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Sessione 2 - Panel 6: Temporalità e soggettivazione: il sé individuale e collettivo tra presente in-memore e futuri possibili
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Presentazioni | ||
Temporalità e soggettivazione: il sé individuale e collettivo tra presente in-memore e futuri possibili 1Università di Parma, Italia; 2Università Federico II Napoli; 3Sapienza Università di Roma; 4Università della Calabria; 5Università di Genova; 6Universidade Federal do Rio de Janeiro; 7 Temporalità e soggettivazione: il sé individuale e collettivo tra presente in-memore e futuri possibili Il panel si focalizza sulla categoria concettuale di “futuro possibile” come prodotto culturale e come esperienza individuale e collettiva (Jedlowski 2017; Pellegrino 2019, 2020), per esplorarne le potenzialità nei processi di costruzione del sé e dell’altro, e nella ridefinizione di “soglie” temporali intese come spazi, tempi, ritualità, interazioni dentro le quali i soggetti acquisiscono consapevolezza del tempo storico. In particolare, vogliamo riflettere su come l’immaginario circa il futuro e lo spazio psico-sociale delle "soglie" si diano oggi, su come sia possibile inquadrare i processi cognitivi, individuali e gruppali, e le esperienze che rigenerano i nessi memoria-visione, passato-futuro, sul modo in cui questi nessi sostengono l’elaborazione di un senso e di una direzione della storia anche dentro un presente schiacciato sull’emergenza e dentro ingiunzioni conservatrici di futuro schiacciate sulla paura e il mantenimento dello status quo. Se da un lato, infatti, i regimi di verità neoliberali evocano costantemente la fine del presente, dall’altro lato il presente stesso diventa l’unica dimensione temporale abitabile a fronte di un futuro impensabile e di cui non si possiede la grammatica, in una dinamica culturale che legittima e naturalizza l’attuale ordine sociale, ma che pur manifesta riaperture impreviste (tra gli altri, si vedano su questo gli ultimi scritti di Fischer). Presi in questa morsa culturale, individui e gruppi cercano di elaborare un discorso sulla storia a venire che li liberi dalla “inevitabile sconfitta” che viene loro somministrata. A partire da queste considerazioni, vorremmo interrogarci più specificamente su come possa avvenire una elaborazione critica della storia passata in chiave di riapertura a un futuro post-neoliberista, magari proprio laddove tale elaborazione è stimolata da cambiamenti radicali e portatori di forte spaesamento. Vorremmo interrogarci sui modi in cui i soggetti riescono oggi a risignificare il presente riaprendo a futuri possibili, inquadrandoli in senso ampio (attraverso categorie teoriche) e in senso più specifico (attraverso i risultati di ricerca) come discorsi valoriali, etici, politici che si danno oggi dentro condizioni precarie, di lotta, di innovazione sociale con le quali stiamo facendo ricerca. In questo contesto si collocano i campi di indagine proposti nel panel: la riflessione sullo spazio culturale e psicosociale della frontiera, ad esempio, visto come insieme di processi di bordering e debordering, di contenimento e affermazione della mobilità, che ridisegnano il senso della storia individuale e collettiva (si veda Anderlini e Fravega 2023); ma anche la riflessione sulla neo-imprenditoria meridionale, apparentemente così diversa eppure simile proprio per il modo in cui lo spazio della peregrinazione assume consistenza nella prefigurazione di nuovi scenari (si veda Vatrella e Serpieri 2022). Accostando questi mondi, così distanti ma connessi rispetto alle tematiche di cui parliamo, cercheremo di inquadrare la temporalità insita nelle azioni sociali, il senso del possibile e le rappresentazioni di “futuro possibile”. Infine, la discussione mira ad esplorare la categoria di “futuri possibili” come produzione di senso sollecitando interventi che ragionino sui processi di soggettivazione nelle loro molteplici declinazioni individuali e collettive. Vorremmo chiederci tra le altre cose: - Come definire i futuri possibili quali prodotti, esiti psico-culturali che emergono nei processi di costruzione del sé e degli altri; quali sono le modalità e i processi di soggettivazione in grado di svolgere una funzione “etopoietica”, di autogoverno etico; - Se e in che termini i futuri possibili emergono/si realizzano quando il sé è implicato in contesti di “soglia temporale”, cioè in interazioni, contesti e pratiche sociali in cui il passato viene dis-locato, ridefinito, rievocato criticamente per allargare la rappresentazione del tempo a venire dentro un conflitto tra gruppi sociali e memorie differenti; - Se e in che termini nuovi mondi possibili emergono/si realizzano quando il soggetto individuale e collettivo ricostruisce i nessi tra spazio e tempo, vale a dire si allontana dalla “fine del futuro” ri-significando l’ordine dellonello spazio; e così via. *** Il panel - con le 4 relazioni - sarà introdotto e concluso con 2 brevi performance visuali di ricercatoriartisti che hanno fatto del vissuto individuale e collettivo del tempo il proprio oggetto di lavoro: Introduzione ai lavori: Opher Thomson (artista visuale): Etnografie visuali e soggetti nello spazio-tempo (https://www.christopherthomson.net/italiano ); Conclusione dei lavori: Luisa Stagi (Uni Genova) e Alessandra Vannucci (Uni Federal Rio de Janeiro): Futuri possibili. Il posto del desiderio tra vecchie narrazioni e nuovi scenari, progetto del Laboratorio Visuale Uni Genova (https://palazzoducale.genova.it/futuri-possibili/). *** Spazio e temporalità nei processi di costruzione del sé Sandra Vatrella (Uni Federico II Napoli) e Lia Fassari (Uni Sapienza Roma) Nel conteso del regime neoliberale di verità, considerato come “stile generale del pensiero, dell'analisi e dell'immaginazione" (Foucault, 2008: 219), attraverso il quale l'homo œconomicus prende forma come imprenditore di se stesso e le relazioni sociali si riorganizzano intorno alla nozione di impresa (McNay, 2009), i processi di costruzione del sé orientati al futuro sembrano volti unicamente a produrre e migliorare quello che Becker (1962) ha definito "capitale umano". In questo contesto a realizzarsi è una specifica configurazione dello spazio che si da’ nell’erosione dei suoi stessi confini e nel restringimento dei suoi orizzonti, in breve nell’attraversamento; nell’affermazione di una mobilità da intendersi nell’accezione foucaultiana, come quella capacità individuale di spostarsi per ottenere un miglioramento di status, di remunerazione. In questa prospettiva, da un lato la mobilità diviene un investimento al quale ci si trova disposti proprio in funzione del miglioramento che ne risulterà, dall’altro l’individuo diviene investitore chiamato a costruire se stesso come unico responsabile del proprio capitale e del proprio guadagno (Foucault 2008). Così, per garantire il successo dell’intrapresa, l’imprenditore di se stesso si trova come invischiato in un presente al quale imprimere un’accelerazione (del lavoro, del consumo, del movimento e dello scambio) che finisce per spostare e confondere gli orizzonti temporali della sua stessa realizzazione. In questo quadro, la trasformazione delle soggettività, la possibilità cioè di intraprendere processi di soggettivazione autonoma che consentano di sfuggire alle soggettivazioni dei regimi di verità neoliberale costituisce a ben vedere la posta in gioco etica individuale e collettiva del nostro tempo (Marzocca 2017). Il tema è affrontato a partire da alcuni dei risultati ottenuti nell’ambito del più ampio progetto di ricerca Prin Mapping Youth Futures. Forms of anticipations and youth agency, sulla base cioè di una base empirica di 40 interviste condotte seguendo l’approccio biografico del racconto di vita (Bertaux, 2002; Demazière e Dubar 1997), a giovani imprenditori che operano in Lombardia, Campania, Sardegna e Calabria. A partire da questo studio, il contributo si propone di mostrare come il tentativo di sfuggire al proprio destino auto imprenditoriale si realizzi attraverso un complesso intreccio di temporalità che tende a spazializzarsi, a risignificare il vecchio ordine dello spazio attraverso forme di riflessività estetica a cui si associano posizioni etiche di resistenza, nella specifica configurazione della restanza (Teti 2019), ma anche della risonanza (Rosa 2019). Di qui, si mostrerà infine come questo lavoro sul sé consenta la messa a punto di strategie interstiziali con cui una nuova etica del futuro sembra infine prefigurarsi per sé e per gli altri. *** Soglie come esercizi di trasformazione sociale. Sentire il presente per re-immaginare il futuro Paolo Jedlowski (Uni Calabria) e Chiara Falcone (Uni Calabria) Dopo alcune considerazioni generali sui “mondi possibili”, l’intervento si muoverà intorno alla domanda: che relazioni ci sono tra estetica e mutamento sociale? Le dinamiche interstiziali delle soglie suggeriscono che il cambiamento avviene quando gli intravisti e gli imprevisti del presente vengono percepiti come energie potenziali in grado di ricaricare la capacità immaginativa, generando visioni alternative di futuro.La stessa quotidianità può essere riconfigurata attraverso esercizi percettivi di presenza e co-creazione, che, allenando alla sensibilità condivisa, ridisegnano l’architettura del paesaggio esperienziale ampliando l’orizzonte del possibile. I modi di vita, personale e collettiva, possono essere rimodellati da una consapevolezza sensibile, ecologicamente comune, attivata in spazio-tempi di soglia.A titolo esemplificativo il contributo riporterà le esperienze quotidiane di attivatori culturali (tras)formativi coinvolti in una ricerca condotta con metodologie visuali partecipative nel territorio calabrese. *** In-memorare. Pratiche di riapertura del futuro attraverso la memoria critica del passato. Un caso di studio sulla frontiera Jacopo Anderlini (Uni Parma) e Vincenza Pellegrino (Uni Parma) Molti contesti sfidati da mutamenti sociali radicali e da retoriche distopiche sulla fine catastrofica della modernità reiterano uno schiacciamento sul presente in cui pare che ogni azione sociale abbia un corto respiro politico e si ispiri all’emergenza. Potrebbe essere questo il caso delle aree di frontiera, dove le conseguenze delle politiche migratorie europee attraverso la militarizzazione dei confini marittimi e terrestri, e la criminalizzazione non solo di chi migra ma anche di chi svolge attività di supporto e solidarietà a chi è in transito, creano uno spazio di morte (annegamenti e congelamenti dei migranti) e una resistenza apparentemente legata alla nuda vita e al presente (chi è solidale con i migranti pare lavorare per salvarli da quella morte, appunto). Ma una più attenta osservazione mostra una coabitazione molto più complessa tra immaginari utopici e distopici nutrita dall’oscillazione tra sentimenti catastrofici e spinte legate a idealità emergenti, nuove e specifiche. Le relazioni che si generano all’interno della frontiera producono un tessuto sociale complesso, dove razionalità, rappresentazioni e pratiche sfuggono le dicotomie e i “confini” sociali tra i soggetti si fanno più sfumati. All’interno del perimetro descritto dalle necropolitiche migratorie europee si muovono una molteplicità di attori, animati da interessi e prospettive differenti: migranti, pescatori, guardiacoste, guide alpine, attori della solidarietà che portano non solo visioni di chiusura e di difesa, ma anche voci, pratiche, immaginari di apertura definitiva del confine, visioni che non trovano spazio nel dibattito mediatico e che invece manutengono la porosità e fluidità della frontiera, e in qualche modo rendono complesso il campo dei vissuti e delle visioni su ciò che dovrà essere. È con questo campo che, come ricercatrici e ricercatori, siamo entrati in relazione. Quanto vorremmo presentare riguarda il lavoro etnografico sviluppato nei luoghi della frontiera interna – il confine alpino – ed esterna – il confine del Mediterraneo, nel quale abbiamo raccolto narrazioni individuali e gruppali sui “futuri passati”, i futuri sperati in passato e oggi rielaborati e in grado di risignificare in modo particolare il discorso sulla mobilità. Memorie legate al territorio di frontiera portate dai soggetti che lo abitano, si mescolano a memorie delle frontiere già passate altrove portate da chi migra. Memorie differenti che messe in relazione ridisegnano l’idea di mobilità e di sedentarietà, e mostrano un immaginario molto ricco su un ordine sociale ispirato alla fine dei confini. In tal senso, più di altri luoghi, lo spazio sociale della frontiera pare ospitare la tensione tra chiusure e aperture al cambiamento, tra spinte competitive e mortifere da un lato e spinte di collaborazione e solidarietà dall’altro lato, tra distopie e utopie contemporanee che molto hanno a che vedere con l’assunzione critica della storia coloniale, così profondamente legata al dispositivo del confine e alla sua evoluzione. *** La dislocazione del tempo a venire nella mobilità migrante. Futuri (im)possibili Enrico Fravega (Uni Genova) e Federico Rahola (Uni Genova) Se ci liberiamo dalla prima, e apparentemente egemonica, scorza di senso comune – il mare e il canale di Sicilia come confini da difendere – possiamo intravedere rapidamente un’altra narrazione, ancorata alla memoria e all’emozione, con al centro un paesaggio di incontri, di porosità, di relazioni, ma anche l’emergere di una serie di tensioni e contraddizioni che riguardano le rappresentazioni e le auto-rappresentazioni di questi territori nel discorso pubblico. In questa prospettiva, quello che era confine prende le sembianze di una piazza liquida in cui le memorie storiche dei pescatori si in/s-contrano con gli immaginari dysneificati del turismo (Queirolo Palmas, Rahola, 2022), mentre le pratiche di solidarietà e di soccorso in mare entrano in corto-circuito con le politiche di securitizzazione dei confini (Anderlini, Fravega, 2023; Fravega, Queirolo Palmas, 2023). Una sorta di spazio di attrito tra memorie personali, discorso pubblico e narrazioni mediatiche, ma anche con dispositivi di legge, provvedimenti amministrativi e pratiche di polizia, attraverso cui gradualmente si ridisegnano le geografie culturali del Mediterraneo – allontanando la sponda Nord dalla sponda Sud e mettendo in crisi l’idea stessa del “mare di mezzo” – ma anche ridefinendo i “futuri possibili”. Scrive Robert Musil (1998), ne L’uomo senza qualità, “il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere”, perché è la realtà che suscita la possibilità. Ma il Mediterraneo è fatto anche di storie non narrate, con diverse temporalità, così come di silenzi, zone d’ombra e di oblio che nel loro intessersi con la parola detta, producono specifici regimi di verità. Riprendendo il topos del Mediterraneo nero (Gilroy, 1993; Kelly, 1983; Proglio, 2019 Robinson, 1983), in questo paper ci interroghiamo sul rapporto che intercorre tra storie subalterne e dispositivi confinari e su come in questa articolazione siano rinvenibili futuri possibili, e impossibili, diversi. Seguendo Chambers (2012) si tratta, dunque, di prendere in considerazione il mare – e ciò che prende forma in, o attraverso di, esso - come il laboratorio di un’altra contemporaneità in cui l’organizzazione egemonica del tempo e dello spazio è guardata di traverso, dirottata, e sovvertita da altri resoconti. Il presente contributo si basa sul lavoro di ricerca etnografica realizzato nel quadro di un progetto di ricerca PRIN (MOBS. Mobilities, solidarities and imaginaries across the borders) attualmente in corso, che si concentra sullo spazio marittimo del Canale di Sicilia, ed è focalizzato sulle più ampie trasformazioni sociali e culturali che prendono forma a cavallo delle due sponde del Mediterraneo, in conseguenza dell’imposizione di un regime di controllo confinario mortifero. A partire da questo lavoro, il presente contributo si propone di mostrare come il dispositivo confinario si configuri come un potente dispositivo culturale che agisce sull’intreccio di temporalità diverse producendo i futuri (im)possibili e rivelando chi ha il diritto a narrare e a immaginare il futuro, e chi no. |