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Sessione 2 - Panel 5: Immagini, retoriche discorsive e figure della crisi dopo il 2008. Un’ipotesi di ricerca comparativa e socio-culturale.
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Immagini, retoriche discorsive e figure della crisi dopo il 2008. Un’ipotesi di ricerca comparativa e socio-culturale. 1University of Modena-Reggio Emilia, Italia; 2Università Telematica “Universitas Mercatorum”; 3Università Iulm; 4Università di Bologna I lessici della crisi percorrono la riflessione dei classici della sociologia e della filosofia dell’Ottocento e del Novecento, ma la loro diffusione ha avuto un significativo ulteriore incremento nel corso degli ultimi anni. Per la precisione dal periodo 2008-2011, quello della crisi finanziaria (o Grande crisi, per l’appunto) generata dall’esplosione della bolla dei mutui subprime iniziata negli Stati Uniti già nell’agosto del 2007. Da allora la successione di crisi a livello globale si è fatta sempre più serrata e incalzante, mettendo appunto “in crisi” anche, sul piano narrativo e ideologico, la concezione di una globalizzazione felix eredità della versione ottimistica del discorso sulla fine della storia post-1989. La crisi ecologica e climatica; la crisi recessiva seguita a quella finanziaria; l’immane crisi sanitaria della pandemia da Covid-19; gli shock economici – tanto sul lato dell’offerta che su quello della domanda, e il generale senso di incertezza che ha soffocato investimenti e consumi – derivati dalla crisi pandemica (Consob, https://www.consob.it/web/investor-education/crisi-sanitaria-economica); e, sempre come suo corollario, la crisi delle policies e dei sistemi sanitari pubblici (e del welfare state già in difficoltà su numerosi versanti); la crisi e il disordine informativi (infodemia) che si situano nel contesto dell’ulteriore estensione e frammentazione dell’ecosistema mediale ibrido (Chadwick, 2007) e della piattaformizzazione dell’opinione pubblica (Sorice, 2020) e in quello della postverità, a proposito del quale nel XX secolo si sarebbe fatto ricorso alla formula della «crisi dei fondamenti»; sindemia quale intreccio di crisi sanitaria e sociale (sull’onda delle disuguaglianze cresciute in maniera esponenziale nell’età neoliberista). Nel discorso pubblico hanno fatto così il loro ingresso di recente anche le etichette di «poliacrisi» e «permacrisi» (la parola del 2022 per il Collins Dictionary), resa nota dalla presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde (ma utilizzata per la prima volta già nel corso dell’anno precedente dal direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità Hans Kluge). Ovvero, secondo il Dizionario Treccani, «una condizione di crisi permanente, caratterizzata dal susseguirsi e sovrapporsi di situazioni d’emergenza», che secondo alcuni economisti e attivisti politici costituisce una dimensione costitutiva del cosiddetto «realismo capitalista» (Fisher, 2009), con l’emergenza che andrebbe a costituire la nuova condizione fondamentale della governamentalità neoliberale (Foucault, 1979; 2007) per reagire a quella che, a sua volta, si sta configurando dalla fine degli anni Dieci del Duemila come una crisi sistemica (e delle premesse di diffusione e allargamento generale del benessere che accompagnarono la sua ascesa negli anni Ottanta del Novecento). La proposta di questo panel è quella di provare ad articolare un’analisi comparativa delle figure della crisi e degli immaginari da essa generati tra politica, media e informazione, società e cultura, formulando un’ipotesi sul susseguirsi di metafore di base, e relative narrazioni che avrebbero come “tenuto insieme” questo quindicennio. Le figure della crisi della politica (tra postdemocrazia e postpolitica), che trovano un paradigma rinnovato e problematico nell’influencer (paper 3). Le figure della crisi dell’intermediazione giornalistica come racconto di senso compiuto e che persegue – come da sua tradizione e deontologia – l’ideale normativo dell’obiettività; e, a sua volta, la crisi come oggetto del lavoro degli operatori dell’informazione (paper 4). La crisi delle interpretazioni del dibattito e del discorso pubblici italiani nella sfera giornalistica, politica e intellettuale nell’occasione del conflitto in Ucraina (paper 2). Le figure culturali della crisi ambientale e climatica entrate nell’immaginario collettivo attraverso le immagini dell’apocalisse, nell’intreccio con i filoni teorici della disastrologia e collassologia (paper 1). Come le metafore della crisi economica prima e poi ecologica e infine pandemica si sono concatenate e tenute insieme e soprattutto “tradotte” fra di loro? Si ritiene che ne possa derivare una pista di ricerca utile per rilanciare un programma di lavoro fra sociologia della cultura, dei media e della comunicazione in collaborazione con un’analisi socio- semiotica delle forme visive, discorsive e narrative.
. La «policrisi» e gli immaginari della disastrologia Federico Montanari, Università di Modena e Reggio Emilia Se quella odierna rappresenta l’epoca della cosiddetta «policrisi» e «permacrisi», nel suo ambito se ne segnala una più sistemica e di lunga durata. La crisi ambientale e climatica generata in primis dal global warming – rispetto alla quale, per molti versi, la transizione ecologica si propone come una risposta – è entrata nel discorso pubblico, dopo una lunga sottovalutazione. E rimanendo comunque oggetto di contestazione da parte del negazionismo climatico, all’origine di formule comunicative e narrazioni sociopolitiche antagonistiche rispetto a quelle che, da qualche anno, sono all’origine di forme rinnovate di “militanza” e mobilitazione politica giovanile. In maniera più carsica e meno appariscente, la crisi ambientale e la questione ecologica possono essere considerate le fonti primarie – o, quanto meno, tra le sorgenti principali – di un immaginario culturale e discorsivo qualificabile come “disastrologia”, fortemente rilanciato nella sua carica distopica anche – naturalmente – prima dalla crisi globale finanziaria del 2008, dalla pandemia di Covid-19; e infine dalla attuale guerra in Ucraina: definita, significativamente, da Edgar Morin, non come guerra mondiale, bensì “mondializzata”. Questo paper si ripromette di analizzare sul piano iconografico e discorsivo alcune manifestazioni, immagini e visioni dell’apocalisse, del rapporto possibile fra crisi e figure della “fine del mondo”. Tuttavia riteniamo essenziale proporre anche un piano più teorico-critico. A tale riguardo, in questi ultimi decenni (specialmente negli ambienti francofoni) uno dei riferimenti fondamentali è stato quello della «disastrologia», la quale ha trovato il suo alfiere nel filosofo e urbanista Paul Virilio (1932-2018). Il suo pensiero si è misurato costantemente con quella che è probabilmente la questione per eccellenza intorno a cui ruota il tipico tema “postmoderno”, nelle sue diverse declinazioni, ovvero del rapporto fra tecnologie, catastrofi e fine. Essa ha identificato il filo rosso profondo che dalle sue analisi sull’impatto della velocità nella ridefinizione della società arrivava sino alle riflessioni sui disastri come segno dei tempi e sino alla categoria di «stereorealtà» (la «realtà aumentata» derivante dallo sdoppiamento tra l’esperienza reale e quella mediale). Un’elaborazione sempre all’insegna di una vocazione fortemente critica che lo portava a esprimere giudizi molto preoccupati riguardo all’età della dromocrazia e del turbocapitalismo, compendiati nelle formule della sparizione dell’arte, dell’«epidemia dell’immaginario» e della museificazione del mondo come effetto della scomparsa della realtà. Altrettante visioni di una Terra desolata e smaterializzata in linea con il catastrofismo che promanava dal suo essere il teorico dell’incidente – dall’esplosione del reattore di Chernobyl ai crolli borsistici – quale esito inevitabile e ineluttabile a suo giudizio dell’avanzamento tecnologico (e del fallimento della razionalità tecnica). Era stato proprio questo l’ultimo approdo della sua meditazione, che si era spinta verso i lidi della «disastrologia» quale «neodisciplina» che derivava in maniera necessitata dalla «dromologia» (la scienza della velocità, manifestazione per antonomasia della precedente fase della modernità). La catastrofe è quella della civiltà termoindustriale che, secondo gli intellettuali che elaborano queste dottrine, sarebbe già ampiamente in azione. D’altra parte, questo paradigma andrebbe confrontato con analisi di tipo antropo-sociologico (ad es. Danowski e Viveiros de Castro) e con alcuni concetti, ripresi dallo stesso Virilio, di un altro filosofo come Guattari. Nella seconda parte del nostro intervento intendiamo quindi mostrare alcuni esempi, figure esemplari, immagini “di catastrofi” che sintetizzino l’andamento delle diverse fasi discorsivo-retoriche di questo quindicennio della “policrisi”. Questo paper intende dunque analizzare l’impianto culturale e teorico di fondo della disastrologia, insieme ad alcune delle sue più significative manifestazioni ed esempi artistico-visuali e mediali. . Il dibattito pubblico italiano sulla crisi ucraina: Un’analisi dei frame mediali e visuali dominanti Marco Solaroli, Università di Bologna L’avanzata delle truppe russe e lo scoppio della crisi in Ucraina nel febbraio 2022 hanno riscontrato una forte risonanza mediale e politica in Italia, alimentando dibattiti interpretativi sulle cause e le possibili ricadute del conflitto. A seguito della scelta del governo italiano di approvare le prime misure di supporto militare a Kiev, allineando la propria politica estera con quella dii altri paesi occidentali, diverse interpretazioni sono emerse e sono state diffuse in diversi contesti mediali e istituzionali. Questo paper analizza i più influenti orientamenti interpretativi caratterizzanti il dibattito pubblico italiano nella prima fase del conflitto. Integrando strumenti analitici dalla ricerca sui frame mediali e visuali, il paper studia la costruzione e i processi performativi attraverso i quali diversi repertori dialettici, visivi e simbolici sono emersi e si sono consolidati nei primi quattro mesi successivi all’invasione russa dell’Ucraina. Coerentemente con l’evoluzione delle logiche del sistema mediale ibrido, tre contesti istituzionali e mediali sono oggetto di analisi: 1) la sfera giornalistica, caratterizzata da quattro dei più diffusi e/o politicamente rappresentativi quotidiani italiani (Il Corriere della Sera; Il Fatto Quotidiano; Il Giornale; Il Manifesto); 2) la sfera politica, che include il discorso politico istituzionale degli atti parlamentari (interpellanze ed interrogazioni), così come il discorso politico personalizzato estrapolato dai profili social (Twitter) dei leader dei principali partiti politici italiani; 3) la sfera intellettuale, caratterizzata dai profili social (Twitter e Facebook) di cinque intellettuali pubblici coinvolti significativamente nei dibattiti mediali nazionali sulla guerra. Attraverso un approccio induttivo-deduttivo, il paper identifica i principali frame interpretativi nelle tre sfere, insieme ai relativi dispositivi di framing, sia a livello testuale che visivo. Nel fare ciò, il paper fornisce un quadro dettagliato delle dinamiche di costruzione del significato attraverso le quali la percezione pubblica della guerra si sviluppa, facendo luce sulle strategie argomentative utilizzate dagli attori mediali e politici su diverse piattaforme. . I Ferragnez: crisi della politica o nuove forme d’impegno sociale? Maria Angela Polesana, Università Iulm La sociologia ha mostrato in passato come le società moderne si siano sviluppate e affermate grazie all’impiego di un’efficiente organizzazione imperniata su diversi sottosistemi (la politica, l’economia, la scienza, l’educazione, l’estetica, ecc.). Ciascuno di tali sottosistemi svolgeva una specifica funzione e contribuiva ad un ottimale funzionamento di tutto il sistema sociale. Tale tipo di organizzazione però è entrato negli ultimi decenni in una situazione di profonda crisi, con la conseguenza che ogni sottosistema ha visto indebolirsi i suoi confini e la sua capacità di differenziarsi rispetto agli altri. Sono nate così, ad esempio, quelle che Jean Baudrillard (1991) ha denominato la “transpolitica”, la “transeconomia” e la “transestetica”, dove questi ambiti continuano attivamente ad operare, ma per forza d’inerzia e senza più una specifica finalità (Codeluppi, 2020). Questo fenomeno riguarda soprattutto la sfera della politica, dove da tempo diversi studiosi hanno cominciato a sostenere che siamo entrati nella fase della “postdemocrazia” (Crouch, 2003, 2020; Thompson, 2017; Bentivegna, Boccia Artieri, 2021), vale a dire all’interno di un sistema politico che mantiene attive le forme della democrazia, ma impoverendone progressivamente la natura. Secondo Colin Crouch, infatti, nelle società avanzate le decisioni importanti vengono prese non tanto da dei rappresentanti del popolo eletti in Parlamento, ma da un’oligarchia sociale composta di politici e ricchi industriali. I quali, anziché cercare di risolvere i problemi della società, si occupano principalmente di tentare di condizionare a proprio vantaggio l’opinione pubblica. S’impongono pertanto nello spazio politico delle figure particolarmente abili nel mascherare la loro debolezza sul piano della sovranità politica e in grado di utilizzare al meglio gli strumenti di comunicazione per attirare su di sé l’attenzione sociale, come ad esempio in Italia Matteo Renzi e Matteo Salvini (Codeluppi, 2021). Emergono però anche delle figure il cui legame con il mondo della politica è piuttosto limitato, se non addirittura inesistente, come i cosiddetti “influencer” (Polesana, Vagni, 2021; Polesana, 2023). Si tratta comunque di figure che riescono a sfruttare quell’enorme bacino di pubblico di cui solitamente dispongono per svolgere un ruolo di tipo politico. Un ruolo certamente ambiguo, ma comunque importante sul piano della capacità d’influenzare le idee e le opinioni delle persone. Dunque, sebbene eccentrico rispetto alla tradizione del dibattito politico, merita di essere attentamente considerato. Lo faremo prendendo in considerazione il caso dei Ferragnez, ovvero della coppia composta da Chiara Ferragni e Fedez (Polesana, 2017; Pedroni, 2021; Masneri, 2022). Si tratta di un caso particolarmente interessante, per la sua notevole importanza sociale, ma anche per la sua capacità di evidenziare il funzionamento attuale della politica. Perché i due Ferragnez non si limitano ad operare con successo nei loro rispettivi ambiti di appartenenza: la moda e la musica. Assumono infatti sempre più frequentemente anche delle posizioni di natura politica. Può essere utile pertanto cercare di capire che cosa comporti tutto ciò, se ci troviamo cioè di fronte alla nascita di nuove forme d’impegno sociale oppure, semplicemente, di astute operazioni di marketing finalizzate ad incrementare il consenso nei confronti del “brand” Ferragnez (Codeluppi, 2012). |