Programma della conferenza

Sessione
Sessione 3 - Panel 3: Pratiche urbane
Ora:
Giovedì, 22.06.2023:
17:15 - 19:15

Chair di sessione: Pierluigi Musarò
Luogo, sala: Aula Starace

Secondo piano, Dipartimento di Scienze Politiche Palazzo Del Prete, P.zza Cesare Battisti 1

Presentazioni

La governance sperimentalista a scala locale: analisi di due casi nella città di Bologna

Sara Chinaglia, Giulia Ganugi

Università di Bologna, Italia

La crescente incertezza e dinamicità delle attuali sfide globali e locali sta mettendo a dura prova l’efficacia della governance top down, da un lato, e della governance bottom-up, dall’altro lato. In risposta al loro fallimento, in contesti vari, si stanno diffondendo forme di governance afferenti al modello della Governance Sperimentalista.

La governance sperimentalista prevede la definizione di un obiettivo generale. Gli attori potenzialmente coinvolti in questo obiettivo sono lasciati totalmente autonomi di impegnarsi al suo raggiungimento. Tuttavia, condizione necessaria per il mantenimento dell’autonomia è la puntuale e costante attività di reporting. Ciò è funzionale al processo di revisione durante il quale si svolgono attività di discussione e monitoraggio. Il processo si ripete in maniera iterativa ed è sostenuto da un meccanismo punitivo – “penalty default” – che si attiva in caso di mancanza di impegno da parte dei singoli.

Questo modello di governance si è esplicitato efficacemente in numerose applicazioni a livello internazionale, che sono state oggetto di analisi da parte della letteratura attualmente disponibile. Tuttavia, caratteristiche come la vulnerabilità, l’incertezza e la complessità coinvolgono anche attori che agiscono a scale territoriali inferiori, come quella locale e comunale. Emerge dunque la necessità di esplorare applicazioni di governance sperimentalista in contesti locali, investigando quali caratteristiche del modello vengano riprodotte anche a questa scala e quali condizioni si dimostrino favorevoli o sfavorevoli allo sviluppo della governance sperimentalista. Il contributo mira ad avanzare riflessioni in tal senso, prendendo in esame due studi di caso, totalmente differenti, ma accomunati dalla scala territoriale di sviluppo. La città di appartenenza di entrambi i progetti è la Città di Bologna. Il primo caso è Campi Aperti, un’Associazione di produttori/produttrici che rivendica i valori dell’agricoltura contadina e della sovranità alimentare. Si inserisce nel contesto delle reti di cibo alternative, che includono valori tipicamente non contemplati (se non in modo marginale), dal sistema agrifood convenzionale. L’alternatività promossa dall’Associazione riguarda anche la governance, che si basa su rapporti di fiducia e sulla collaborazione di tutti i membri che gestiscono l’attività attraverso assemblee generali e la creazione, al bisogno, di gruppi di lavoro ristretti dedicati alla gestione di tematiche più specifiche e tecniche. Il meccanismo chiamato Sistema di Garanzia Partecipata, infine, monitora il rispetto delle regole da parte di tutti i membri, che in caso di violazione vengono esclusi.

Il secondo caso è la stipula del “Nuovo Patto per l’amministrazione condivisa”. Il percorso si è svolto nel 2022, attivato dal Comune di Bologna, facilitato da Fondazione Innovazione Urbana e supervisionato da un comitato scientifico. L’obiettivo generale era la tutela dei beni comuni. Sono stati coinvolto uffici e responsabili amministrativi e circa 500 organizzazioni civiche e di Terzo Settore. Il risultato è stata la scrittura del patto e il rinnovo del Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni già adottato dal 2014. Il processo è stato caratterizzato da numerose fasi di revisione delle istanze raccolte da ogni attore. Non è stato sviluppato, invece, nessun meccanismo punitivo. In entrambi i casi, non si riscontra una piena realizzazione della governance sperimentalista: Campi Aperti non ha rapporti collaborativi e regolari con le istituzioni locali della Città, mentre il percorso del Patto non ha sviluppato meccanismi punitivi. Tuttavia, sono rilevanti – perché alternativi rispetto a progetti simili – gli sforzi compiuti in entrambi i casi per allargare la platea di attori coinvolti e la loro attivazione e responsabilità diretta verso l’obiettivo finale. Le condizioni favorevoli allo sviluppo di questa governance sembrano essere, in entrambi i casi, una cultura politica e civica afferente ai valori dell’inclusione e della giustizia sociale; le condizioni sfavorevoli, invece, sono la mancanza di risorse per la gestione di organizzazioni governative tali.



Il ruolo ambiguo della ‘designazione’ delle città nei processi di produzione spaziale: il caso delle Capitali della Cultura in Italia

Gaia Amadori, Matteo Tarantino

Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Italia

I tentativi di branding delle città svolgono un ruolo importante all'interno dei generali processi di produzione socio-spaziale (PSS). Se analizzate attraverso queste lenti teoriche (come il modello RPM – Rappresentazioni, Pratiche, Materialità - proposto da [ANONIMIZZATO]), le azioni di city branding (Kemp et al., 2012) possono essere lette come tentativi (con alterne fortune) di affermare determinate rappresentazioni dello spazio, al fine di favorire specifiche trasformazioni fisiche e promuovere specifici set di pratiche d'uso degli spazi urbani. Mega-eventi come le Olimpiadi o l’Expo sono stati storicamente acceleratori di operazioni di branding delle città (Ritchie, 1984). Designazioni temporanee come la "Capitale Europea della Cultura" o "Capitale Italiana della Cultura" si collocano all'intersezione tra city branding e mega-eventi, poiché condividono con questi ultimi la natura temporanea e le pratiche di candidatura competitiva e con il primo l'attenzione alle rappresentazioni. La macro-domanda di ricerca è quindi: come impattano tali designazioni sui processi generali di produzione socio-spaziale di una città? In particolare quali conseguenze hanno sulla dimensione rappresentazionale?

Metodi

Il presente contributo si concentra principalmente su una componente delle pratiche di PSS, ovvero l'aspetto rappresentazionale. Dal punto di vista metodologico, la ricerca si focalizza sulle recensioni sulla piattaforma online TripAdvisor (n=1259, comprese tra lo 0,01% e circa lo 0,50% del totale delle recensioni per ogni città) relative alle 10 città designate "Capitale Italiana della Cultura" tra il 2015 e il 2022 (Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna, Siena, Mantova, Pistoia, Palermo, Parma, Procida), nonché di Matera, nominata "Capitale Europea della Cultura" nel 2013. TripAdvisor è stata selezionata come piattaforma d’analisi in quanto spazio privilegiato per la condivisione e valutazione di esperienze relative a città e luoghi di interesse.

L’analisi procede quindi articolando un mix di tecniche di Natural Language Processing (frequenze di parole e n-grammi, collocazioni) e di codifica manuale dei nuclei tematici su tutte le recensioni che fanno riferimento alla designazione a Capitale della Cultura, a cui si combinano gli indicatori forniti dalla recensione stessa, quali il rating e tipologia di attrazione (alloggio, food & beverage, punti di interesse). Gli usi strategici dei riferimenti sono infine stati tipologizzati in tre cluster (narrativo, risonante e polemico).

Risultati e conclusioni

I risultati principali evidenziano una serie di tendenze. Innanzitutto, la designazione a “Capitale della Cultura” agisce sempre più come motore di interesse verso una città, e quindi come potenziale fattore di negoziazione della sua immagine, come testimoniato dalla crescente incidenza proporzionale sul totale delle recensioni nell’arco del periodo di osservazione. Tuttavia, il suo potere rimane limitato, soprattutto a livello italiano, come testimoniato dalla proporzione esigua di discorso attivato dalla nomina. Allo stesso tempo, la designazione agisce anche come fattore di stress sull'immagine della città, andando potenzialmente a colpire i suoi punti deboli, in particolare il degrado urbano. Lamentele di carattere politico, sociale ed economico riguardo alle configurazioni spaziali sono infatti articolate tipicamente nelle recensioni a 1 stella, dove la titolazione viene mobilitata polemicamente come aggravante. Questo uso si interseca con l'interfaccia e le affordances algoritmiche di TripAdvisor , in cui gli utenti sono facilitati nella navigazione dalla possibilità di filtrare le recensioni focalizzandosi su quelle a 5 e 1 stella, fornendo così visibilità a queste ultime e potenzialmente rafforzando il loro ruolo nelle controversie socio spaziali.



Pratiche e immaginari della natura selvatica, tra crisi e rigenerazione della vita urbana

Roberta Bartoletti, Enrico Mariani, Francesco Sacchetti

Università di Urbino Carlo Bo, Italia

Le nature urbane costituiscono attualmente un importante posta in gioco per la qualità della vita urbana per il loro valore sia ecologico, culturale e sociale, dimostrato dalle crescenti rivendicazioni di movimenti sociali e dall’impegno dei cittadini nella loro cura (De Biase et al., 2018; Bartoletti e Faccioli, 2020, Trentanovi et ali 2021a).
Presentiamo i primi risultati di una ricerca etnografica in corso sui boschi urbani spontanei. Il primo caso di studio che stiamo realizzando sono i Prati di Caprara nella città di Bologna, un’ex area militare di 27 ettari che si è rinaturalizzata dopo anni di abbandono a causa della cessazione della sua originaria destinazione e che da diversi anni è al centro di un movimento cittadino di protesta (Trentanovi et ali 2021b).
La ricerca nel suo complesso intende indagare significati, valori e pratiche di fruizione del bosco urbano, dove una comprensione di queste valorizzazioni è considerata indissociabile da una analisi delle pratiche attraverso le quali queste nature sono prodotte nella vita quotidiana (McNaghten & Urry 1998; Bartoletti & Cecchelin 2016). Da questa prospettiva i significati culturali, le pratiche spaziali osservabili e le identità espresse dagli attori sono processi costitutivi del divenire co-evolutivo dei contesti socio-ecologici.
Nel caso specifico del bosco dei Prati di Caprara abbiamo individuato nella pratica del camminare una delle principali forme di appropriazione e uso da parte dei cittadini (de Certeau 2010). Stiamo quindi sperimentando la walking ethnography (Kusenbach 2003; Lee Verngust, Ingold 2016), la quale si configura come sistema di ricerca particolarmente adeguato per indagare il valore e il significato delle pratiche di fruizione del bosco urbano. Camminare in dialogo insieme ai fruitori del bosco urbano si offre come base per condividere processi di produzione di significati e socializzazione in cui dimensione sociale, materiale, discorsiva e sensoriale (Pink 2015, Sacchetti 2016) si integrano. Inoltre la ricerca è strutturata come una team ethnography che mira a una costruzione congiunta di narrazioni attraverso “sguardi plurali” (Erickson e Stull 1998), in cui differenti sensibilità e background contribuiscono a cogliere e seguire aspetti differenti sul campo e a esercitare criticamente un confronto riflessivo sulle pratiche di ricerca.
Nel caso studio selezionato il camminare nel bosco, così come ogni altra pratica di uso, è inoltre illegale in quanto l’accesso all’area non è autorizzato dalla proprietà - una società pubblica di gestione del patrimonio statale. Camminare nel bosco, da parte dei cittadini e degli stessi ricercatori, è quindi in potenza un atto non solo ricreativo ma anche politico, con gradi di consapevolezza variabile in relazione ai diversi soggetti che lo praticano (che possono essere attivisti, cittadini, abitanti informali, artisti, studenti e studiosi…).
Verranno presentati i primi risultati della ricerca su campo, che ha individuato alcuni nodi tematici centrali:

- le valorizzazioni della natura selvatica, caratteristica delle aree rinaturalizzate in modo spontaneo, scarsamente gestite o abbandonate, nei contesti urbani;
- il bosco urbano come elemento attivo nel rapporto degli abitanti con la città, capace di riconfigurare e trasformare il rapporto con l’urbano,
- il significato delle diverse pratiche di fruizione intercettate individuali e collettive, intime o socievoli, ecc.



Nuovi immaginari migratori per le periferie europee: una riflessione sui metodi creativi tra co-costruzione della conoscenza e narrative alternative

Paola Parmiggiani, Melissa Moralli, Chiara Davino

Università degli studi di Bologna, Italia

Negli ultimi anni si è assistito ad una crescente riflessione a livello globale sulla presenza di iniziative di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in aree rurali, montane e periurbane (Perlik et al., 2019). Data la scala locale della maggior parte di queste iniziative, gli immaginari che le caratterizzano rimangono poco indagati. In molti Paesi europei, le narrazioni riguardanti la presenza migratoria nelle aree rurali sono legate ai sistemi di accoglienza dei richiedenti asilo e alle sfide dell'integrazione, alla sicurezza delle frontiere e allo sfruttamento dei migranti in alcuni settori economici (Associazione Carta di Roma, 2022), mentre viene lasciato poco spazio alle comunità locali che vivono in queste aree. In che modo è possibile co-costruire delle narrative alternative sulla diversità culturale presente nelle aree non-urbane? Basandosi sui processi interpretativi che operano a livello di immaginario (Castoriadis, 1997), il progetto “Connections. Collaborative imaginariesof territories in change across Europe”, sviluppato nell’ambito del progetto europeo Horizon2020 “Welcoming Spaces” ha voluto contribuire a visualizzare le prospettive locali sul mondo, diventando uno strumento di trasformazione per quei soggetti che di solito non hanno voce (Couldry, 2010). Il progetto ha adottato il metodo del photovoice (Wang, 1997) per indagare le narrazioni sviluppate dalle comunità locali in Italia (Camini), Paesi Bassi (Groningen), Spagna (Talayuela), Polonia (Lomza) e Germania (Altenburg) per valorizzare la partecipazione attiva di queste comunità nel de-costruire il termine "accoglienza" e nel "ri-costruirlo" attraverso il loro sguardo. Dopo una breve presentazione del progetto, il contributo si concentrerà su due aspetti specifici. Il primo riguarda il processo di co-costruzione della conoscenza, i suoi limiti e le sue potenzialità. Negli ultimi decenni le metodologie creative hanno contribuito ad alimentare la crescente riflessione sulla produzione di conoscenza all'interno e all'esterno dell'accademia (Nikielska-Sekula, Desille, 2021).

Queste metodologie sono particolarmente importanti per rivisitare le relazioni tra ricerca, azione e cambiamento sociale, intervenendo spesso sulle forme di emarginazione e sulle rappresentazioni distorte che ruotano intorno a fenomeni sociali complessi come la migrazione. Tali approcci aprono spazi per voci diverse e incoraggiano nuove forme di produzione e diffusione della conoscenza (Giorgi,Pizzolati, Vacchelli, 2021). Inoltre, si basano su una conoscenza interdisciplinare e collaborativa e possono essere concepiti come processi collettivi che ampliano la comunità di indagine e interpretazione per includere soggetti diversi. Inoltre, intervengono sulla dimensione narrativa e comunicativa della migrazione per combattere ingiustizia ed esclusione sociale.

Il secondo livello si riferisce alla dimensione visuale e narrativa del progetto e riguarda la capacità delle metodologie creative nel contribuire alla definizione di strutture narrative e comunicative alternative a quelle dominanti, grazie al coinvolgimento attivo di partecipanti alla ricerca nel momento della produzione delle immagini e durante la loro analisi. La migrazione, infatti, è un fenomeno sociale caratterizzato da un alto livello di distorsione mediatica, che spesso polarizza lo sguardo su una visione umanitaria, che rischia di inasprire le diseguaglianze sociali a sfavore delle persone migranti, o sempre più spesso una visione securitaria, che dipinge la migrazione come un fenomeno che mette a rischio la sicurezza nazionale (Musarò, Parmiggiani, 2022). Conseguentemente, tali distorsioni mediatiche possono anche avere come effetto la cristallizzazione di forme di esclusione sociale, comportamenti razzisti e politiche securitarie (Smets et al., 2019). Risulta cruciale decostruire queste rappresentazioni per ricostruire nuovi immaginari sulla diversità e sulla convivialità interculturale partendo da quei soggetti che in primis vivono un percorso migratorio. Per questo motivo, la seconda parte del contributo si propone come una riflessione sulle modalità con cui la ricerca presentata si è trasformata in uno spazio di amplificazione della voce dei partecipanti, sia residenti di lunga data sia nuovi arrivati, al fine di co-costruire nuove rappresentazioni sulla migrazione nelle aree rurali europee.



Il cambiamento dell’appartenenza ai gruppi religiosi locali nel panorama urbano italiano

Olga Breskaya, Stefano Sbalchiero

Università di Padova, Italia

Gli studi empirici sulla crescente diversificazione della vita religiosa in Italia hanno indicato la continua crescita degli aderenti alle minoranze religiose e la contemporanea diminuzione del numero di cattolici (Garelli 2020). Pur descrivendo le dinamiche a livello di religiosità individuale, questi studi non coprono il livello delle comunità religiose, ossia le configurazioni della diversità religiosa in atto all’interno dei gruppi religiosi locali in termini di cambiamenti nelle modalità di appartenenza, partecipazione e attività che essi promuovono. Tuttavia, le dinamiche socio-religiose all'interno delle comunità locali, "in quanto unità di base della vita religiosa", "rappresentano contesti sociali e organizzativi ricchi, in cui un'ampia gamma di questioni sociologiche può essere affrontata in modo fruttuoso" (Chaves et al. 1999, 458). Le trasformazioni nelle modalità di appartenenza, partecipazione, leadership, socialità, attività di volontariato e pratiche di inclusione non possono essere considerate separatamente dai cambiamenti generazionali all'interno di questi gruppi religiosi locali.

l presente lavoro si focalizza sui risultati di una ricerca quantitativa condotta tra il 2020 e il 2021 su un totale di 566 comunità religiose studiate nelle città di Bologna, Milano, Brescia e dintorni. Sono stati censiti tutti i gruppi religiosi locali delle tre città e il responsabile per gruppo è stato intervistato tramite il questionario “Congregations Study” (Ammerman 1997; Chaves et al. 1999). Da un punto di vista metodologico, si tratta della prima applicazione della metodologia del National Congregations Study (NCS) in Italia all'analisi della composizione sociale, della struttura e delle attività delle comunità religiose. Il NCS, condotto per la prima volta negli Stati Uniti da Chaves (Chaves 2004) e in Svizzera da Monnot e Stolz (Stolz e Chaves 2017; Monnot and Stolz 2018) ha permesso di esplorare le dinamiche di appartenenza, partecipazione, attività sociali svolte e cambiamenti generazionali all'interno di sei tradizioni religiose studiate nelle tre città che abbiamo considerato.

La nostra domanda di ricerca - quali sono le modalità di appartenenza, partecipazione e cambiamenti generazionali dei gruppi religiosi locali in tre città italiane, attraverso tutte le tradizioni religiose – si è focalizzata sull’esplorazione delle differenze (e le somiglianze) tra i gruppi religiosi locali, quindi tra gli appartenenti alla tradizione religiosa dominante (cattolicesimo) e i gruppi minoritari esplorando la diversità religiosa all'interno dei contesti urbani. In modo particolare, lo studio della diversità religiosa all'interno delle città, rispetto alla scala nazionale, suggerisce la possibilità di un'analisi più dettagliata delle dimensioni della diversità, scoprendo "una realtà sostanzialmente più ricca e dinamica" (Bouma et al. 2021, p. 2). Da questo punto di vista è possibile considerare una composizione religiosa più complessa, i processi migratori e le dinamiche delle comunità locali, mostrando come la diversità religiosa (Burchardt 2019; Martínez-Ariño 2019) possa essere analizzata attraverso la varietà di forme di partecipazione religiosa, di insegnamento, di culto, nonché di impegno sociale e di iniziative interreligiose dei gruppi religiosi locali.

I risultati del nostro studio mostrano che negli ultimi 10 anni le dinamiche di crescita della partecipazione religiosa regolare di adulti e bambini risultano diversificate all'interno delle comunità, così come le modalità di adesione e partecipazione variano a seconda delle tradizioni religiose presenti nelle tre città considerate (Bologna, Milano e Brescia). In particolare, illustreremo le differenze tra l'appartenenza formale a gruppi religiosi, il numero di persone associate in qualche modo alla vita religiosa di questa congregazione e il numero di persone - sia gli adulti che i bambini - che partecipano settimanalmente alle funzioni o ad altre attività della congregazione specificamente incentrate sulla trasmissione della tradizione religiosa ai giovani di tutte le tradizioni religiose.