Raccontare la disconnessione digitale: nuove narrazioni sociali per nuovi mondi possibili
Francesca Pasquali1, Piermarco Aroldi2, Barbara Scifo3
1Università degli studi di Bergamo, Italia; 2Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Italia; 3Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Italia
Il paper si colloca nel quadro della crescente attenzione teorica intorno alla Digital Disconnection (Syvertsen, 2020 e 2022; Jansson & Adams, 2021), come limitazione volontaria della connessione - totale o situazionale - a media e piattaforme digitali, quale risposta alla colonizzazione spazio-temporale della vita quotidiana ad opera di device costantemente connessi ad ambienti di comunicazione online. Colonizzazione intensificata dall’incremento della “mediatizzazione profonda” a seguito dell’esperienza pandemica.
Occuparsi dell’eterogeneità di pratiche, motivazioni e concettualizzazioni della DD, significa mettere al centro dell’attenzione indizi e segnali di più ampie preoccupazioni collettive e individuali rispetto alla sostenibilità, nel tempo, per il benessere personale e sociale, del modello socio-tecnico ed economico dei media digitali e la necessità di adottare, più o meno creativamente, stili di comportamento d’uso consapevoli, responsabili e autoregolamentati, finanche controculturali e resistenti alla società digitale.
Significa anche adottare una concettualizzazione di tipo olistico alla disconnessione, che la inquadra in una continua dialettica con le pratiche di connessione, e nelle diverse interpretazioni individuali, ma socialmente e culturalmente modellate, dei media digitali.
I principali approcci teorici che interpretano il fenomeno leggono la digital disconnection di volta in volta o come espressione di non-consumo vistoso, o come pratica individuale di detox, o come forma di educazione al benessere digitale o come azione di resistenza politica alla platform society (Autori, 2023). Si pensi ai discorsi sulla limitazione dello screen time dei minori, che promuovono pratiche di etero-regolamentazione e etero-imposizione della disconnessione a fini educativi, ai discorsi sulla ricerca del benessere psico-fisico e spirituale, che spesso ricomprendono anche la “disintossicazione” dalla tecnologia, proposta sia come strumento volontario di auto-regolamentazione per la prevenzione della propria salute fisica e mentale, e per favorire il benessere relazionale e esistenziale, sia come terapia per la cura nei casi patologici di dipendenza dalle tecnologie; o ancora, ai discorsi di natura politica e normativa intorno alle rivendicazioni e alla regolamentazione del “diritto alla disconnessione”, tornate al centro del dibattito pubblico con l’accelerazione della diffusione dello smart working, e ai discorsi sulla promozione della connessione per incrementare la produttività lavorativa; agli immaginari distopici sul dominio degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale e alla caduta di fiducia nei confronti delle piattaforme generata dagli scandali che le hanno coinvolte negli ultimi anni.
Su questo sfondo pare utile mappare e ricostruire il repertorio di discorsi sociali circolanti nel dibattito pubblico italiano intorno al tema della digital disconnection, con l’intento di verificare quali ambiti di tematizzazione e interpretazione siano rintracciabili e in quali cornici di senso vengano presentati.
Il paper restituisce i risultati di tale mappatura a partire da una prima fase di ricerca, di natura esplorativa, al fine di rispondere alla seguente domande:
· Quali repertori discorsivi accompagnano e alimentano la disconnessione e contribuiscono a orientarla?
· Quali sono gli attori e gli intermediari culturali principalmente attivi nel diffondere tali discorsi intorno alla promozione e al sostegno di pratiche di disconnessione?
· Quali sono le cornici interpretative e di senso e i relativi schemi di azione intorno a cui si mobilita la discorsività sociale sulla disconnection?
L’analisi è condotta su un corpus di testi informativi, ricavato dai principali quotidiani nazionali degli ultimi 5 anni (i due anni precedenti la pandemia e i tre successivi), a partire da alcune parole chiave (quali disconnessione digitale, digital detox, benessere digitale, etc.). Il campione di testi è sottoposto a un’analisi di tipo quanto-qualitativa condotta nella prospettiva della frame analysis (Entman, 1993), utile nell’indagine di un campo in cui il discorso evoca una pluralità di valori, e si lega secondo molteplici modalità al tema dell’azione e della responsabilità individuale e/o di altri attori sociali (Entman, 2007, Reese et alii, 2003; Scheufele e Iyengar, 2014).
Contesting the future of the Internet: Threema as a sociomaterial contestation of secure technology
Samuele Fratini
Università degli Studi di Padova, Italia
In the light of the turn to infrastructure in Internet Governance (Musiani et al., 2016), power struggles among social forces are deemed to be visible in the sociomaterial construction of the digital artefacts. Conversely, several historical turning points, exogeneous to the technical environment, e.g., the Snowden revelations, provoked shared discontent against the perceived diffuse corporate and governmental surveillance, are conducting toward a techno-pessimist zeitgeist (e.g., Morozov, 2011). A significant result of these factors is the formation of a generation of digital companies aimed at equipping users with some degree of data protection, in conjunction with the issuing of new attentive regulatory frameworks (Hintz and Brown, 2017). In the realm of Mobile Instant Messaging, this led to the “de facto standardization of the end-to-end encryption”, as Ermoshina and Musiani (2019) defined it. This could be assumed as a diffused contestation of corporate and state surveillance.
Among others, the rise of Threema, a Swiss messaging application established in 2012, counting on more than 11 million users, represents a fruitful and dramatically overlooked case study. Its alterity can be understood under two main fields: technical features and sociotechnical imaginary. On the first hand, Threema adopts an end-to-end encrypted protocol called Ibex, providing users with a randomly generated unique ID key, thus not asking for their phone number and allowing message repudiability. On the other hand, Threema has adopted a communication style which is mainly based on its opposition to US hegemonic applications and on its self-presentation as a “genuinely Swiss company”: its two datacenters are located in the Zurich area, escaping any non-Swiss legislation and ensuring that “no work is outsourced”, while mocking on its US competitors on Twitter. At a first glance, Threema seems to mobilize a vision of desirable feature related to and connected with technology of countersurveillance (Jasanoff and Kim, 2015), and it is worth to be analyzed in the extent to which it represents a case of contestation of perceived modes of diffuse surveillance (Monsees, 2019), paving the way for alternative imaginaries and technological innovations. Providing technical solution to the aforementioned social issues, Threema radically re-negotiates the notions of risk, threat, security, surveillance and nation, and its geographical penetration suggests that its worldview is somehow reappropriated by a significant portion of users within the German-speaking area.
After a detailed historical reconstruction of the key-events that led to a widespread call for “secure messaging” in Europe and beyond, the present work will aim at conceptualizing the first wave of encrypted messaging applications (e.g., Telegram and Signal among others), and what distinguishes Threema from them in terms of technical features and shared imaginary. After that, a document analysis will follow: collected data will entail both materials produced by the company, e.g., advertising and whitepapers, and related news pieces, governmental policy documents and existing literature. The retrieved textual body will undergo an interpretive analysis focusing on recurrent tropes of meaning-making: particularly, the underpinning objective is to understand and to contextualize how Threema makes sense of threat, risk, security, surveillance and nation. Finally, consistent results will substantiate how Threema enacts and embodies a collective call for countersurveillance through the theorical concept of technopolitics (Hecht, 1998: 15), i.e., its own way of designing technology by encoding desired political objectives, and how this intermingles with the ongoing sociotechnical developments in the Internet Governance.
Corpi, piattaforme e online sex work.
Cosimo Marco Scarcelli1, Daniel Cardoso2
1University of Padova, Italia; 2Universitade Lusofona, Portugal
Soprattutto dall’inizio della pandemia di Covid-19, OnlyFans ha goduto di un’attenzione crescente da parte dei media e delle/degli utenti. Ciononostante, i lavori sulla produzione pornografica e sul sex work online (Berg, 2017) e quelli che riguardano la stessa piattaforma oggetto di questo studio sono ancora limitati, soprattutto per ciò che riguarda il versante inerente alle produttrici e ai produttori di contenuti (Ryan, 2019). Inoltre, c’è da sottolineare che molte delle ricerche svolte sino ad ora su questi temi hanno per lo più riproposto alcune preoccupazioni generali che riguardano la sostituzione dell’intimità con forme mediate di interazione e prestazioni sessuali occasionali online (Lopes et al. 2020).
Partendo da queste riflessioni e considerando le sfide che le giovani donne devono quotidianamente affrontare all’interno delle società patriarcali, il nostro studio ha voluto focalizzarsi su come vengono mobilitati i corpi delle donne nella produzione del lavoro sessuale online sulla piattaforma OnlyFans.
La ricerca si basa sul materiale empirico raccolto mediante venti interviste semi-strutturate fatte a giovani donne italiane che vendono i propri contenuti sessualmente espliciti su OnlyFans. Le interviste sono state analizzate attraverso l'analisi tematica (Braun & Clarke 2006).
Attraverso questo studio abbiamo cercato di capire i vari modi in cui la corporalità entra in gioco quando le donne preparano (se stesse come) contenuti da caricare su OnlyFans, e come questa corporalità possa essere intesa in modo stratificato.
Infatti, si può notare come si abbia a che fare con assunti e concetti che vanno oltre la mera oggettificazione, essendoci, invero, anche spazio per l'autorealizzazione e il lavoro autoriflessivo. Se intendiamo l'oggettivazione come una svalutazione del sé, una trasformazione del soggetto in mero oggetto, allora sosteniamo che tale concetto non è sufficiente per affrontare tutti i modi in cui il lavoro sul sé, attraverso la creazione di contenuti OnlyFans, è vissuto dalle nostre intervistate.
Ciò non significa che tale autoriflessività sia intrinsecamente emancipatoria, ma, piuttosto, che consente una narrazione dei cambiamenti e delle trasformazioni che avvengono sia a livello corporeo che concettuale, sia individualmente che all'interno del contesto sociale.
Un ultimo elemento che il paper porta alla luce è come la produzione di contenuti porti con sé tutto il peso della parola "lavoro", in quanto spesso tali scelte sono strettamente legate alla sopravvivenza e alla sussistenza economica delle nostre intervistate, o rappresentano una modalità complementare di finanziamento di alcuni elementi sostanziali della vita quotidiana come lo studio o il pagamento dell’affitto.
Pratiche cooperative e mediazione tecnologica. Uno studio sui modelli di welfare dei beni comuni supportati dalle piattaforme digitali
Mariacristina Sciannamblo, Stefania Parisi
Sapienza Università di Roma, Italia
Negli ultimi anni sono emersi diversi tentativi di indagare e progettare infrastrutture ICT volte a favorire la partecipazione civica e la mobilitazione sociale: dagli strumenti che mirano a contrastare lo sfruttamento del lavoro sulle piattaforme online (e.g. Turkopticon), ai progetti sviluppati per promuovere titolarità, controllo e gestione dei dati personali da parte dei cittadini (e.g. progetto DECODE), per coordinare i movimenti sociali in Rete (e.g. InterOccupy.net), per contrastare le molestie e costruire spazi pubblici sicuri (e.g. Hollaback!), fino a iniziative volte a favorire esperimenti di pedagogia decentralizzata nell’ambito accademico (e.g. FemTechNet), solo per citarne alcuni. Considerati in una prospettiva critica (Armano et al., 2017), questi esempi mettono in discussione i discorsi convenzionali – come la retorica dell’innovazione sociale (van Dijck et al., 2018) – che caratterizzano la promozione di piattaforme digitali commerciali al fine di rendere visibili i meccanismi attraverso cui queste sfruttano e mettono a valore i dati e le informazioni generati dalla collaborazione tra gli utenti. Dall’altro lato, l’indagine che si concentra sull’intersezione tra media e movimenti sociali evidenzia l’uso diffuso e tattico delle piattaforme corporate da parte degli attivisti politici (Trerè & Mattoni 2016) nonché i relativi processi di negoziazione e conflitti aperti tra le logiche culturali ed economiche del capitalismo digitale e i valori di democrazia, equità e condivisione portati avanti dagli attivisti (Barassi 2015).
A partire dal quadro teorico sopra delineato e dai risultati emersi nell’ambito del progetto di ricerca europeo PIE News/Commonfare, il presente contributo ha l’obiettivo di illustrare e discutere le pratiche di appropriazione dei media digitali da parte di quelle organizzazioni la cui cooperazione sociale può essere caratterizzata come generativa di nuove forme di “welfare dei beni comuni”: un modello (Vercellone, 2015; Fumagalli et al. 2019) che prova a contrastare situazioni di marginalità o svantaggio in cui versano specifiche categorie o gruppi sociali e che appare di maggiore interesse in epoca di crisi, per la sua capacità di prefigurare alternative possibili fondate su sistemi di valori radicati nelle comunità e in contrasto con talune prospettive egemoni, di impronta economicista e neoliberista.
La ricerca presentata ha coinvolto esperienze di “welfare dei beni comuni” o “Commonfare” (Allegri et al. 2018) attive sul territorio italiano, quali centri culturali occupati e autogestiti, spazi dedicati alla prevenzione e contrasto alla violenza di genere, associazioni di auto mutuo aiuto, case editrici indipendenti, cooperative di comunità di produzione e lavoro, associazioni di proletari escursionisti e altre.
Sono state realizzate 15 interviste in profondità ad attivisti/e che operano all’interno di queste organizzazioni con l’obiettivo di esplorare tre dimensioni di analisi: le pratiche d’uso delle piattaforme corporate e i conflitti con i valori di mutualismo e convivialità portati avanti dagli attori coinvolti; il linguaggio e le narrazioni promossi attraverso le piattaforme digitali; la progettazione di media e tecnologie autonome. Da questo punto di vista, l’analisi ha inteso interrogare il livello strumentale, simbolico e materiale (Mattoni 2013) che caratterizza la relazione tra media e organizzazioni di welfare dei beni comuni.
Attraverso la discussione dei dati raccolti, il contributo intende fare luce sull’ampio repertorio di pratiche creative e prefigurative messe in atto dalle organizzazioni coinvolte e, al tempo stesso, lo spazio di costante precarietà in cui le stesse si muovono. Allo stesso tempo, emerge una certa ambivalenza tra lo slancio nel delineare e praticare nuovi scenari e nuovi mondi possibili dal punto di vista politico e l’uso strumentale e tattico dei media corporate. Se da una parte, infatti, emerge chiara la critica alle logiche del capitalismo di piattaforma, dall’altra quest’ultima non sembra poter essere tradotta in maniera convincente nella progettazione di architetture di comunicazione alternative.
Piattaforme digitali e pornografia: uno studio sulle utenti di Pornhub
Antonia Cava
Università degli Studi di Messina, Italia
Solo alla fine degli anni Novanta i Porn Studies trovano una legittimazione accademica e la pornografia inizia ad essere indagata come pratica culturale. È in questi stessi anni che la Rete permette la proliferazione di produzione audiovisiva pornografica rendendone l’accesso a portata di tutti. Non si assiste solo alla moltiplicazione quantitativa della produzione pornografica, ma negli ultimi tempi si evidenzia un processo di diversificazione dell’offerta, provando ad intercettare sempre nuovi target di mercato. I contenuti così si segmentano sempre di più e si categorizzano attraverso il proliferare di generi e tag. L’innovazione tecnologica ha reso accessibile con semplicità ogni contenuto pornografico attraverso smartphone e tablet, proteggendo la privacy dei consumatori, garantendo l’anonimato, una ricerca facile per generi e stili e, il più delle volte, in maniera gratuita.
Questa espansione della “pornosfera” moltiplica gli stili pornografici riuscendo ad intercettare nuovi sguardi spettatoriali, in particolare quelli femminili.
Pornhub - il più famoso portale di video porno al mondo - è un punto di osservazione privilegiato per indagare come il rapporto intenso con il porno sia entrato stabilmente nell’immaginario collettivo e nella pratica sessuale di uomini e donne. È tra i primi siti all’interno dell’industria pornografica ad eliminare le barriere di accesso al prodotto, rendendolo disponibile in ogni luogo ed in ogni momento. Si fonda sull’offerta gratuita di grandi quantità di materiale pornografico, organizzato in generi e sottogeneri e categorizzato in tag. È un network sociale a carattere pornografico: i pubblici consumano contenuti e allo stesso tempo possono produrli e parlarne. Semanticamente, quindi, i contenuti pornografici diventano dei contenuti “ordinari”, quasi banali nella loro ampia disponibilità e semplice accessibilità.
La ricerca che presentiamo mira, in particolare, a delineare i consumi pornografici delle donne.
In una prima fase sono stati analizzati i dati di fruizione che annualmente Pornhub pubblica, indicando le categorie preferite, differenziando il consumo secondo le variabili di età, genere e provenienza geografica (Pornhub Insights 2022). L’analisi delle categorie preferite dalle donne, delle dinamiche di navigazione femminile su Pornhub rispetto ai diversi Paesi del mondo, del tempo che le donne dedicano ai video pornografici e dei dispositivi scelti per la fruizione, sembrerebbe delineare una pornografia sempre più percepita come un genere d’intrattenimento socialmente legittimo.
Alla rilevazione quantitativa degli orientamenti delle consumatrici è seguita una fase della ricerca dedicata alla ricostruzione delle scelte di visione attraverso interviste alle spettatrici italiane di pornografia. La traccia dell’intervista semi-strutturata attraverso cui abbiamo delineato i significati che i testi pornografici assumono per le consumatrici è la seguente: una prima parte in cui si ricostruiscono tempi, modi e contenuti del consumo; una seconda parte che approfondisce la ricaduta che queste esperienze di visione hanno sulla costruzione del piacere e nella vita sessuale; infine una valutazione sulla rappresentazione dei corpi degli uomini e delle donne protagonisti della testualità pornografica.
Abbiamo provato a comprendere come donne di diverse età e con differenti background culturali si relazionano alla pornografia: questa operazione è indispensabile per arricchire l’attuale dibattito sul ruolo della pornografia nella società, documentando l’esperienza delle donne le cui voci, finora, sono state sottorappresentate in letteratura. Il modo in cui le audience effettive si rapportano ai contenuti mediali eccede, infatti, ogni quantificazione, ogni categorizzazione e ogni rappresentazione omogenea e oggettivante.
In occasione del convegno saranno illustrati i primi risultati della ricerca qualitativa.
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