obbliga cioè il fruitore a ricorrere e ad affidarsi al senso gusto. L’estetica visuale è estremamente curata ed è, in realtà, un elemento essenziale dell’opera, ma è pensata in una funzione iconoclasta, come in un détournement in cui la visione non produce conoscenza ma perturba. Nella situazione attuale, in cui il radicale processo di mediatizzazione del cibo ha condotto ad una “transgastronomia” (Vagni 2016), il gesto creativo del cuoco contiene in nuce l’idea di una presenza contemporanea nel piatto di più livelli sovrapposti di senso, a ognuno dei quali corrisponde una specifica forma di consumo, ma nessuna, presa singolarmente, è in grado di soddisfare interamente il consumatore. All’utente è quindi richiesta una sostanziosa attività di ricomposizione di tutti gli elementi costitutivi del piatto, per infine consumarlo in modo completo. L’effetto ricercato sia dal cuoco che dall’utente/consumatore non è più quello della perfezione formale, ma della completezza, ovvero della coesistenza e della coerenza di una trama di frammenti autonomi ma interconnessi (Fiorentino 2022).

Il Cyber eggs è perfettamente integrato nella logica culturale di questa nuova forma alimentare che Signe Rouseeau ha definito “food media”, ma intende metterla alla prova, sfidarla, per indurre il fruitore a prendere coscienza dei molteplici piani del consumo cui è indotto dal dominio del vista come effetto della sparizione del cibo sotto la coltre dei suoi simulacri. L’opera creativa di Scabin non può essere letta come una contro-narrazione, esattamente come non si possono che considerare eminentemente spettacolari le nuove pratiche di condivisione delle immagini gastronomiche con l’hashtag #uglyfood per pubblicizzare un’etica dello spreco in opposizione all’etica dell’osceno veicolata dal food porn (Langley e altri 2021). Esse, infatti, sono intrise della logica che vorrebbero denunciare mediante le loro pratiche creative, nonostante i loro gesti indichino nuove possibili traiettorie nel sistema del food.

A partire dall’analisi critica di Cyber eggs e dalla sua lettura mediale, il paper intende esplorare le implicazioni sociologiche della profonda tensione che si instaura tra gastronomia, immagini e cultura, provando a mostrare come l’alimentazione, nella sua complessa configurazione mediale, sia un terreno di indagine privilegiato in cui osservare: i cambiamenti dei processi creativi e le loro ricezioni; il rapporto complesso e stratificato tra immagini e pratiche di consumo; le nuove configurazioni che avvengono tra natura e cultura, tradizione e innovazione.



Il consumo culturale onnivoro e la co-creazione di prodotti culturali.

Michele Bonazzi

Università degli studi di Ferrara, Italia

In che modo i consumatori onnivori percepiscono la co-creazione nel consumo culturale? In questo articolo, sono stati raccolti e combinati dati di osservazione sul campo su produzioni culturali co-create, focus group e interviste per indagare le percezioni dei consumatori onnivori delle esperienze artistiche attraverso diversi gradi di co-creazione. È stato esplorato questo argomento nel contesto del teatro co-creativo, un genere teatrale emergente che prevede il coinvolgimento attivo di consumatori onnivori nella messa in scena di uno spettacolo teatrale. I risultati rivelano nuove dimensioni di ciò che significa per i consumatori onnivori essere culturalmente aperti, mostrando le percezioni dei consumatori onnivori dell'arte interattiva e partecipativa, due distinte esperienze culturali plasmate da diverse dinamiche co-creative. I risultati indicano che i consumatori percepiscono l'arte interattiva e partecipativa in modo diverso e che dimensioni distinte di autenticità nel consumo culturale emergono da diverse dinamiche co-creative. Le esperienze di co-creazione osservate ritraggono la trasformazione dei consumatori onnivori da spettatori o visitatori a co-autori dell'esperienza e segnano la dissoluzione dei confini esistenti tra la produzione e il consumo.