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Sessione 1 - Panel 8: Osservare i pubblici. Pratiche della liveness tra territori e ambienti mediatizzati
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Osservare i pubblici. Pratiche della liveness tra territori e ambienti mediatizzati 1Università di Urbino Carlo Bo, Italia; 2Università di Bologna, Italia; 3Università degli Studi di Milano, Italia; 4Università degli Studi di Salerno, Italia La prospettiva di analisi sui pubblici dal vivo si costruisce oggi come framework complesso che rimanda ai processi di mediatizzazione del sociale (Boccia Artieri 2015; Couldry, Hepp 2017; Hepp 2019) e alle pratiche di consumo culturale che impattano contemporaneamente sulla partecipazione culturale (Carpentier 2011, Paltrinieri 2022), dunque sui territori e sulle comunità, nonché sulle audience mediali e connesse digitalmente. Tale condizione, che permette di mettere a punto una riflessione ampia sulle dinamiche della comunicazione che si pone sul lato “ricevente” (Luhmann 1984), ha assunto negli anni pandemici un’urgenza ulteriore perché, prima di tutto, con la privazione di un consumo culturale in presenza, ha potenziato la necessità di comprendere l’impatto di tale mancanza, e più in generale la mancanza di occasioni culturali, per il benessere individuale e collettivo. Inoltre, ha richiesto di ragionare nei termini di una ridefinizione radicale della liveness (Auslander 2008 e 2012; Couldry 2004; Gemini 2016; Brilli, Gemini e Giuliani 2022) e di tenere assieme ambiti tradizionalmente tenuti separati. Se da un lato, infatti, gli studi sui pubblici tengono generalmente distinta l’analisi dei processi di fruizione dal vivo – in linea con le esigenze connesse ai contesti della produzione culturale legata agli eventi spettacolari in presenza –, da quelli relativi alle audience mediali e ai networked publics, compreso il ruolo giocato dalla piattaformizzazione della cultura (Poell 2018; Poell, Nieborg, Daffy 2022), dall’altro lato l’affermarsi degli approcci sulla mediatizzazione ha permesso di considerare “ecologicamente” le modalità con cui le pratiche di fruizione e consumo culturale si ridefiniscono nei contesti sociali affected dai media e dal digitale. Tutti aspetti che hanno al centro le pratiche della liveness dal punto di vista dei processi di audience development e di audience engagement. Dove questa deve essere considerata una prospettiva di osservazione che mette in relazione la dimensione partecipativa e performativa dei pubblici nei contesti offline e online con la dimensione del welfare culturale inteso come ambito di capacitazione individuale e collettiva che mira all’accesso diffuso alla cultura come risposta ai bisogni di cittadinanza attiva e in chiave co-progettuale fra chi produce e chi fruisce (Paltrinieri, Allegrini 2020). Su questi presupposti l’obiettivo del panel è quello di fornire un quadro aggiornato della riflessione teorica e della ricerca applicata all’analisi dei pubblici e dei comportamenti spettatoriali che muovendosi nell’alveo complesso delle riflessioni sull’audience development ed engagement nei contesti della liveness ne affronti le diverse implicazioni sociali e ricadute di welfare. Il panel si costruisce pertanto lungo quattro precise linee di indagine teorica ed empirica che nel loro insieme permettono di costruire un quadro coerente, non tanto e non solo dello stato dell’arte degli studi in questo campo, quanto delle necessità d’indagine e delle linee di ricerca aperte sul fronte dei pubblici dal vivo (online e offline). La prima linea di indagine si colloca nel campo del welfare culturale al fine di delimitare il raggio d’azione delle politiche culturali orientate alla promozione di una cittadinanza attiva attraverso la pratica culturale e artistica. Attraverso la presentazione di una ricerca in corso nell’ambito di un progetto europeo di audience development il paper osserva, in chiave di partecipazione culturale, l’ecologia emergente dalle relazioni tra pubblici ingaggiati in pratiche di co-creazione, artisti e artiste, organizzazioni culturali e territorio di riferimento e osserva i potenziali impatti sociali e ricadute del progetto sul piano delle politiche culturali nei contesti socio-culturali coinvolti. Su questo punto di partenza, il secondo intervento analizza una particolare forma della produzione creativa di stampo teatrale incentrata sulla collaborazione e sull’engagement spettatoriale. Attraverso l’indagine auto-etnografica delle ultime produzioni torinesi del regista Gabriele Vacis viene approfondito un tema “classico” degli studi sul pubblico e sul lavoro spettatoriale che intreccia reception e performance studies per osservare quelle dinamiche di cambiamento di senso della posizione nella comunicazione (Boccia Artieri 2012) che il teatro ha sempre sperimentato e che la mediatizzazione ha naturalizzato. Il terzo contributo rientra nel campo degli audience studies e nel contesto di analisi della social television attraverso la presentazione dei risultati di una ricerca di media content analysis (Krippendorf 2004) dei post pubblicati nella community Facebook “Noi che l’ispettore Coliandro” e una osservazione netnografica (Kozinets 2010). La ricerca, che mira ad analizzare le pratiche del fandom e rientra nel campo di studio della liveness mediatizzata e dei processi di “immediacy” e “affinity” (Hammelbourg 2015) che caratterizzano le pratiche live delle piattaforme. Il quarto contributo si assesta nel campo della liveness digitale attraverso l’analisi del caso Residenze Digitali. La produzione di eventi performativi online – come frontiera della piattaformizzazione della cultura e della sperimentazione teatrale – chiama in causa una serie di elementi estetici, creativi e organizzativi che impattano sulle abitudini spettatoriali e sull’engagement. Attraverso la presentazione dei risultati di una ricerca che ha coinvolto spettatrici e spettatori; artiste/i ed enti partner delle due ultime edizioni del progetto si mettono in luce pratiche spettatoriali e le modalità con cui il pubblico osserva e definisce la propria spettatorialità impattando, a sua volta, sui processi organizzativi e creativi. . Welfare culturale e Audience Engagement. Una ricerca nell’ambito del progetto europeo “Performing Gender-Dancing in Your Shoes” Roberta Paltrinieri, Giulia Allegrini, Orkide Izci, Università di Bologna Il presente contributo si colloca nel dibattito relativo al recente concetto di welfare culturale, introdotto in Italia dal Cultural Welfare Center (CCW), nato nel 2020. Il welfare culturale indica un nuovo modello integrato di promozione del benessere e della salute degli individui e delle comunità attraverso pratiche basate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale (Cicerchia, Rossi Ghiglione, Seia, 2020). Un aspetto chiave di questo approccio è la collaborazione tra professionisti di diverse discipline e, soprattutto, l’integrazione di finalità tra i sistemi istituzionali della sanità, le politiche sociali e culturali, quindi un'attenzione ad un approccio sistemico (Fulco 2022) nella promozione della salute attraverso le arti. Si tratta di un approccio che trova origine nella metà degli anni '90, soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, teso a superare un riduzionismo economico in relazione all’impatto della cultura a favore del riconoscimento del ruolo della cultura nella lotta ai problemi macrosociali, come l'esclusione e la devianza (Matarasso 1997). Prendono forma in quel periodo molte esperienze nel mondo anglosassone e in Canada tese alla promozione del benessere secondo un approccio biopsicosociale, basato sullo sviluppo di capacità personali per la promozione della salute. Esempi in tal senso sono le iniziative del network “Arts in Health” negli Stati Uniti e il programma “Arts on prescription” (1994) nel Regno Unito. La relazione tra arte e salute è stata messa al centro anche da istituzioni internazionali, come l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attraverso ad esempio il progetto - “Cultural Contexts of Health and Well-being”- per promuovere un approccio "Health in All Policies (HiAP)" (2015). Il presente contributo intende in primo luogo proporre un quadro sociologico di interpretazione critica del concetto di welfare culturale (Manzoli, Paltrinieri 2021) che vada oltre un approccio prioritariamente salutogenico, e consenta invece di guardare al welfare culturale come ecosistema in grado di incidere in chiave trasformativa, in termini di generazione di cittadinanza (Isin, Nielson 2008), di sviluppo sostenibile di territori e comunità, di trasformazione degli immaginari sociali, attraverso processi di capacitazione individuale e collettiva (Appadurai 2011) e di partecipazione culturale (Allegrini 2020, 2021, 2022; Paltrinieri 2019, 2022). Questa prospettiva interroga criticamente da un lato il tema dell’accesso alla cultura, inteso come accesso ad un’esperienza culturale (Gemini, Paltrinieri 2018; Gemini, Bartoletti, Brilli 2018, Paltrinieri, Parmiggiani 2016) correlato anche alla redistribuzione delle capacitazioni culturali, il concetto stesso di partecipazione culturale (Bishop 2011; Bourriaud 1998; Brown et al 2011; Carpentier 2011; Kester 2005), e quello di “valore sociale della cultura” (Holden 2015; Matarasso 1997; UNESCO 2019; Paltrinieri 2022). Entro questo quadro viene presentata una ricerca in corso nell’ambito di un progetto europeo di audience development- “Performing gender. Dancing in your shoes”- che coinvolge 11 organizzazioni culturali di 8 diversi paesi e coordinato da Il Cassero- Gender Bender. Attraverso una raccolta di dati quantitativi sulla partecipazione di diversi gruppi alle pratiche di co-creazione promosse durante il progetto, osservazione partecipante, interviste in profondità, focus group, nonché un approfondimento di caso relativo al Cassero-Festival Gender Bender (Bologna), la ricerca tenta di comprendere da un lato l’ecologia emergente in chiave di partecipazione culturale, generata da molteplici relazioni tra pubblici ingaggiati in pratiche di co- creazione, artisti e artiste, le stesse organizzazioni culturali, il territorio di riferimento, dall’altro i potenziali impatti sociali generati dalle pratiche di partecipazione culturale e le potenziali ricadute sul piano delle politiche culturali nei contesti socio-culturali coinvolti nel progetto. . Spettattori. Il doppio sguardo dell’esperienza teatrale Federico Boni, Università degli Studi di Milano L’intervento presenta uno studio etnografico basato su una questione centrale dell’esperienza teatrale e del rapporto tra performer e pubblico: la reciprocità dell’attenzione e della “cura” (della consapevolezza, si potrebbe dire, forzando però in una direzione troppo mentale il concetto grotowskiano di awareness) che si instaura tra chi sta in scena e chi sta in platea. Un “doppio sguardo” dell’esperienza teatrale, come suggerito dal titolo, che si costruisce su una reale e attiva partecipazione tra chi compie l’azione e chi ne è testimone – dove l’attore è anche spettatore, e dove lo spettatore è anche attore (e autore) dell’esperienza che si viene a creare. Spetttatori, appunto; ma anche, fuori di metafora, spettautori. Per vedere come si realizza questo “programma forte” dell’esperienza comunicativa e interazionale del teatro, l’intervento proposto presenta una ricerca etnografica basata sull’osservazione partecipante delle pratiche dei realizzatori e dei pubblici di tre recenti produzioni dirette da Gabriele Vacis con la compagnia PEM (Potenziali Evocati Multimediali): Prometeo (2022), Antigone e i suoi fratelli (2022) e I sette contro Tebe (2023 – in produzione). Le prime due produzioni (Prometeo e Antigone e i suoi fratelli) sono state caratterizzate da una presenza continua di persone tradizionalmente “estranee” al processo produttivo, che avevano la possibilità di assistere a tutte le fasi delle prove degli spettacoli dal momento in cui queste prevedevano la fase di “messa in scena”, sia nello spazio teatrale dove sarebbero state effettivamente realizzate (le Fonderie Limone per Antigone e i suoi fratelli) sia in altri spazi (in particolare il Teatro Sociale di Valenza e il Teatro Garybaldi di Settimo Torinese, nel caso del Prometeo). In questo modo, il pubblico poteva assistere non tanto a una prova generale (come avviene comunemente), quanto alle continue fasi di “togliere” e “levare”, di verifica di un’intuizione, su cui insistere o da tralasciare; di trasformazione di un’idea in un’altra; in altre parole, delle molteplici modalità della fase creativa di uno spettacolo. Un altro aspetto significativo di tale processo è quello della messa in scena finale, dove attori in scena e spettatori in platea hanno la possibilità di incrociare i loro sguardi – mediante ad esempio l’illuminazione della platea per tutta la durata dello spettacolo, che permette quindi agli attori di guardare negli occhi le persone tra il pubblico; o ancora, mediante la tecnica della “schiera” e dello “stormo”, per cui i performer accolgono il pubblico all’entrata in sala stabilendo già un rapporto di attenzione e di consapevolezza che parte da una “certificazione di presenza” e di riconoscimento a doppio livello (tra i performer stessi, e tra questi e gli spettatori che prendono posto in platea), definendo allo stesso tempo il qui e ora di quanto sta accadendo e accadrà (una “definizione della situazione” che ricorda molto quella di Goffman, dove tutti gli attori sociali sono impegnati nel definire la cornice dell’esperienza in corso). La terza produzione (I sette contro Tebe) rappresenta un caso ancora più interessante. Qui, infatti, la partecipazione degli spettatori comincia già dalle primissime fasi creative del progetto, vale a dire dalla primissima lettura del testo tra regista, scenofonico e attori. La presenza di persone tradizionalmente estranee a tali fasi del processo creativo teatrale non si limita alla mera esperienza di “pubblici”, che assistono alle prime fasi del fare (e del farsi) creativo: tali persone, infatti, hanno la possibilità di intervenire nella discussione, realizzando con ciò una vera e propria creatività partecipata, in una logica molto simile (e, nel caso del teatro, forse più piena) a quella spesso celebrata nel caso delle possibilità offerte dalle tecnologie digitali. . “Coliandro, uno di noi!”. Liveness e attivismo del fandom nella costruzione di un culto mediale Mario Tirino, Università degli Studi di Salerno Negli ultimi 15 anni l’avvento della social TV (Proulx, Shepatin 2012; Colombo 2015) ha cambiato in modo significativo il modo in cui pubblici esprimono la propria passione per i prodotti televisivi. In particolare, attorno alle serie TV, sono nate nuove strategie mediatizzate di audience engagement e development da parte dei network e delle piattaforme, così come comunità di pratica e di interpretazione che generano flussi di cultura grassroots. In questo scenario segnato dalla mediatizzazione dell’esperienza spettatoriale (Lundby 2009, Boccia Artieri 2016, Couldry, Hepp 2016, Tirino 2020), dall’esplosione delle opportunità di partecipazione e co-costruzione e dalla parziale perturbazione della visione lineare in favore dell’on- demand (Buschow et al. 2014), si riformula lo stesso concetto di liveness associato alla fruzione dello spettacolo televisivo (Gemini 2016, Singh, Singh 2022). Il paper intende presentare i risultati di una ricerca svolta tra agosto e dicembre 2021. Attraverso una media content analysis (Krippendorf 2004) dei post pubblicati nella community Facebook “Noi che l’ispettore Coliandro” e una osservazione netnografica (Kozinets 2010) della stessa comunità, la ricerca mira ad analizzare le pratiche del fandom, proponendo una classificazione dei contenuti secondo tre criteri guida: il contenuto del messaggio, la forma di interazione tra i fan e il contenuto, la modalità discorsiva prevalente. Tale studio consente di monitorare le forme di accensione emotiva intorno a contenuti legati all’esperienza live – la visione della prima TV o di una replica della serie “L’Ispettore Coliandro” o addirittura di altre opere in cui è presente il protagonista della serie, Giampaolo Morelli. In particolare, ambienti ad alta densità affettiva come le community di fan delle serie tv favoriscono relazioni parasociali con i personaggi amati, che risultano ulteriormente rafforzate dall’euforia socializzante della liveness, anche mediatizzata, basata su dimensioni come immediacy e affinity (Hammelburg 2015). Il caso-studio della community di Coliandro attesta che la trasformazione di una serie in un culto mediale si concretizza tramite l’azione partecipativa del fandom sulle sue strutture estetiche e produttive. L’analisi del contenuto dei post mostra che questo processo è mediato da alcuni passaggi comuni a diversi fandom: la celebrazione di personaggi e attori; l’estrazione di elementi, volti a creare complicità tra i membri della community; la condivisione di ipotesi e commenti, che alimentano un flusso continuo di interpretazioni; l’uso di paratesti informativi, per arricchire la conoscenza della serie; l’investimento in pratiche di socializzazione attraverso le quali i membri aumentano la coesione del gruppo. Tuttavia, il fandom di Coliandro si distingue dagli altri per la diffusione socializzante delle sue frasi tipiche, l’atteggiamento oppositivo nei confronti della RAI e, soprattutto, la visione ritualizzata della serie, che si esalta nella particolare dimensione partecipativa all’incrocio tra live tv e immediatezza delle interazioni social. . Oltre la frattura: i pubblici delle Residenze Digitali prima e dopo la pandemia Laura Gemini, Stefano Brilli, Francesca Giuliani, Università di Urbino Carlo Bo Fin dalle prime fasi della pandemia, le dinamiche di mediatizzazione delle arti performative sono diventate visibili anche a una vasta platea di non specialisti (Gemini et al., 2020). Nel momento in cui Internet e i social media sono stati l’unica interfaccia tra il settore teatrale e il pubblico, la performance digitale è passata dal consumo di nicchia al mainstream. La transizione non è stata priva di attriti e disparità (Walmsley et al., 2022); tuttavia queste esperienze hanno anche sviluppato nuove competenze e relazioni (Brilli et al., 2022), hanno stimolato la diffusione di linee guida sull’uso degli strumenti digitali per il teatro (Aebischer & Nicholas, 2020) e creato nuove pratiche curatoriali e laboratoriali che persistono anche dopo la pandemia. Anche le residenze artistiche, luoghi chiave per la ricerca e la produzione artistica contemporanea (Lehman, 2017), sono state interessate da questa migrazione. Alcune di queste iniziative hanno cercato di ripensare il concetto di “residenza” al di là dello spazio fisico, ossia come una modalità specifica di scambio tra artisti, organizzatori, studiosi e spettatori che può avvenire anche nell’ambiente online. Le residenze artistiche digitali hanno quindi incarnato una triplice liminalità: il work-in-progress insito nella residenza, il tempo sospeso della pandemia e l’eccezionalità (per molti) del digitale come spazio performativo. Sebbene le restrizioni alla frequentazione teatrale siano ora scomparse, alcune di queste indagini sono proseguite. Le residenze artistiche digitali sono quindi preziose per studiare se e in quali modi sopravvivono le sperimentazioni del periodo pandemico, e quindi per capire come il pubblico si approccia alla liveness digitale (Auslander, 2012; Gemini, 2016) al di là dell’eccezionalismo della “disruption temporanea” del Covid (Hylland, 2022). La nostra ricerca chiede pertanto: - Con quali pratiche spettatoriali il pubblico ha approcciato le performance digitali prima e dopo il covid? - Quali significati ed esperienze gli spettatori associano alla performance digitale nei due diversi periodi? A tal fine è stato analizzato il caso delle Residenze Digitali. Il progetto è stato lanciato nell’aprile 2020 come risposta immediata alla chiusura degli spazi di residenza, con l’intento di stimolare gli artisti delle arti performative all’esplorazione del digitale come ulteriore declinazione della loro ricerca. Giunta alla quarta edizione, l’iniziativa seleziona e finanzia ogni anno circa sei artisti o compagnie della scena del teatro e della performance contemporanea. I progetti vincitori vengono tutorati attraverso incontri periodici tra artisti, organizzatori e tutor accademici. Nel corso dei quattro anni, però, il forte interesse iniziale è andato scemando: se nel primo anno Residenze Digitali ha ricevuto 398 candidature e raggiunto più di 500 spettatori, nel 2022 ha ricevuto 110 candidature e gli spettatori stimati sono scesi a 100. La ricerca ha messo a confronto due edizioni: il 2021, quando erano ancora in vigore alcune restrizioni, e il 2022, quando queste sono state interamente rimosse. Sono state seguite tutte le fasi del progetto, partecipando alle riunioni organizzative, agli incontri di tutoraggio con gli artisti e agli incontri con il pubblico. Sono state poi realizzate 42 interviste in profondità: 25 agli spettatori (16 dell’edizione 2021 e 7 del 2022), 12 interviste agli artisti partecipanti (7 dell’edizione 2021 e 5 del 2022) e 5 agli organizzatori. I risultati preliminari mostrano come al calo “quantitativo” di pubblico sembra corrispondere anche una minor tendenza degli spettatori a predisporre uno spazio/tempo apposito per la fruizione della performance digitale, comportamento che, durante la pandemia, permetteva invece di parcellizzare l’omogeneità del flusso digitale. Tuttavia, se il progetto appare ora meno capace di intercettare un pubblico generico, esso sembra aver trovato più pienamente una dimensione laboratoriale specifica non surrogata alla residenza fisica, dovuta alla possibilità per gli artisti di sviluppare scambi con testimoni esperti eterogenei. |